di mons. Luigi Gallo
Quando il 21 giugno 1793 Luigi XVI fu immolato sulla piazza della Rivoluzione a Parigi, la storia narra che passò come un soffio di terrore sui 200 mila spettatori di tale scena. Sotto il cielo basso e nebbioso la folla si dileguò, silenzio sa e costernata: alcuni divennero pazzi tanto la sanguinosa tragedia aveva commosso la pietà in fondo all’anima popolare.
Ora se tale fu, o miei fratelli, l’attitudine di Parigi, quando assistette alla morte del suo re, quale pensate debba essere la vostra quando, nella santa Messa, assistete alla morte del vostro Dio? L’altare, lo sapete, è ogni mattina tal sublime patibolo. Pensate quale ferita fareste al cuore di Gesù se, spettatori quotidiani del suo sacrificio, voi vi presenziaste colla leggerezza nauseante che si reca agli spettacoli comuni. Il Concilio di Trento dice: « Bisogna assistere alla Messa con gran spirito di fede » e aggiunge « occorre assistervi con timore e rispetto ».
Una volta, quando i giudei entra vano nel tempio di Gerusalemme, dal fondo del tabernacolo Jehova gridava loro: « Pavete ad sanctuarium meum » (tremate dinanzi al mio santuario). Ed a voi Gesù non grida forse la stessa cosa quando entrate in chiesa? Non è anche lui in quel tabernacolo? Eppure c’è dei cristiani che vi entrano come per entrare però in un teatro. Un teatro!... Sia, ma un teatro dove si rappresenta il dramma più terribile del mondo: la morte di un Dio! Ricordo una grande scena del sommo tragico inglese Shakespeare. È sulla spiaggia di Danimarca in una notte lunare. Amleto passeggia sulla spianata di un palazzo, quando ad un tratto lo spettro del re, suo padre, si drizza davanti a lui e gli dice che il fratello l’ha avvelenato per rapirgli la corona. E come addio getta al figlio le parole supreme: ricordati di me! E allora Amleto fa chiamare degli attori e lì innanzi allo zio omicida fa rappresentare un dramma in cui è riprovata la scena dell'avvelenamento. L’assassino freme, si sgomenta, impallidisce e al punto culminante grida: « Cure, Cure usciamo ». Io non dico a voi: « uscite »: dico invece: « venite alla Messa », ma veniteci cum metu et reverentia, perché alla fine se il personaggio shakesperiano era omicida, non lo siamo noi forse? Ah! noi avevamo il nostro divino e regal fratello Gesù, nato come noi dal sangue di Adamo: noi non lo abbiamo avvelenato, ma facemmo peggio: l’abbiamo crocifisso. Osiam dire che non e vero? No: diciamolo forte che furono i nostri peccati ad appendere Gesù al patibolo.
Ma ritorna Egli! Ogni mattina il suo bianco spettro si innalza sull’altare e come l’ombra tragica ci grida « ricordati di me ». E poi, quando il sacerdote, attore venerando, arriva al momento solenne della consacrazione in cui innalza Gesù, vi sovviene dell’altra sanguinosa immolazione di cui foste colpevoli sulla cima del Golgota? L’assassino trema nel vedere rappresentare il fratricidio, non dovremmo noi tremare di commozione nel vedere rappresentare il Deicidio? Oh, cristiani, quando vedo il modo sconveniente onde tanti cristiani assistono alla Messa, ricordo le parole di David: « Introibo in domum tuam, adorabo ad templum sanctum tuum, in timore tuo ». E come stanno gli Angeli lassù, nella grande chiesa del cielo ce lo dice la liturgia: « tremunt potestates », tremano! E nelle chiese terrene stanno non visti da noi, a capo chino, come dice San Giovanni Crisostomo: « inclinato capite ». E noi siam forse dappiù degli angeli? Per pietà, non facciamo gl’insolenti davanti a Dio, ed assistiamo alla Messa con timore e rispetto.
Timore. Anzitutto, o cristiani miei fratelli, fate di ascoltare la Messa in istato di grazia: recitate quindi, prima della Messa, un atto di contrizione, confessatevi, se possibile, venite a vedere immolare Gesù non come peccatori (e sareste di nuovo suoi carnefici), ma come pentiti e sarete suoi collaboratori.
Voi non avete colpe mortali ma solo veniali? Cancellatele pure. L’acqua benedetta e là all’ingresso: prendete con rispetto l’acqua santa e purificate l’anima vostra con un segno di croce. Il cristiano dev’essere fiero d’inalberare la sua bandiera e tale è il segno di croce: sarà poi come un segno con venuto fra voi e Dio per essere ammessi al gran dramma che si rappresenterà fra poco.
La Messa comincia: è l’ora di raddoppiare il rispetto. Anzitutto il rispetto degli occhi. Non sguardi annoiati che si perdono nelle arcate o sui muri del tempio, sguardi vaghi, sognanti, sguardi dissipati che fanno il giro di tutti gli astanti. Non avete notato che i Giudei facevano lo stesso sul Calvario « moventes capita sua »? Si dice che il fiore dell’eliotropio è sempre rivolto al sole. II vostro sole, il divino sole di giustizia si leva sull’altare: volgetevi a Lui.
Al rispetto degli occhi uniamo il silenzio. Chi parlava sul Golgota? « Praetereuntes blasphemabant »: i passanti bestemmiavano, i pontefici e i sacerdoti schernivano, i ladroni insultavano, vorreste voi forse porvi fra costoro? Invece Maria, Giovanni, la Maddalena, le Donne, gli amici di Dio - in una parola - tacevano. Sapevano che il divin sacerdote avea la parola sulla croce e s’univano a Gesù orante. Facciamo come loro: Gesù è innanzi a noi che prega avvolto negli abiti sacerdotali: non l’interrompiamo. O se voi ridete o parlate, il demonio laggiù fa eco al vostro riso, alla vostra parola. Assistete dunque alla Messa con timore e reverenza.
E con rispetto. Quand’essa è finita lasciate il tempio. Non imitate i cristiani, che un tale chiamò « cristiani di contrabbando », per cui la mezz’ora del santo sacrificio pare un secolo e che all’ultima parola si levano precipitosi! Al vostro contegno in chiesa si conoscerà se siete veri cristiani. Non vi dico di fare come il buon centurione che terrorizzato si ritira dalla scena del Calvario percuotendosi il petto; pure lasciando la chiesa pensate a sacrificarvi anche per lui. Si dice nelle Scritture che gli Ebrei avevano due sacrifici, quello del mattino e quello della sera: sacrificium matutinum et vespertinum. Tra i cristiani è lo stesso. Ma nel sacrificio del mattino è Gesù che s’immola, mentre in quello della sera siam noi. Gesù fu vittima nella Messa, occorre che noi lo siamo il resto del giorno. Sacrifichiamo dunque, o fratelli, la nostra mollezza, l’orgoglio, la leggerezza, i difetti. Non camminiamo cinti di rose dietro a un Dio coronato di spine. La nostra giornata sia una messa, la messa quotidiana del dovere in cui immoliamo noi stessi sull’altare del nostro cuore.
E durante la Messa pregate. II sacerdote non offre da solo il sacrificio: tutti gli astanti l’offrono con lui, tutti consentono con quanto egli fa: « Pregate, o fratelli - egli ammonisce prima di iniziare la tremenda azione - pregate affinché il mio sacrifizio che è pure il vostro sia accetto al Signore Dio nostro ». E nel Canone: « Ricordatevi dei vostri servi per cui noi vi offriamo, o che vi offrono questo sacrifizio ». II Sacerdote non dice « io domando, supplico » ma « noi domandiamo, supplichiamo: quaesumus, rogamus, petimus ».
E non pregate a fior di labbra, Dio vuol altro. Sursum corda, in alto i cuori, vi dice il Sacerdote, cui rispondete: Habemus ad Dominum. E non mentite. Elevate realmente verso Dio il vostro cuore. Assistendo alla Messa, dividete in quattro il vostro tempo, conformando i vostri sentimenti ai quattro fini del sacrificio:
Mio Dio, Vi adoro;
Vi domando perdono;
Vi ringrazio;
ho bisogno delle vostre grazie!
[Da un manoscritto inedito]
Estratto da Mons. Luigi Gallo, a cura di P. Giuseppe Poggi, ed. La Scala, Noci 1974, pp. 65-68.
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