martedì 21 dicembre 2010

Arte e bellezza nella Chiesa. Una scatola nella scatola

di Rodolfo Papa

È […] a Foligno la nuova chiesa progettata dall’architetto Massimiliano Fuksas, […] intitolata a San Paolo. La chiesa è “Un monolite criptico chiuso all’intorno, quasi inaccessibile, astratto. Due volumi, due parallelepipedi che tendono al cubo, quello esterno largo 22,50, lungo 30 e alto 26 metri, quello interno posto a 3 metri dal pavimento e dalle pareti del volume esterno” che si presenta come una scatola nella scatola sospesa nel vuoto.
Si possono fare molti confronti da un punto di vista semplicemente “linguistico” con gli approdi dell’architettura dell’ultimo secolo, riconducendo i tagli informali sulle facciate laterali del parallelepipedo a Le Corbousier, ma ciò che sinceramente sconcerta di più è la straordinaria somiglianza con il parallelepipedo nero della Mecca. Forse è solo un caso, ma questa strana somiglianza che l’edificio propone, soprattutto se visto in lontananza nel suo contesto urbano, è impressionante. Certo qualcuno potrebbe dire che le geometrie e le forme non sono direttamente espressione di una visione teologica e spirituale, ma che esse influenzano “liberamente” l’artista nelle sue scelte progettuali, ma allora che cosa significa progettare una chiesa? Il Santo Padre Benedetto XVI ci ha ricordato molte volte che tutto deve essere interpretato nel senso di “continuità” con il passato, che chiamiamo “tradizione”, e che in nessun modo si deve pensare nei termini di “rottura” con il passato, poiché questo creerebbe solo un effetto di scostamento dalla tradizione apostolica e di fatto dal Magistero della Chiesa.
Un edificio liturgico, come tutte le forme della Chiesa, accompagna l’uomo nel suo corso storico; e come mutano le condizioni storiche e culturali dell’uomo, anche esso può mutare, e di fatto è mutato. Ma deve mutare in modo “organico”. II termine è del Concilio Vaticano II, che lo introduce normativamente al n. 23 della costituzione Sacrosanctum Concilium: « Non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti ».
L’“organicità” del cambiamento sembra essere per Benedetto XVI l’unico e vero criterio di legittimità liturgica. Nell’Introduzione allo spirito della liturgia, che scrisse quando era ancora cardinale, afferma: « La liturgia non è paragonabile a una apparecchiatura tecnica, a qualcosa che si fa, ma a una pianta, a qualcosa, cioè, di organico, che cresce e le cui leggi di crescita determinano le possibilità di un ulteriore sviluppo ».
In tal senso si deve inten­dere anche la architettura e l’arte che si producono per la Liturgia. In altre parole, non è giustificabile in nessun modo un travisamento del senso liturgico e di conseguenza artistico nel segno della “discontinuità” con la tradizione, perché verrebbe meno il senso ecclesiale ed ecclesiologico di questa. Le chiese che sono state costruite nel corso della lunghissima storia della Chiesa, possiedono degli elementi che, al di là delle forme, rimangono quasi inalterati nel corso del tempo. Una cattedrale romanica o gotica non si distacca molto dalle strutture proposte da quelle rinascimentali o barocche. Innanzitutto, possiamo vedere come l’intento sia sempre quello di costruire un edificio unico nel suo genere, completamente diverso da tutti gli altri edifici pubblici e privati.
La chiesa è la casa di Dio e come tale ha sempre destato ammirazione e meraviglia nel fedele, che avvolto dalla bellezza degli ornamenti è sempre stato messo nella condizione spirituale di pregustare la gloria del paradiso. In più, una chiesa deve saper affermare, a partire dalla facciata, la fede del popolo che la erige a gloria del Signore, tanto che appunto già nelle facciate si può leggere la più completa formula del Credo. Ad esempio, le facciate delle cattedrali gotiche educano il fedele alla visione della centralità di Cristo che è re dell’Universo e Signore della storia, degli uomini e della loro salvezza. Negli archi d’ingresso, infatti, si possono vedere diversi archi concentrici che degradano verso il centro in archi sempre più piccoli, abitati da santi, profeti ed apostoli; quegli archi, solitamente in numero di sei, indicano i cieli che si aprono e che conducono, secondo una antichissima tradizione iconografica, al più alto dei cieli, appunto il settimo, dove risiede Dio stesso e che coincide con l’ingresso stesso della chiesa. Una volta entrati nell’edificio, i nostri occhi sono rapiti dalla bellezza complessa delle multiformi decorazioni, dalla ricchezza degli ori e degli argenti, in modo che risulta rappresentato non un luogo di raduno popolare, ma la dimora rilucente del Signore. Benedetto XVI scrive, a tal proposito, nel Rapporto sulla fede: « “L’abbandono della bellezza” si è dimostrato, alla prova dei fatti, un motivo di sconfitta pastorale ». Il testo continua: « È divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all’utile. L’esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull’unica categoria del ‘comprensibile a tutti’ non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere. Liturgia “semplice” non significa misera o a buon mercato: c’è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica ».
Giovanni Paolo II, nella Lettera agli artisti, scrisse profeticamente e misticamente “la bellezza salverà il mondo” intendendo con questo parlare di Cristo, il “bel pastore” colui che in virtù della sua gloriosa maestà deve essere il modello e il fine delle nostre opere, anche e soprattutto artistiche e architettoniche.
Anche un altro tema si presenta nell’analisi dell’edificio di Fuksas, ovvero il tema dell’annuncio, del kerigma, che l’edificio-chiesa per sua natura svolge all’interno della città degli uomini. La fede è un fatto eminentemente pubblico e per questo tutte le chiese nel corso della storia si sono fatte tramite dell’annuncio, attraverso la bellezza delle forme artistiche e dei segni sempre riconoscibili, della fede cristiana. Da qualche tempo, si è andata invece diffondendo una visione “liberale” della fede come fatto privato che questo tipo chiese, al di là della loro evidente “incongruenza” artistica, veicolano attraverso una programmata visione “iconoclasta”, che elimina ogni possibile segno cristiano, riducendole esclusivamente a luogo di raduno come fossero sale per congressi.

(tratto da Gesù confido in Te, anno 2, n. 9, giugno-luglio 2009, pp. 14-15)

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