Pubblichiamo qui di seguito una lettera scritta al proprio parroco da un nostro lettore che pone la questione del “novus ordo ben celebrato”. Abbiamo poi chiesto al prof. Vito Abbruzzi un breve commento.
Caro Parroco,
ti giuro, senza alcun intento provocatorio, ma – proprio in virtù del fatto che tengo in considerazione ciò che mi dici – vorrei davvero un consiglio sincero rispetto a quanto mi hai detto a proposito della preferenza che dobbiamo avere nel partecipare ai Santi Misteri nella comunità parrocchiale cui apparteniamo (senza essere “apolidi”).
Allora, ti porto l’esempio di oggi.
Il coro di infanti con (solo) chitarre e canzoni che di tutto parlano fuorché del mistero, compresi “Alleluia” e “Santo” da stadio con i gesti da evangelici pentecostali, non lo considero giacché capisco che quello è e me lo devo tenere.
Però – cavolo! – oggi era la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria e la Messa tutto ha avuto per oggetto fuorché questo! (il sacrificio eucaristico, infatti, è già scomparso dall'orizzonte della maggior parte dei fedeli, considerato che non si inginocchiano nemmeno e continuano a masticare chewing-gum e spegnere cellulari come se nulla fosse, ignari di essere al cospetto del Logos fattosi pane da mangiare per le loro bocche… sempre se non lo prendono con le mani per farne chissà che...).
Infatti hanno avuto la priorità, nell’ordine:
- la giornata diocesana delle vocazioni e del seminario;
- la giornata del tesseramento dell’azione cattolica;
- la presentazione dei cresimandi (della parrocchia in cui mi trovavo)...
Ergo, nell’omelia di tutto si è parlato fuorché della Solennità che tutta la Chiesa universale oggi festeggia! (per giunta dopo qualche minuto di Omelia – sul seminario, le vocazioni e l’azione cattolica - il celebrante ha lasciato il microfono a due seminaristi per due testimonianze... cosa che, peraltro, reputo assolutamente vietata).
Insomma, un disastro. Davvero della serie “Come andare a Messa e non perdere la fede” (come il titolo dell’ultimo libro di Nicola Bux).
Davanti a queste cose come non comprendere (anzi, peggio, condannare) coloro che “scappano” (e ti assicuro che in tutto il mondo sono sempre di più) al rito antico (pur consapevoli che in realtà il novus ordo ben celebrato non è quello che hanno appena visto)?
E ti assicuro, per conoscenza diretta, che non sono stato sfortunato: questo “spettacolo” è andato in onda in tantissime parrocchie mercoledì e tanti fedeli, nella Chiesa dove ero così come nelle altre, hanno vissuto lo stesso disagio.
In disparte la scellerata scelta del parroco di concentrare tutti questi “eventi” in una Messa (e solenne), rendendola così una sorta di varietà del sabato sera televisivo italiano, dove tanti artisti si succedono sulla scena (e all'unico Artista si lascia alla fine, nel tempo residuo, prima che ti tolgano la linea, qualche scampolo di attenzione), mi chiedo se davvero “l’agenda” della Chiesa locale, anzi super-locale, delle associazioni, può avere così tanta supremazia sulla “agenda” della Chiesa universale. In tutta sincerità credo di no. Considerato anche che la Solennità odierna è per la Chiesa cattolica una delle più importanti dell’anno per svariate ragioni.
Ti confesso che ad un certo punto dell’omelia (precisamente alla seconda delle testimonianze dei seminaristi che testimonianza non era giacché parlava a vanvera di tutt'altro) ho pensato di alzarmi e di andarmene per partecipare ad un’altra Messa nel prosieguo della giornata. Non l’ho fatto solo per non dare eventualmente “scandalo” ad altri fedeli.
Ora, io non voglio chiederti di parlar male del tale confratello o della tale parrocchia o della tale associazione; quello che ti voglio chiedere è: perché dovrei sottopormi, secondo te, a queste vere e proprie “torture”? Perché sarebbe scorretto che io ad esempio partecipi alla Messa che celebra qualche altro sacerdote in un’altra parrocchia, compresa quella in rito antico, se in esse trovo maggior nutrimento spirituale? Non è forse una delle prime regole del discernimento spirituale quella che ci chiede di verificare la presenza di consolazione e desolazione spirituali, giacché solo la prima in senso autentico viene certamente da Dio?
Come vedi io non disprezzo ciò che mi dici, anzi, continuo a pensarci. Tuttavia, continuo a non capirlo. O meglio, lo comprendo nella sua assiomaticità, astrattezza (in teoria ciascuno di noi dovrebbe vivere nella propria comunità), ma ai conti con la realtà lo schema non tiene. Perché mi devo inaridire spiritualmente e fare ”sangue acido” (moti che con maggiore probabilità non sono ispirati da Dio) partecipando a questo genere Messe?
In Jesu et Maria
Francesco
Una domanda legittima
di Vito Abbruzzi
Francesco chiede quale sia la “preferenza che dobbiamo avere nel partecipare ai SS. Misteri nella comunità parrocchiale cui apparteniamo (senza essere ‘apolidi’)”.
La sua è una domanda legittima, posta “senza alcun intento provocatorio”. Legittima perché non vuole nuocere alla “comunione con la Chiesa”; comunione che, secondo quanto stabilisce lo stesso Codice di Diritto Canonico (CIC), “i fedeli sono tenuti all’obbligo (obligatione adstringuntur) di conservare sempre, anche nel loro modo di agire” (can. 209, §1). È in nome di questa legittimità che “i fedeli hanno il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri” (can. 212, §2). Si tratta qui di “necessità” e “desideri” che non possono essere disattesi, dal momento che “i fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi Pastori della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però conforme alla dottrina della Chiesa” (can. 214).
Ergo, Francesco – come ogni altro fedele – potrebbe scegliersi molto liberamente una chiesa dove sa che andare a Messa non solo non gli fa correre il rischio di perdere la fede, ma gliela fa addirittura acquistare. Ma è giusto che egli faccia presente “le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri” – come dice il CIC – in primis al suo parroco, il quale, valutandole con intelligenza, si renderà conto della bontà di esse. In fin dei conti, ciò che serve ai nostri preti è una buona scuola di marketing (oltre che di omiletica): si renderebbero conto da soli che la vera carta vincente – anche in termini economici – sta proprio nell’offrire una più ampia offerta liturgica, compresa la celebrazione della Messa e degli altri Sacramenti nella forma straordinaria del Rito Romano. Batterebbero, così, la concorrenza degli altri confratelli, che di buon grado accolgono “coloro che – nelle parole di Francesco – ‘scappano’ […] al rito antico”.