modello di amore eucaristico per i sacerdoti e per i fedeli
di padre Stefano Maria Manelli FI
S. Francesco d’Assisi "ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il Sacramento del Corpo del Signore, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità. Riteneva grave segno di disprezzo non ascoltare almeno una Messa al giorno, se il tempo lo permetteva. Si comunicava spesso e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri... Un giorno volle mandare i frati per il mondo con pissidi preziose, perchè riponessero in luogo il più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro. Voleva che si dimostrasse grande rispetto alle mani del Sacerdote, perché ad esse è stato conferito il Divino potere di consacrare questo Sacramento. "Se mi capitasse - diceva spesso - di incontrare insieme un Santo che viene dal cielo ed un Sacerdote poverello, saluterei prima il Prete e correrei a baciargli le mani. Direi infatti: Ohi! Aspetta, San Lorenzo, perché le mani di costui toccano il Verbo di vita e possiedono un potere sovrumano!'".
In questa stupenda pagina del beato Tommaso da Celano, primo biografo di san Francesco d’Assisi, è riassunta tutta la vita Eucaristica di S. Francesco, ricca di amore e di fede, di devozione e di ardore. Non manca proprio nulla all'esemplarità di una vita Eucaristica piena e perfetta per tutti: per gli stessi sacerdoti, come per i semplici fedeli.
La S. Messa, la S. Comunione, l'adorazione Eucaristica, il decoro dell'altare e delle Chiese, la venerazione per i Sacerdoti ministri dell'Eucaristia: in tutto questo S. Francesco ci è maestro e modello in misura tale da farlo considerare non solo un Santo Eucaristico ma un serafino innamorato dell' Eucaristia.
E tra i suoi figli noi avremo le figure mirabili di serafini dell'Eucaristia come S. Antonio di Padova e S. Bonaventura che hanno scritto pagine di sublime dottrina e di struggente amore all'Eucaristia, come S. Pasquale Baylon, diventato protettore dei congressi Eucaristici, come S. Giuseppe da Copertino che si levava in volo estatico verso gli Ostensori e verso i Tabernacoli, come il B. Matteo da Girgenti e il B. Bonaventura da Potenza che dopo morte, anche con il corpo cadavere venerarono l'Eucaristia, come san Pio da Pietrelcina che per più ore di giorno e di notte sostava in preghiera presso l’altare eucaristico.
La S. Messa era per S. Francesco un mistero di grazia così sublime che nella lettera al Capitolo generale e a tutti i frati scrisse queste esclamazioni di fuoco: "L'umanità trepidi, l'universo intero tremi, e il cielo esulti, quando sull'altare, nelle mani del Sacerdote, è il Cristo figlio di Dio vivo".
La cosa che sconvolge S. Francesco è l'amore di Gesù spinto fino ad un'umiltà inconcepibile: "O ammirabile altezza, o degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell'Universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane!".
Per questo egli considerava grave mancanza di amore da parte nostra l'assenza alla S. Messa quotidiana. Per questo egli non solo partecipava almeno ad una S. Messa, ma quando era infermo, per quanto era possibile, si faceva celebrare la S. Messa in cella, o almeno si faceva leggere la pagina del Vangelo della Messa del giorno: "Voleva sempre ascoltare il Vangelo del giorno - è scritto nella Leggenda perugina - quando non aveva potuto partecipare alla Messa".
Quale lezione per noi tutti, che spesso siamo così pigri e facciamo fatica anche a partecipare alla Messa solo la domenica! Non parliamo poi della Messa giornaliera, disertata al punto che in tante Chiese il Sacerdote deve celebrare la S. Messa ai banchi o a quattro devote vecchiette.
Per la S. Comunione, S. Francesco ci insegna come riceverla da serafini ardenti di amore: "Si comunicava spesso - dice il Celano - e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri". Ecco la vera devozione: quella che edifica, che costruisce, che spinge al meglio anche gli altri. S. Bonaventura infatti dice che la devozione di S. Francesco nel fare la S. Comunione era tale "da rendere devoti anche gli altri". Basti pensare che subito dopo la Comunione "il più delle volte veniva rapito in estasi". E il Celano ci svela l'intimo di S. Francesco scrivendo che "quando riceveva l'Agnello immolato, immolava lo spirito in quel fuoco, che ardeva sempre sull'altare del suo cuore". Questo e l'amore che diventa fusione, l'immolazione d'amore che non ammette divisioni: "Chi mangia la mia carne e beve il mio Sangue rimane in Me e Io in lui" (Gv 6,56).
S. Francesco si preparava alla S. Comunione con una premura attentissima: non solo la sua vita Santa, ricca di eroismi quotidiani, ma anche la Confessione sacramentale doveva preparare ogni volta la sua anima a ricevere Gesù Eucaristico con il massimo candore di grazia. A quei tempi non più di tre volte alla settimana poteva comunicarsi: ebbene, tre volte alla settimana S. Francesco si confessava. Quando si ama, si vuol compiacere la persona amata donandole tutto ciò che possa farla gioire. L'anima purificata dal Sacramento della Confessione diventa una dimora piena di candore e di profumo per Gesù Ostia immacolata. S. Francesco non solo lo sapeva e lo faceva, ma lo raccomandava a tutti con fervore veramente serafico. Nella Lettera a tutti i fedeli S. Francesco scrisse così: Gesù "vuole che tutti siamo salvi per Lui, e che lo si riceva con cuore puro e corpo casto. Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere...". Nella Lettera ai reggitori dei popoli scrive: "Vi consiglio, signori miei, di mettere da parte ogni cura e preoccupazione e di ricevere devotamente la comunione del Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo".
Quando si ama, inoltre, si guarda con occhi d'amore non solo la persona amata, ma anche tutto ciò che riguarda la persona amata. In tal senso S. Francesco coltivò a tensione altissima d'amore sia l'adorazione all'Eucaristia, sia la venerazione per tutto ciò che riguarda l'Eucaristia, ossia le Chiese e i Sacerdoti.
La passione d'amore per l'adorazione Eucaristica fu cosi ardente in S. Francesco, che non erano poche le notti intere da lui trascorse ai piedi del Tabernacolo. E se talvolta il sonno lo prendeva, si appisolava per un poco sui gradini dell'altare, e poi riprendeva instancabile e fervente. Chi lo sosteneva? La fede e l'amore verso questo "mirabile Sacramento" (dalla Liturgia).
La sua fede e il suo amore all'Eucaristia si irradiano dalla sua vita e dai suoi scritti con un fulgore luminosissimo. Ai frati una volta scrisse: "Prego tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con quanto ardore posso, di tributare tutta la riverenza e tutto l'onore che potete al Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo".
Per S. Francesco la fede nell'Eucaristia fa tutt'uno con la fede nella SS. Trinità e nel Verbo Incarnato. E così voleva che fosse per tutti. Perciò scriveva con vigore e calore: "Il Figlio, in quanto Dio come il Padre, non differisce in qualche cosa dal Padre e dallo Spirito Santo. E allora tutti coloro che si fermarono alla sola umanità del Signore Gesù Cristo e non videro e non credettero nello Spirito di Dio, che egli era vero Figlio di Dio, furono condannati; similmente adesso tutti coloro che vedono il sacramento del corpo di Cristo, il quale viene sacrificato sull'altare mediante le parole del Signore, però per il ministero del Sacerdote, Sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo Spirito di Dio che esso è veramente il Santissimo corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati". E poco oltre continua la sua ammonizione con un efficace paragone: "Come ai Santi apostoli apparve in vera Carne, così ora si mostra a noi nel Pane Consacrato; e come essi con lo sguardo fisico vedevano solo la sua Carne ma, contemplandolo con gli occhi della fede, credevano che egli era Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, vediamo e fermamente crediamo che il suo Santissimo Corpo e Sangue sono vivi e veri".
Questa fede e questo amore arriveranno al punto di fargli esclamare più volte che "dell'altissimo Figlio di Dio nient'altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il Santissimo Corpo e il Sangue suo... E questi Santissimi misteri sopra ogni cosa voglio che siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi".
L'amore alla Casa del Signore è inseparabile dall'amore all'Eucaristia. Non si può amare Gesù e trascurare la sua dimora. Anche in questo S. Francesco ci ha lasciato una lezione stupenda per ardore e concretezza. Personalmente, egli si preoccupava della pulizia delle Chiese, dei calici e delle pissidi, delle tovaglie e delle ostie, dei vasi di fiori e delle lampade.
Esortava i ministri dell'altare ad essere ferventi e fedeli nel circondare il SS. Sacramento di ogni decoro e riverenza. In una lettera ai Custodi sembra scrivere proprio in ginocchio: "Vi prego, più che se lo facessi per me stesso, perché quando conviene e lo vedrete necessario, supplichiate umilmente i Sacerdoti perché venerino sopra ogni cosa il Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo... I calici, i corporali, gli ornamenti degli altari e tutto ciò che riguarda il Sacrificio devono essere preziosi. E se il Santissimo Corpo del Signore sarà collocato in modo miserevole in qualche luogo, secondo il precetto della Chiesa, sia posto da essi in un luogo prezioso e sia custodito e sia portato con grande venerazione e nel dovuto modo sia dato agli altri... E quando è consacrato dal Sacerdote sull'altare ed è portato in qualche parte, tutti, in ginocchio, rendano lode, gloria e onore al Signore Dio vivo e vero".
Queste cose S. Francesco le scriveva e le diceva. Quando arrivava in un paese, dopo aver predicato al popolo, di solito radunava a parte il clero e parlava di questi problemi con ardore appassionato, ricorrendo perfino alla minaccia delle pene eterne: "Non si muove a pietà il nostro animo - esclamava - sapendo che il Signore, così buono, si mette nelle nostre mani e noi possiamo toccarlo e riceverlo? O ignoriamo che cadremo nelle sue mani? Emendiamoci decisamente, dunque, di queste e di altre cose, e dovunque si trovasse il Santissimo Corpo del Signore nostro Gesù Cristo riposto e lasciato indegnamente, rimoviamolo da quel luogo e riponiamolo e racchiudiamolo in un luogo prezioso".
Più concretamente ancora, S. Francesco stesso, andando a predicare per città e villaggi "portava una scopa per pulire le Chiese", come riferisce la Leggenda perugina, perché "molto soffriva Francesco nell'entrare in una chiesa e vederla sporca", e ciò lo spingeva a raccomandare ai Sacerdoti "di avere la massima cura nel mantenere pulite le Chiese, gli altari e tutta la suppellettile che serve per la celebrazione dei divini misteri".
Inoltre, "una volta volle mandare alcuni frati per tutte le province, - dice lo Specchio di perfezione - a portare pissidi belle e splendenti, affinché dovunque trovassero il Corpo del Signore conservato in modo sconveniente, lo collocassero con onore in quelle pissidi. E anche volle mandare altri frati per tutte le regioni con molti e buoni ferri da ostie, per fare delle particole belle e pure".
Se a questo aggiungiamo che S. Francesco faceva preparare da S. Chiara i corporali da donare alle Chiese povere e che egli stesso a volte preparava i vasi di fiori per l'altare, possiamo farci un'idea più completa del fervore Eucaristico di S. Francesco.
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Che cosa dire, in particolare, della venerazione di san Francesco per i Sacerdoti all’altare? Basti qui riportare le parole del suo Testamento: "Il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei Sacerdoti che vivono secondo la forma della Santa Chiesa romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi e non voglio in loro considerare il peccato, perché in essi io vedo il Figlio di Dio".
Ecco la visione soprannaturale di S. Francesco riguardo ai consacrati in “Persona Christi”, ossia ai Sacerdoti: "In essi io vedo il Figlio di Dio". Per questo egli voleva che "fossero onorati in maniera particolare i Sacerdoti - dicono i Tre compagni – i quali amministrano sacramenti così venerandi e sublimi: dovunque li incontrassero, dovevano chinare il capo davanti a loro e baciare loro le mani... E difatti, dovunque s'imbattessero in un Sacerdote, non importa se ricco o povero, degno o indegno, s'inchinavano umilmente in segno di reverenza".
Agli stessi Sacerdoti egli dice con amore: "Badate alla vostra dignità, frati Sacerdoti, e siate Santi perché Egli è Santo. E come il Signore Dio onorò voi sopra tutti gli uomini, per questo mistero, così voi più di ogni altro uomo amate, riverite, onorate Lui". E’ davvero ineffabile la dignità di colui che “impersona Cristo” ed è chiamato ad essere ovunque “presenza di Cristo” e a pensare, parlare e operare in tutto “come Cristo”.
Per questo san Francesco si preoccupa che i Sacerdoti possano sempre “celebrare la Messa puri e ripieni di purezza compiano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda…”. Abbiano sempre, essi, la massima devozione e il massimo candore dell’anima, con la perfetta obbedienza a tutte le norme della Chiesa e con tutta la delicatezza nel portarlo fra le mani e nel distribuirlo agli altri, facendo così stupire gli angeli che li assistono.
San Francesco non si stanca di raccomandare ai sacerdoti soprattutto l’umiltà, riferendo l’esempio di Gesù stesso il quale “ogni giorno si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine: ogni giorno, infatti, egli stesso viene a noi in apparenza umile, ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote”.
E le mani del sacerdote dovrebbero essere pure come quelle della Madonna, raccomanda il Serafico Padre, esprimendosi con queste parole sublimi: “Ascoltate, fratelli miei. Se la Beata Vergine è così onorata, come è giusto, perché lo portò nel suo santissimo grembo [….] quanto deve essere santo, giusto e degno colui che tocca con le sue mani, riceve nel cuore e con la bocca e offre agli altri, perché ne mangino, Lui non già morituro, ma in eterno vivente e glorificato, sul quale gli angeli desiderano fissare lo sguardo”.
Per questo, considerando tali compiti così sublimi del Sacerdote, san Francesco non può trattenersi dal fare una dolorosa e amara costatazione nei riguardi di ogni Sacerdote: “E’ una grande miseria e una miseranda debolezza, che avendo lui così presente, voi vi prendiate cura di qualche altra cosa in tutto il mondo”. Se ogni Sacerdote riflettesse sui richiami del Serafico Padre!
La conclusione di tutto il discorso sulla pietà e sulla vita Eucaristica secondo S. Francesco d’Assisi possiamo trovarla in questa sua esortazione che vale certamente anche per tutti noi: "Nulla di voi tenete per voi; affinché vi accolga tutti Colui che a voi si dà tutto". Essere l’uno dell’altro, essere l’uno nell’altro: non è forse questo il contenuto delle divine parole d’amore sommo di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6, 56)?
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