di Vito Abbruzzi
Provo volentieri a scrivere qualcosa su Karol Wojtyła. Se non altro contro i benpensanti che ne hanno fortemente criticato la beatificazione, facendo circolare in internet alcune immagini del defunto Pontefice con l’inquietante titolo “Giovanni Paolo II… santo!? Senza parole”.
In pratica al neobeato si rimprovera quella sua “teologia del corpo” consistente in “effusioni affettive”, “voglia di coinvolgimento”, “esplosione di esultanza”; ma soprattutto gli si rimproverano certi atteggiamenti palesemente irenici (più che ecumenici) nei confronti delle altre confessioni religiose, mediante “effusioni devozionali”, giudicandolo “giocherellone con le cose cattoliche” e “serio” con tutte le altre.
Ad un’amica, scandalizzata da questa campagna denigratoria contro la santità del Papa polacco, ho risposto citando quanto il compianto Sen. Mezzapesa scrisse a difesa di Celestino V, erroneamente intravisto nel III Canto dell’Inferno dantesco, “nel vestibolo del regno dei dannati, nella turba delle anime vili, ‘che visser sanza infamia e sanza lodo… a Dio spiacenti ed a’ nemici sui’ […]. Un morso al vestito lucente del Santo, che si deve ogni tanto pulire, perché ricompare sempre brutto, fastidioso e plebeo”: « Ammesso pure che Dante intendesse riferirsi a lui in quell’acerba rampogna [per “il gran rifiuto”], (sono anch’io d’accordo con chi ha rilevato che il sommo poeta era libero di non accettare il giudizio pontificio: la santità di una data persona non fa dogma) non può il suo giudizio compromettere minimamente di fronte alla storia la fama di santità del frate del Morrone. Non è giudizio il suo, ma pregiudizio. […] Se Dante avesse guardato alla figura e al pontificato del frate del Morrone non con l’ottica deformata e deformante della sua partigianeria politica, ma ‘con lo spirito del Vangelo’ – con cui giudicarono il gesto di Celestino tanti del suo secolo, che lo ammirarono e lo venerarono Santo – avrebbe potuto scorgere in lui il paladino più autorevole, certo il più coerente, della sua concezione morale. […] Dante non aveva l’occhio limpido e disincantato per giudicare serenamente » (P. Mezzapesa, Celestino V. Il Papa Angelico, ed. La Scala, Noci 20052, pp. 9-14).
Lo stesso dicasi per i detrattori della fama di santità di Giovanni Paolo II, ai quali pure manca “l’occhio limpido e disincantato per giudicare serenamente”, ammorbati come sono di “partigianeria politica” più che illuminati dallo “spirito del Vangelo”. Manca loro, infatti, proprio quella “Luce: senza la quale non sarà compiuto l’uomo” (K. Wojtyła, Pietra di Luce. Poesie, Libreria Editrice Vaticana 1979, p. 44). E l’uomo sarà finalmente compiuto quando comprenderà il messaggio, tutto evangelico, della Divina Misericordia, di cui il Beato Giovanni Paolo II è stato vero apostolo: promuovendone il culto e istituendone la festa, che cade nella domenica dopo Pasqua. A costoro, pertanto, vale il rimprovero di Gesù: « Se aveste compreso che cosa significa: “Misericordia io voglio e non sacrificio”, non avreste condannato persone senza colpa » (Matteo 12, 7).
Grazie al Cielo, il Figlio dell’uomo è venuto non per condannare, ma per salvare il mondo (Giovanni 3,17), aprendoci così alla confidenza in Dio, il quale – come dice la Scrittura – “dà il cibo ad ogni vivente: perché eterna è la sua misericordia” (Salmo 135, 25).
(tratto da La voce del paese, edizione Conversano, 7 maggio 2011, p. 25)
Nessun commento:
Posta un commento