Il 13 maggio scorso è stata finalmente pubblicata dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei la “Istruzione sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data Summorum Pontificum di S.S. Benedetto PP. XVI”, sinteticamente detta “Universae Ecclesiae”.
La “Istruzione Universae Ecclesiae” esce dopo alcuni anni di attesa: da quando, cioè, fu pubblicato il “Motu Proprio Summorum Pontificum”, in data 7 luglio 2007. Ed esce ricordando innanzitutto “alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana”. È quanto, appunto, leggiamo nel prooemium della Universae Ecclesiae: «La Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana (Romanae Liturgiae divitias)» (Universae Ecclesiae, n. 1). È proprio così!
A quanti avevano – a torto – voluto ravvisare nella pubblicazione del Summorum una sorta di regressione e impoverimento della Liturgia Romana, il magistero di Papa Benedetto XVI rispondeva in modo inequivocabile, ribadendo che “le due forme [quella ordinaria e quella straordinaria] dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda” (Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970).
Soprattutto a beneficiare di questo arricchimento sarà la “celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI”, nella quale “potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale” (ivi).
Che “la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano [antico] arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni” (Summorum Pontificum) è fuor di dubbio! Ce lo attesta la notizia di questi giorni pubblicata sul Washington Post e divulgata dal sito internet “Messainlatino.it” col titolo: «Inizia l’esodo anglo-cattolico anche negli Stati Uniti. Una parrocchia nel Maryland appartenente alla Chiesa episcopale (il nome degli anglicani oltreoceano), tra cui il suo pastore, ha deciso di convertirsi al cattolicesimo, la prima negli Stati Uniti a prendere la decisione con le nuove regole vaticane che istituiscono ordinariati per protestanti pentiti (Anglicanorum coetibus)». È significativo notare che “i rappresentanti della parrocchia [in questione (“St Luke”)] hanno riferito che non stavano lasciando la Chiesa episcopale a causa dell’ordinazione delle donne e dei gay, questioni che hanno amaramente diviso l’ala americana della Chiesa anglicana e sono coincise con sforzi intensificati del Vaticano per aprire agli anglicani. La ragione, hanno detto, era quella di soddisfare il loro desiderio di un’autorità religiosa chiara accettando la guida di Papa Benedetto XVI”. Che non sia stata, provvidenzialmente, l’apertura di questo Papa al Rito Romano Antico? Penso proprio di sì, visto che questi “parrocchiani sono più simili ai cattolici di prima del Concilio Vaticano II, con il sacerdote girato nella stessa direzione dell’assemblea verso l’altare posto contro il muro e non nel mezzo”
(http://blog.messainlatino.it/2011/06/inizia-lesodo-anglo-cattolico-anche.html).
Nella “Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus circa l’istituzione di Ordinariati Personali per Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica” leggiamo: «Senza escludere le celebrazioni liturgiche secondo il Rito Romano, l’Ordinariato ha la facoltà di celebrare l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, la Liturgia delle Ore e le altre azioni liturgiche secondo i libri liturgici propri della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede, in modo da mantenere vive all’interno della Chiesa Cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della Comunione Anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere».
Ancora una volta, dunque, ribadito il concetto di “ricchezza” di cui è permeata la Liturgia della Chiesa Cattolica: “nella fulgida varietà dei riti, nella multiforme azione, nella infrangibile unità” (Giovanni XXIII, Discorso alla Commissione Antepreparatoria del Concilio, 30 giugno 1959). Un principio, questo, ripreso dal Vaticano II, che stabilisce: «Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno, sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi anche nella elaborazione teologica della verità rivelata, pur custodendo l’unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa poi rispettino la carità. Poiché agendo così, manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e insieme l’apostolicità della Chiesa» (Unitatis redintegratio, n. 4).
È in questo spirito conciliare che auguriamo alla Universae Ecclesiae il successo che merita, trovando benevolo accoglimento da parte dei fedeli, ma, soprattutto, del clero, sensibile a “celebrare degnamente i santi misteri”: ad laudem et gloriam nominis sui, ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecclesiae suae sanctae.
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