di Marcello Filotei
È paradossale che proprio la liturgia, luogo principe dell’armonia e dell’incontro, sia a volte concepito come una sorta di campo di battaglia da quanti — ognuno con le proprie rispettabili ragioni — vorrebbero rivedere le modalità di utilizzo della musica e del canto durante le celebrazioni. L’argomento è di particolare interesse, tanto che il quotidiano «la Repubblica» gli dedica tre pagine nel numero del 16 giugno, rilevando incongruenze nei testi di alcuni canti moderni e lamentando un basso livello nella qualità dei canti liturgici in genere.
È indubbio che in molti casi il tasso «artistico» dei brani musicali proposti nelle chiese è discutibile, ma appare semplicistico — se non strumentale — contrapporre questa produzione al corpus gregoriano. L’enorme patrimonio che giunge dai secoli passati, infatti, ispira e si affianca alle nuove proposte. La questione, semmai, è come garantire che i canti di oggi siano di livello artistico degno del ruolo che devono sostenere nella liturgia, un ruolo che non è solo decorativo.
Cantare il gregoriano non è vietato ed è anzi auspicabile e possibile, anche in forma semplice. Ma chi si lamenta perché le antiche melodie non sono abbastanza valorizzate, non fa che certificare un problema culturale: nella liturgia spesso, purtroppo, il livello della musica è paragonabile a quello, molto basso, dei brani trasmessi in radio e in televisione, almeno in Italia, come rileva tra l’altro sul giornale romano il consulente per la musica liturgica della Conferenza episcopale italiana, monsignor Vincenzo De Gregorio. La qualità dei canti che si ascoltano in chiesa è, in genere, lo specchio di una situazione di degrado culturale più ampio. Tale argomento non può però essere utilizzato per sostenere che tutto quello che è venuto dopo il concilio Vaticano II sia da rigettare in blocco.
Spazio, dunque, a tutte le opinioni, ma non alle strumentalizzazioni di quanti, da una parte e dall’altra, brandiscono come clave le proprie visioni della musica liturgica. Forse non è ancora chiaro il percorso per arrivare alla composizione di inni moderni, rispettosi della tradizione e di alto livello artistico e che convivano con la giusta valorizzazione del gregoriano. Per il momento però si può evitare di negare dignità artistica a chi sostiene tesi diverse dalle proprie. Almeno per riguardo alla liturgia.
tratto da L'Osservatore Romano del 17 giugno 2011
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