domenica 28 agosto 2011

Un Tabernacolo senza Regno


di Riccardo Rodelli

La prima cosa che ricordo quando mio padre mi portò in Chiesa da piccolo è stata: lì, nel Tabernacolo, c’è Gesù! Ecco, a quella spiegazione seguirono gli ingenui pensieri di un bambino che si chiedeva come nostro Signore potesse essere rinchiuso in quella porticina, al centro non solo della Chiesa, ma al centro di un Tabernacolo contornato da ricami. La mia fede incominciava a muovere i primi passi, partendo da quel dubbio e si dovette confrontare con le leggi della fisica che mi imponevano di non poter accettare una simile realtà. Ma da piccino, si sa, la fisica è una verità molto poco rigida e la fede è assai piena di vie d’uscita. Perciò per me era più semplice concepire Dio lì dentro piuttosto che pensare che quello detto da mio padre non fosse vero. In sostanza partii dal Tabernacolo per poi costruirci intorno la Chiesa. Ora che son passati un po’ di anni, ora che le leggi della fisica non sono poi così prive di senso, ma sicuramente non superiori alle capacità di Dio di stare in quel misero spazio, comprendo quanto sia vero che la Chiesa si costruisce intorno al Tabernacolo, intorno a Gesù e non viceversa. Una volta assodata la centralità di Cristo, dovetti spiegarmi perché quel Sepolcro fosse al centro di un altare pieno di Santi e angioletti. In realtà questa domanda non mi venne in mente finché non incominciai a vedere altari distanti dal Tabernacolo e Tabernacoli soli, più che soli… isolati.  
Un ragazzo una volta mi chiese: “ma perché esiste la Santissima Trinità?” Gli risposi: “Pensa di essere chiuso in una casa, da solo, senza possibilità di comunicare con nessuno, potresti Amare?” Lui mi rispose: “No!” “Ecco - aggiunsi - Dio Padre per amare ha bisogno di altre persone, Figlio e Spirito Santo. Dio che è la perfezione, non ama la solitudine, l’Altissimo che è sufficiente all’Universo, non basta a Se Stesso”. 
Da qui capii che i Tabernacoli pieni di Santi e di Angeli volevano essere proprio questo, la compagnia necessaria per non far rimanere Gesù solo in quel Tabernacolo. Gesù in Corpo, Anima e Divinità, presente nella Pisside non può scendere dal cielo per rimanere chiuso in un semplice monolocale. Quell’altare in una semplice Chiesa diventa un piccolo paradiso visibile a tutti… non potendo pensare che Dio lasci il Suo trono per noi, sia esso Croce o Cielo, preferisco credere che porti noi lassù… e lo fa lasciandoci con i piedi per terra. Quello che oggi mi capita di vedere è la tristezza di Cristo nell’essere non solo allontanato dalla centralità di un altare ma privato anche della Sua schiera di angeli e santi. Una stanzetta, sospesa in aria, senza capo né coda, volteggia per le stanze di una Chiesa, che si ritrova senza padrone di casa. 
Ricordare, che vuol dire? Mettere nel cuore. Quello che dice il buon ladrone a Gesù sulla Croce: “Ricordati di me quando sarai nel Tuo regno”; ecco, il Cuore di Gesù è il Regno, è il Paradiso; per questo motivo è inimmaginabile pensare Gesù staccato dal Suo, dal nostro Paradiso. Più volte mi è capitato di pensare la mia vita come quella di una qualunque persona che entra in Chiesa. L’entrare nella casa di Dio è ricevere il Battesimo, è il biglietto che ti permette l’accesso… poi gli anni passano e i passi lungo la navata centrale sono segnati ai lati dalla presenza dei Santi. I santi sono coloro i quali ci affiancano, ci spingono, ci indirizzano verso la meta, l’altare, il Tabernacolo, il Paradiso, Dio. 
Difatti, a San Matteo, mia parrocchia a Lecce, San Pietro si trova come ultima statua prima di accedere all’altare, un po’ come ci viene descritto, in piedi, fiero davanti alle porte della Patria celeste. Leggere i simboli, ritrovare somiglianze e similitudini con quelle che saranno le immagini che si abbasseranno davanti ai nostri occhi, superata questa vita, ci permette di vedere la nostra esistenza, come non slegata dalla vita che Gesù ci ha promesso. Ma se immaginiamo Cristo solo, senza la schiera di Serafini e Cherubini, senza quei Santi che ha tanto amato, tanto da donare la propria vita per la loro santificazione, che avrà di così bello questo Paradiso? Mi piace pensare che in quel luogo, senza spazio e senza tempo, un giorno possa esserci anch’io e magari, chi lo sa, ispirare qualche scultore a inserirmi in un’ altare, perché anche nella pietra fredda di una Chiesa possa lodare il mio Signore.  
In occasione della revoca della scomunica dei quattro vescovi ordinati da mons. Lefevbre il 10 marzo 2009, il Santo Padre si espresse in questo modo: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.” Quello che il Santo Padre ha fatto nel revocare la scomunica ai quattro Vescovi è stato un atto d'amore della Chiesa. La più grande forma di pastorale, che da taluni viene sbandierata (a volte insieme alla bandiera della pace) in modo confusionario e orientata verso i quattro venti, è stata rivolta dal Papa verso quella parte di Chiesa che si era appropriata di un tradizionalismo che non le era proprio, ma che appartiene, da sempre, alla Chiesa Apostolico Romana. 
Il Santo Padre, in poche righe, ha evidenziato un problema di cui, forse, l'uomo occidentale, probabilmente in buona coscienza, non riesce a rendersi conto e cioè che la Fede non è più possibile darla come un dato acquisito. La società medioevale, ispirata e intrisa di valori cristiani, non esiste più proprio perché la Fede incomincia a spegnersi, si spegne, forse, proprio perché diventa scontata, proprio perché si ritiene, una volta raggiunta, di averla immune da qualunque pericolo di perderla. Di certo, come ha detto il card. Malcolm Ranjith, in occasione della Conferenza sull'Adorazione 2011, la Fede della Chiesa non si può misurare dalla partecipazione, dalla presenza fisica dei fedeli alla Santa Messa, ma sono prova di fede le modalità con cui i fedeli si avvicinano alla Corpo di nostro Signore durante l'Eucarestia. Nell'enciclica Ecclesia de Eucaristia, il beato Giovanni Paolo II, conferma che la Messa rappresenta il momento culmine in cui la Chiesa entra in comunione non solo con la comunità di cristiani, ma con Dio, anzi direi che è proprio il contrario, entra in contatto con Dio Creatore e, quindi, con le sue creature, cioè i fedeli "partecipanti" e non alla Sacra Liturgia. La Messa non è fatta solo per chi partecipa, ma per la Chiesa, che è comunità di anime e quindi anche per quelli che non siedono sugli scanni. Mettere in contatto, legare a doppio nodo, il fedele e Dio con la Santa Liturgia, ci fa comprendere quanto quel momento non è a nostra disposizione. La centralità di Cristo nel Tabernacolo non è soggetta al nostro volere, il Suo spostamento non è altro che l'allontanamento di Cristo dallo sguardo, di un fedele che per Lui e grazie a Lui si trova ad assistere al mistero di cui la Chiesa si fa portatrice. Se per secoli le Chiese venivano costruite non per ospitare quanti più fedeli possibili, ma per glorificare Dio, l'altezza era un modo simbolico per elevarsi a lui e la centralità del Tabernacolo era il modo per mettere Cristo al centro dello sguardo, perché occhio e cuore venissero indirizzati verso lo stesso fine; altezza e profondità, mettevano l'uomo davanti alla grandezza di Dio.
Il decentramento del Santissimo è avvenuto per giustificare il fatto che, secondo la nuova forma di celebrazione, non coram Deo ma coram populo, il celebrante avrebbe dato le spalle al Santissimo, per privilegiare il vis a vis con un popolo che invocava il proprio diritto di esser guardato in faccia. E così, anteponendo al diritto di Dio di stare davanti gli occhi di ognuno, quello di un sacerdote che si mette al centro di qualcosa che non gli appartiene, il sacrificio di Cristo diviene una commemorazione in Sua memoria e non in Sua presenza, per cui diviene semplice considerare il Corpo di Gesù un simbolo. Qui la Chiesa, per chiesa torno a rifarmi al significato proprio del termine, cioè comunità di anime, perde la fede nel mistero della Transustanziazione che ha senso di esistere finché si crede che quello sia il corpo di Cristo. Intaccare il mistero e pretendere di farlo comprendere attraverso la partecipazione dialogante e non anche orante, come Sant'Agostino ci invita a fare, non fa che rendere umano ciò che è divino. Se si rende umano il divino allora, stravolgiamo quel concetto così pieno di verità, espresso da Sant'Agostino: "Signore perché ci hai fatti per te, il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te."
La mancanza di fede passa innanzitutto, credo, da una mancanza di Fede nelle Santissime Specie. Ecco perché il card. Malcolm Ranjith ricorda che il Concilio Vaticano II non ha mai promosso la comunione sulla mano e che per tale motivo è da considerarsi abuso, perché non permette un'adorazione necessaria per ricevere il Santissimo Sacramento. Sant'Agostino nelle Confessioni ci rende partecipi di un dubbio che non riguarda solo lui, ma che dovrebbe coinvolgere ogni uomo che umilmente cerca, desidera, vuole Cristo. Si chiede, appunto, se la lode a Dio debba avvenire prima o dopo la conoscenza che l'uomo ha di Lui: “Concedimi, Signore, di conoscere e capire se si deve prima invocarti o lodarti, prima conoscere oppure invocare. Ma come potrebbe invocarti chi non ti conosce? Per ignoranza potrebbe invocare questo per quello. Dunque ti si deve piuttosto invocare per conoscere? Ma come invocheranno colui, in cui non credettero? E come credere, se prima nessuno dà l’annunzio? Loderanno il Signore coloro che lo cercano perché cercandolo lo trovano, e trovandolo lo loderanno. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e t’invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. T’invoca, Signore, la mia fede, che mi hai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante l’opera del Tuo Annunziatore.” 

venerdì 19 agosto 2011

Un bel compendio delle scelte del Santo Padre in materia liturgica

Santuario di Monte Sant'Angelo
Nei giorni scorsi la Congregazione per il Clero ha inviato una lettera circolare ai Rettori di Santuari del mondo, in cui si ribadiscono, in maniera chiara, i capisaldi delle scelte di S.S. Benedetto XVI in materia liturgica: ne offriamo di seguito un’ampia selezione che mostra   l'intima unità tra liturgia, musica sacra, paramenti, rubriche, posizione del tabernacolo, confessionale, pietà popolare, adorazione eucaristica.

[…] Qual è il cuore delle attività pastorali in un Santuario? La normativa canonica, a proposito  di  questi  luoghi  di  culto,  con  profonda  saggezza  teologica  ed  esperienza ecclesiale, prevede che in essi «si offrano ai fedeli con maggior abbondanza i mezzi della salvezza, annunziando con diligenza la Parola di Dio, incrementando opportunamente la vita liturgica, soprattutto con la celebrazione dell’Eucaristia e della Penitenza, come pure coltivando le sane forme della pietà popolare» (can. 1234, §1). […]

1. Annuncio della Parola, preghiera e pietà popolare
Il santuario è il luogo in cui risuona con singolare potenza la Parola di Dio. […].
L’annuncio della Parola assume un ruolo essenziale nella vita pastorale del Santuario. I ministri sacri hanno pertanto il compito di preparare tale annuncio, nella preghiera e nella meditazione, filtrando il contenuto dell’annuncio con l’aiuto della Teologia spirituale, alla scuola  del  Magistero  e  dei  Santi.  Le  fonti  principali  della  loro  predicazione  saranno costituite dalla Sacra Scrittura e dalla Liturgia (cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, n. 35), alle quali si uniscono il prezioso Catechismo della Chiesa Cattolica ed il Compendio di esso. […]

La risposta umana ad un fecondo annuncio della Parola di Dio è la preghiera. «I Santuari, per i pellegrini che sono alla ricerca delle loro vive sorgenti, sono luoghi eccezionali per vivere “come Chiesa” le forme della preghiera cristiana» (Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC], 11 ottobre 1992, n. 2691).

La vita di preghiera si sviluppa in diversi modi, tra i quali troviamo varie forme di pietà popolare che sempre devono lasciare «spazio adeguato alla proclamazione e all’ascolto della Parola di Dio; infatti, “nella parola biblica, la pietà popolare troverà una fonte inesauribile di ispirazione, insuperabili modelli di preghiera e feconde proposte tematiche”» (Verbum Domini, n. 65).
Il Direttorio su pietà popolare e liturgia (Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, 9 aprile 2002) dedica un capitolo ai Santuari e ai pellegrinaggi, auspicando «un corretto rapporto tra le azioni liturgiche e i pii esercizi» (n. 261). La pietà popolare è di grande rilievo per la fede, la cultura e l’identità cristiana di molti popoli. Essa è espressione della fede di un popolo, «vero tesoro del popolo di Dio» (ibidem, n. 9), nella e per la Chiesa: per capirlo, basti immaginare la povertà che ne risulterebbe per la storia della spiritualità cristiana d’Occidente l’assenza del “Rosario” o della “Via Crucis”, come delle processioni. Sono soltanto  esempi, ma sufficientemente evidenti per rilevarne l’imprescindibilità.
[…] La pratica personale di forme di pietà popolare non va assolutamente ostacolata o rigettata, anzi va favorita, ma non può sostituirsi alla partecipazione al culto liturgico. Tali espressioni, infatti, piuttosto che contrapporsi alla centralità della Liturgia, devono affiancarsi ed essere sempre orientate ad essa. È infatti nella celebrazione liturgica dei Sacri Misteri che si esprime la preghiera comune della Chiesa tutta.

2. Misericordia di Dio nel sacramento della Penitenza
[…] Il Santuario è pure il luogo della permanente attualizzazione della misericordia di Dio. È luogo ospitale in cui l’uomo può avere un’incontro reale con Cristo, sperimentando la Verità del Suo insegnamento e del Suo perdono, per avvicinarsi degnamente, e quindi fruttuosamente, all’Eucarestia. […].
I ministri della Penitenza siano disponibili ed accessibili, coltivando un atteggiamento comprensivo, accogliente ed incoraggiante (cfr. Il Sacerdote ministro della misericordia divina, nn. 51-57). Per rispettare la libertà di ogni fedele ed anche per favorire la propria piena sincerità nel foro sacramentale, è opportuno che siano, in luoghi adatti (ad esempio, possibilmente, cappella della Riconciliazione), disponibili dei confessionali provvisti di una grata fissa. Come insegna il Beato Papa Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Misericordia Dei (7 aprile 2002): «La sede per le confessioni è disciplinata dalle norme emanate dalle rispettive conferenze episcopali, le quali garantiranno che essa sia collocata in un luogo visibile e sia anche provvista di grata fissa, così da consentire ai fedeli ed agli stessi confessori che lo desiderano di potersene liberamente servire» (n. 9, b – cfr. can. 964, § 2; Pontificio Consiglio per l'Interpretazione dei testi Legislativi, Responsa ad propositum dubium: de loco excipiendi sacramentales confessiones [7 luglio 1998]: AAS90 [1998] 711; cfr. Il Sacerdote ministro della misericordia divina, n. 41).
[…] I sacerdoti, poi, nel dispensare la misericordia divina, adempiano debitamente questo peculiare ministero aderendo con fedeltà all’insegnamento genuino della Chiesa. Siano ben formati nella dottrina e non trascurino di aggiornarsi periodicamente su questioni attinenti soprattutto all’ambito morale e bioetico (cfr.  CCC,  n. 1466).  Anche nel campo matrimoniale, rispettino quanto autorevolmente insegna il  Magistero ecclesiale. Evitino quindi di manifestare in sede sacramentale dottrine private, opinioni personali o valutazioni arbitrarie non conformi a  ciò che la  Chiesa crede ed insegna. Per la  loro formazione permanente sarà utile incoraggiarli a partecipare a corsi specializzati, quali, ad esempio, potrebbero essere quelli organizzati dalla Penitenzieria Apostolica e da alcune Pontificie Università (cfr. Il Sacerdote ministro della misericordia divina, n. 63).

3. L’Eucarestia, fonte e culmine della vita cristiana
[…] La celebrazione Eucaristica costituisce il cuore della vita sacramentale del Santuario. In essa il Signore si dona a noi. […].
La dignità della celebrazione Eucaristica venga anche opportunamente messa in risalto mediante il canto gregoriano, polifonico o popolare (cfr. Sacrosanctum Concilium, nn. 116 e 118); ma anche selezionando adeguatamente sia gli strumenti musicali più nobili (organo a canne ed affini, cfr. ibidem, n. 120), sia le vesti che vengono indossate dai ministri unitamente alle suppellettili utilizzate nella Liturgia. Esse devono rispondere a canoni di nobiltà e di sacralità. Nel caso delle concelebrazioni, si prenda cura che ci sia un Maestro di cerimonia, che non concelebri, e si faccia il possibile affinché ogni concelebrante indossi la casula, o pianeta, quale paramento proprio del sacerdote che celebra i divini misteri.
Il  Santo  Padre  Benedetto XVI  scriveva, nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis  (22 febbraio 2007), che «la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata» (n. 64). Nella Santa Messa, allora, i ministri rispettino fedelmente quanto stabilito dalle norme dei Libri liturgici. Le rubriche, infatti, non rappresentano indicazioni facoltative per il celebrante bensì prescrizioni obbligatorie che egli deve accuratamente osservare con fedeltà ad ogni gesto o segno. Ad ogni norma, infatti, è sotteso un senso teologico profondo, che non può essere sminuito o comunque misconosciuto. Uno stile celebrativo, che introduca innovazioni liturgiche arbitrarie, oltre a generare confusione e divisione tra i fedeli, lede la veneranda Tradizione e l’autorità stessa della Chiesa, nonché l’unità ecclesiale. […].
Come frutto del Suo dono nell’Eucarestia, Gesù Cristo rimane sotto le specie del pane. Le celebrazioni come l’Adorazione eucaristica al di fuori della santa Messa, con l’esposizione e la benedizione con il Santissimo Sacramento, manifestano quello che sta nel cuore della celebrazione: l’Adorazione, ossia l’unione con Gesù Ostia.
A tal riguardo, insegna il Papa Benedetto XVI che «nell’Eucarestia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della Celebrazione stessa, la quale è in sé il più grande atto di adorazione della Chiesa» (Sacramentum Caritatis, n. 66), altresì aggiungendo: «L’atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto si è realizzato nella Celebrazione liturgica stessa» (ivi).
In  tal  modo, si  attribuisca notevolissima importanza al  luogo  del  tabernacolo nel Santuario (o anche di una cappella destinata esclusivamente all’adorazione del Santissimo) poiché è in sé “calamita”, invito e stimolo alla preghiera, all’adorazione, alla meditazione, all’intimità  con  il  Signore.  Il  Sommo  Pontefice,  nella  summenzionata  Esortazione, sottolinea che «la corretta posizione del tabernacolo, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È  necessario, pertanto, che il  luogo in cui vengono conservate le Specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa» (ibidem, n. 69).
Il tabernacolo, custodia eucaristica, occupi un posto preminente nei Santuari, così come anche, nel ricordare la relazione tra arte, fede e celebrazione, si ponga attenzione a «l’unità tra gli elementi propri del presbiterio: altare, crocifisso, tabernacolo, ambone, sede » (ibidem, n. 41). La retta collocazione dei segni eloquenti della nostra fede, nell’architettura dei luoghi di culto, favorisce indubbiamente, in particolare nei santuari, la giusta priorità a Cristo, pietra viva, prima del saluto alla Vergine o ai Santi giustamente venerati in quel luogo, dando così occasione alla pietà popolare di manifestare le sue radici veramente eucaristiche e cristiane.

4. Un nuovo dinamismo per l’evangelizzazione
Infine, mi è gradito rilevare che ancora oggi i Santuari conservano uno straordinario fascino, testimoniato dal numero crescente di pellegrini che vi si recano. Non raramente si tratta di uomini e donne di tutte le età e condizioni, con situazioni umane e spirituali complesse,  alquanto  lontani  da  una  vita  di  fede  solida,  o  con  un  fragile  senso  di appartenenza ecclesiale. Fare visita ad un Santuario può rivelarsi per essi una preziosa opportunità per incontrare Cristo e per riscoprire il senso profondo della propria vocazione battesimale o per sentirne un richiamo salutare.
[…] sarà conveniente considerare la possibilità di creare appuntamenti spirituali anche in serata o di notte (adorazioni notturne o veglie di preghiera), laddove l’affluenza di pellegrini si rilevi di notevole entità e di flusso permanente.

[…] L’Adorazione eucaristica, la pia pratica della Via Crucis e la preghiera cristologica e mariana  del  Santo  Rosario,  saranno,  con  i  sacramentali  e le  benedizioni  votive, testimonianze della pietà umana e cammino con Gesù verso l’amore misericordioso del Padre nello Spirito. Così la pastorale della famiglia sarà rinvigorita, e sarà provvidamente feconda la preghiera della Chiesa al «Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9, 38): sante e numerose vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione!
I Santuari, inoltre, nella fedeltà alla loro gloriosa tradizione, non dimentichino di essere impegnati nelle opere caritative e nel servizio assistenziale, nella promozione umana, nella salvaguardia dei diritti della persona, nell’impegno per la giustizia, secondo la dottrina sociale della Chiesa. Attorno ad essi è bene che fioriscano anche iniziative culturali, quali convegni, seminari, mostre, rassegne, concorsi e manifestazioni artistiche su temi religiosi. In questo modo i Santuari diventeranno anche promotori di cultura, sia dotta che popolare, contribuendo, per  la  loro parte, al  progetto culturale orientato in  senso cristiano della Chiesa. […]

venerdì 5 agosto 2011

Nicola Bux: “Sarà pure messa antica. Ma con una massa di giovani”

a cura di Francesco Mastromatteo


Don Bux, persino l’inserto di un quotidiano non certo filo cattolico come Repubblica ha dovuto riservare un servizio alla diffusione della messa in latino secondo il Messale del 1962. Qualcosa sta cambiando?
Il bilancio è senz’altro positivo: c’è un crescendo di tale opportunità data dal Papa a tutta la Chiesa. Essa si è diffusa senza imposizioni, dopo che il Motu Proprio del 2007 ha aperto una breccia. Si è ormai fatta strada l’idea che il rito antico non è mai stato abolito, e che la riforma liturgica non era una delle necessità impellenti volute dal Concilio. L’ostilità verso la messa in latino era sostenuta attraverso tesi infondate, come quella per cui nei primi secoli il sacerdote celebrasse rivolto verso il popolo, mentre dopo avrebbe dato le spalle al popolo: espressione fasulla, visto che il sacerdote era rivolto verso il Signore.

Una Messa antica ma amata dai giovani: non è un paradosso?
Basta andare in giro come faccio io per celebrazioni e conferenze: non solo in Italia ma all'estero il rito antico si diffonde sempre più proprio tra i più giovani. A mio parere ciò è dovuto al fatto che i ragazzi si approcciano alla fede ricercando il senso del Mistero, e lo trovano in maniera evidente nella Messa celebrata in forma straordinaria. Il ritorno al rito tradizionale non è secondario per la fede: esso favorisce in una dimensione verticale l’incontro con Dio in un mondo contemporaneo in cui lo sguardo dell’uomo è ripiegato su se stesso e sulla dimensione materiale dell’esistenza. In questo senso ha favorito una sorta di “contagio” spirituale benefico.

Qualche mese fa la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha emanato un documento, l’istruzione sull'applicazione del Motu Proprio. C’è chi ha parlato di una sorta di richiamo ai vescovi a venire incontro alle richieste dei fedeli…
È una traduzione in indicazioni concrete del Motu Proprio. La media dei vescovi, che all’inizio erano perplessi, ora può cominciare a muoversi nella direzione giusta. Questa istruzione incoraggia i vescovi ad esaudire le richieste dei fedeli sensibili alla messa antica, che deve essere considerata da tutti una ricchezza della liturgia romana.

Non è un mistero che parecchi episcopati non abbiano apprezzato questa scelta, e cerchino in tutti i modi di ostacolarla, comportandosi da veri e propri ribelli verso il Papa…
Esiste senz’altro una forma di neogallicanesimo strisciante, per cui alcuni settori della Chiesa pensano di essere autosufficienti da Roma. Ma chi ragiona in questi termini non è cattolico. I vescovi che disobbediscono al Papa si mettono nelle condizioni di non essere a loro volta obbediti da parroci e fedeli.

Nella Chiesa si è sempre detto: lex orandi lex credendi. La liturgia è saldamente legata alla teologia. Papa Benedetto XVI ha fissato come bussola del suo Magistero la continuità con la Tradizione e un gesto forte è stato quello di togliere la scomunica ai lefebvriani. Cosa ne pensa?
Penso sia stato un gesto di grande carità. Rompere la comunione è facile, il difficile è ricucire, ma Cristo ha voluto che fossimo tutti una sola cosa e questo per noi deve essere un imperativo. L’opera meritoria del Papa evidenzia la sua grande pazienza, ma d'altronde se così non fosse assisteremmo ad un paradosso: mentre si postula tanto il dialogo con i non cattolici e addirittura con i non cristiani, come si può essere pregiudizialmente ostili all’idea di riunirsi con chi ha la stessa fede? Lo stesso Benedetto XVI in quell’occasione citò opportunamente la lettera di San Paolo ai Galati: “Se vi mordete e divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri”. Il dramma attuale della Chiesa è l’esclusivismo da parte di chi si professa ecumenico.

In questa occasione si parlava di politica e valori. “Questione morale” è un’espressione di cui molti esponenti di partito si riempiono la bocca…
Sento parlare molto in giro della necessità di “codici etici” per i partiti, ma di un’etica non meglio precisata. Può mai derivare dall'uomo la fonte di ciò che è bene o male? Bisognerebbe tornare ai Dieci Comandamenti, le uniche vere tavole etiche che derivano da Dio.

(dal sito www.papalepapale.com)