di Giannicola D'Amico
Del concerto offerto dal card. Domenico Bartolucci al S. Padre presso il Palazzo di Castel Gandolfo, nel pomeriggio del 31 agosto, c’è ormai ampio riferimento sui vari siti che seguono le “cose” vaticane, con commenti ampi e circostanziati, soprattutto circa il breve – ma incisivo – indirizzo di omaggio al Papa che il Maestro ha anteposto al concerto.
Agli amici che leggono questo Blog desidero soltanto riportare qualche riflessione personale e cercare di partecipare l’emozione evocata dall’aver assistito all’evento, per eccezionale privilegio, nel nitido cortile della residenza estiva del S. Padre.
Sono stati eseguiti dal Rossini Chamber Choir e dall’Orchestra Filarmonica Marchigiana, diretti da Simone Baiocchi, la cantata Baptisma e alcuni mottetti di Bartolucci, fra cui un Benedictus composto e dedicato al Pontefice per questa occasione.
Musica di altissimo valore, non solo tecnico: ascoltando il Baptisma, scritto nell’ormai lontanissimo 1947, si resta stupefatti di quanta modernità sonora ancora oggi quella scrittura musicale sia capace di connotare, pur senza quello “scandalo” per le orecchie che molti autori contemporanei hanno cercato studiatamente, e si resta pure ammirati di quanto vigore drammatico, con un organico tutto sommato ridotto, il giovane Autore seppe infondere al testo composto da p. Cesario D’Amato, poi abate di S. Paolo fuori le Mura.
Il mottetto eseguito in chiusura, Christus circumdedit me – come ha detto il M° Baiocchi “veramente quattro note” – mi ha profondamente commosso, per averlo cantato diversi decenni fa come fanciullo cantore, agli ordini di un antico maestro, ammiratore di Bartolucci.
Ma la commozione più profonda era dovuta alla visibile emozione del S. Padre nell’ascoltare il concerto e nei suoi gesti di cortesia nei confronti del vegliardo cardinale, del giovane direttore e di tutti i musicisti.
Musica dunque composta tenendo d’occhio i postulati che S. Pio X definì quali indefettibili per poter parlare di composizioni sacre o destinate al servizio liturgico: universalità, santità, bontà di forme.
E sulla bontà di forme, ovvero sul livello artistico che Bartolucci ha saputo infondere alle sue opere, sempre legate a una altissima Tradizione vocale gregoriana e romana, e perciò universale al tempo stesso, non si può profferir verbo.
Ultimamente le sue composizioni (assieme a quelle di un solo altro musicista, Valentin Miserachs Grau) sono state accolte in una mostra di arte cattolica presentata a Benedetto XVI dal Pont. Cons. per la Cultura , quali opere significative dell’ultimo secolo di arte cristiana.
Eppure è d’obbligo una domanda: quanta “arte vera” negli ultimi tempi ha sostanziato la produzione musicale destinata al servizio liturgico?
In quel “cambiamento di cose” degli ultimi decenni, cui Bartolucci si riferiva nel saluto iniziale, vi era l’amara constatazione che la Chiesa ha troppo spesso optato per musica che con i valori della vera arte non aveva e non ha condivisione, come ancor più spesso sganciata da qualsiasi tradizione liturgica, vocale, compositiva.
Il S. Padre ci indirizza e ci sprona a percorrere la via del risanamento – come ha fatto implicitamente pure nel breve discorso di ringraziamento dopo il concerto - di una Liturgia troppo spesso sfigurata da scelte musicali inopportune, inadatte ed incompatibili con la sua natura divina e con la sua più verace e alta tradizione.
La malaugurata caduta del Papa, a fine cerimonia, è stata una metafora degli ostacoli che si incontrano e si incontreranno su questo percorso.
Fortunatamente Benedetto XVI si è sollevato immediatamente, mentre il giovane Antonio Alò gagliardamente gridava “W il Papa!”, provocando uno scrosciante applauso nel pubblico.
Il S. Padre ha ringraziato sorridendo quasi con un grande abbraccio che – mi sia consentito – valeva pressoché come la Benedizione apostolica poco prima impartitaci.
Un assolato tramonto chiudeva la giornata, sul lago di Castello.
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