di Giannicola D'Amico
Due settimane fa, visto l’equivoco spettacolo di danze indiane nella Cattedrale barese con lotteria annessa, mi spinsi ad ipotizzare che durante le Notti sacre, indette dall'Ufficio Liturgico Diocesano, il buon senso dei responsabili della res ecclesiastica del capoluogo si fosse (temporaneamente) addormentato.
Esso purtroppo però sembra profondamente in letargo, nonostante la perdurante bella stagione.
Si è chiusa il 18 ottobre la mostra “Oltre il sacro”, ospitata nella Chiesa del Gesù, nel borgo antico, tempio ancora consacrato e regolarmente aperto al culto, poiché affidato alle cure dell’Ordine del S. Sepolcro.
In questo caso ai visitatori dell’allestimento, ed ai fedeli, non è stato risparmiato qualche effetto “speciale” che sarebbe stato meglio ospitare fuori di un luogo sacro, visto che già gli organizzatori avevano battezzato la mostra con una locuzione la quale, da sola, poteva evocare scenari di profanità, forse sfuggiti all’autorità ecclesiastica.
Si è trattato di un allestimento di opere d’arte contemporanea, di diverso genere e di varia mano, che solo in alcuni casi avevano qualche apparente addentellato con il “sacro”, ovviamente rivisitato in quelle forme così sibilline e solipsistiche delle varie correnti post-moderne e post-contemporanee.
Le opere sono rimaste esposte, anche durante le funzioni religiose, opponendo alle severe figure dei Santi Gesuiti che continuano ad occhieggiare benevole dalle tele degli altari, l’attonita immobilità di pesci stilizzati alquanto enigmatici o un ideale fotogramma di alcune enormi carte napoletane (di cui, fortunatamente si mostrava solo il dorso, con il motivo alla Escher), in un immoto quanto ingombrante ed improbabile equilibrio, proprio presso l’altar maggiore, oltre a scritture a tappeto formate da ossa, forse non umane, bianchi parallelepipedi marmorei “senza titolo” e via discorrendo.
Ma fin qui vorrei dire, con un po’ di amaro in bocca per ben immaginabili motivi, “nulla quaestio”: è ormai consuetudine che in chiesa si ospiti di tutto un po’, altrimenti il clero viene tacciato di oscurantismo, bigotteria, filoinquisizionalismo e i cattolici di avversare in modo tetragono ogni progresso artistico.
Senonchè sospesa alla cantoria restava la copia apparente della celeberrima Madonna del Granduca di Raffaello: solo apparente perché guardandola bene si restava gradualmente … stomacati!
Si trattava di una irridente parodia di uno dei capolavori del Rinascimento e di uno dei vertici dell’arte sacra di tutti i tempi: alla Vergine era stato sostituito il volto di Madonna, al secolo Louise Veronica Ciccone, apposte unghie degne di una geisha (per usare un eufemismo) e Gesù Bambino, dotato di orecchino (ma a forma di crocefisso!), piercing e tatuaggio sul deltoide (ma a forma di S. Cuore!), insinuava stranamente la manina in uno squarcio - tutt’altro che raffaellita - dell’abito materno, all’altezza del petto.
Fatta salva la sacrosanta libertà di ricerca artistica ed accademica (oggi invero viepiù sacrosanta quando è fatta a spese dei … principi non negoziabili dei cattolici), ciò che scandalizza è l’aver ospitato un’opera siffatta in un luogo (ancora) consacrato e durante le funzioni del culto pubblico, poiché oltre che “reinterpretare” Raffaello, si sbeffeggiava chiaramente Maria Santissima.
Anche questa volta qualche domanda sorge spontanea:
- se proprio non poteva farsi a meno di prestare un luogo ecclesiastico alla mostra in questione, non si poteva allestirla presso la chiesa della Vallisa, ormai sconsacrata, o nel Portico dei Pellegrini o in qualche chiostro dismesso che, quali pertinenze dei luoghi sacri, arieggiano quel vissuto “religioso” oggi così di moda da dissacrare, ma sono tuttavia almeno esenti dalla celebrazione della divina liturgia?
- possibile che nessuno, in Curia, nella rettoria del Gesù, in seno al benemerito (e ciò lo dico senza celia alcuna) Ordine del S. Sepolcro, si sia accorto del tiro mancino? O della più o meno patente blasfemìa dell’allestimento?
La vergognosa distruzione della statua della Madonna e di un Crocifisso ad opera di facinorosi guerriglieri, durante i disordini romani, ha fatto scandalizzare più di quattro irriducibili tradì, alcuni giorni addietro.
Forse sarà il caso di cominciare ad indignarsi un po’ anche per simili sconcezze che, forse sol perché imbastite da “colletti bianchi” del secolarismo à la page, agli occhi di molti, anche cattolici e praticanti, passano per essere encomiabili operazioni che avvicinano la Chiesa al mondo dell’arte e della cultura contemporanee.
Ma a quale prezzo?
Bravo Giannicola! Condivido in toto. Io mi indigno anche per l'obbrobrio esposto la primavera scorsa alla Biennale di Venezia, che reinterpretava in chiave mostruosa e blasfema la Pietà vaticana di Michelangelo.
RispondiEliminaIndignamoci, gente, indignamoci!!!
Esimio amico rimango ogni volta sbalordito dalla stupidità del clero modernista che attanaglia di scempiaggini senza senso non solo la tua diocesi ma anche la diocesi in cui vivo: tabernacoli a forma di uovo, concerti di musica indiano-buddista nella Chiesa di San Pietro, rosari registrati a tutto volume nella Cattedrale-Museo di Barletta e fattacci riguardanti il clero che il popolo conosce e purtroppo si allontana sempre più dalla fede cattolica.
RispondiEliminaDa giornalista, aggiungo la rumorosa assenza di commenti di merito da parte di colleghi colpevolmente distratti. Perchè non inoltri la tua articolata denuncia alla redazione di AVVENIRE?
RispondiEliminaPerché non scrivere alla Diocesi una lettera aperta ove si chieda che vengano offerte pubbliche scuse ai fedeli per tale colpevole disattenzione? Nel 2005 un vergognoso allestimento della Biennale di Venezia nella chiesa veneziana di San Stae, fu chiuso dalla diocesi in seguito ad una lettera aperta di un gruppo di fedeli, incluso il sottoscritto. In questo caso invece la mostra, a quanto scrivi, è già terminata, ma la diocesi non può pensare di permettere tali oscenità senza commento alcuno.
RispondiEliminaAndrea.