Sante Messe in rito antico in Puglia

giovedì 29 marzo 2012

Il latino diventa anglosassone


di Carlo Maria Barile

L'arte di liberarsi della propria cultura, la capacità di dimenticare o addirittura disprezzare ciò che fino a ieri era ritenuto vitale sono solo due delle caratteristiche dell'Italia degli ultimi anni, che a seguito dei miei viaggi non ho potuto fare a meno di riscontrare; in parole povere si tratta di ciò che permette ad altri popoli di appropriarsi e addirittura esaltare ciò che appartiene a un sapere che oserei definire "omerico", millenario, che dovrebbe aver dimora proprio da noi: mi riferisco in primis alle lingue latina e greca e a tutto ciò che ne deriva. Eppure, "neolatino" vuol dire letteralmente "nuovo latino", "nato dal latino", credo che questo sia inequivocabile e anche la lingua italiana è una lingua neolatina, ma molto spesso gli abitanti del nostro amato stivale dimenticano questo con estrema facilità, forse per quella troppa pigrizia che accomuna molti di essi, forse per mancata volontà di ricercare le proprie radici anche se, ahimè, in un passato e in una storia che di certo non danno riscontro a un'idea di stato o di spirito unitario - basti pensare alle moltitudini di dialetti o di tradizioni proprie di quell'unica tradizione che definiamo oggi sotto il comune denominatore di "italiana". Veniamo al dunque: mi trovavo in Germania, precisamente nel cuore di Colonia per tenere un concerto d'organo nella Basilica dedicata ai Santi Apostoli. Il giorno prima del concerto mi era stato riferito che qualche ora prima della mia esibizione ci sarebbe stata una celebrazione della Santa Messa, in lingua latina, secondo il Novus Ordo. Ciò non ha potuto non attirare la mia più totale attenzione e un mio enorme interesse. Domenica 11 Marzo 2012, ore 10, risuonano le campane della Basilica, attacca l'organo, esce il celebrante, l'organo termina la sua intonazione e attacca a cappella la schola cantorum con l'antifona di introito; ciò che ha percorso la mia mente in quel momento sarebbe banale e allo stesso tempo prolisso da descrivere ma cercherò di rendere brevemente l'idea: le voci dei cantori si diffondevano per le navate, come se le onde sonore scivolassero con dolcezza e spiritualità tra le colonne, le volte, le panche, le anime dei fedeli; un'esecuzione impeccabile, una dizione e pronuncia della "nostra" lingua latina oltre il limite della perfezione, insomma tutto concorreva a dare l'impressione che tutto ciò fosse nato lì, mi si passi questo gioco di parole al limite dell'ossimoro, che il latino fosse anglosassone. A questo punto, davanti a tale meraviglia, mi è sorta una domanda spontanea: perché? Com'è possibile? Come abbiamo potuto permettere che altri popoli, provenienti da altre culture, come i Tedeschi o anche i Russi, diventassero le massime espressioni della lingua latina e del canto gregoriano? Perchè in Italia, la terra dove tutto ciò è nato, sembra che queste cose, che ora si sentono quasi esclusivamente nei concerti, siano obsolete? Perchè in Germania, durante quella meravigliosa celebrazione, tutto era fuso in un meraviglioso unicum che dava l'impressione di continuità, come se le arti sacre si rincorressero reciprocamente alla ricerca del divino? A queste domande forse possiamo dare una risposta, troppo semplice, troppo terribile: molto spesso da noi si procede non per tradizione ma per moda, non in una storicità orizzontale dove tutto è consequenziale, ma verticale e parallela, dove tutto è interrotto, diviso, finito e molto spesso privo di logica; questo credo che sia uno dei motivi per cui ciò che ieri era sacro oggi è blasfemo, ciò che ieri era bello oggi è disgustoso, ciò che ieri era nostro, nel senso più primigenio del termine, oggi appartiene a culture che fino a non molto tempo fa erano del tutto estranee al nostro sapere. E ancora parliamo di credibilità?

martedì 20 marzo 2012

Lettera di don Nicola Bux al Superiore della Fraternità S. Pio X

Pubblichiamo la lettera che don Nicola Bux ha indirizzato al Superiore della Fraternità S. Pio X. 
Segue il testo originale in francese.



A Sua Eccellenza Mons. Bernard Fellay
e alla Fraternità sacerdotale san Pio X

Eccellenza Reverendissima,
cari Fratelli,

la fraternità cristiana è più potente della carne e del sangue, perché in essa si anticipa, grazie alla Divina Eucaristia, la vita del Paradiso.

Gesù Cristo ci ha chiamati a fare l'esperienza della comunione: è in questa che il nostro io consiste. Comunione è stima a priori per l'altro, perché abbiamo in comune l'unico Signore. Perciò la comunione è disponibile ad ogni sacrificio per l'unità: una unità che deve essere visibile, secondo l'anelito finale di nostro Signore nella preghiera al Padre: “ut unum sint, ut credat mundus”; visibile, perché è la testimonianza decisiva degli amici di Cristo.

E' indubbio che non pochi fatti del Concilio Ecumenico Vaticano II e del periodo successivo, legati all’elemento umano di questo avvenimento, abbiano  rappresentato vere calamità ed addolorato grandi uomini di Chiesa. Ma Iddio non permette che la Sua Chiesa giunga all’autodistruzione.

Non possiamo considerare la durezza dell’elemento umano senza avere fiducia in quello divino, cioè nella Provvidenza che, pur nel rispetto della libertà umana,  guida la storia, e in particolare la storia della Chiesa.

La Chiesa è istituzione divina, divinamente garantita ed è pure un fatto umano. L’aspetto divino non nuoce all’elemento umano – personalità e libertà - e non lo inibisce necessariamente; l’aspetto umano, rimanendo integro, ed anche compromettente, non nuoce mai all’aspetto divino.

Per motivo di Fede, ma anche per le conferme che, sia pur lentamente, si manifestano sul piano della storia, crediamo che Dio, in questi anni, abbia preparato e prepari uomini degni per rimediare ai tanti errori ed ai tanti cedimenti che tutti deploriamo, che già spuntino e sempre più spunteranno opere sante, secondo una strategia divina che collega l’opera di anime lontane e che neppure si conoscono, ma il cui agire costituisce un disegno, come è meravigliosamente accaduto nel secolo in cui si ebbe la dolorosa rivolta di Lutero.

Si tratta di divini interventi che pare si moltiplichino quanto più si intorbidano i fatti. Di tutto questo parlerà soprattutto l’avvenire. Ma noi ne siamo già certi e di tutto questo si vede l’alba.

Per qualche tempo l’incertezza dell’alba combatte con le tenebre, lente a ritirarsi, ma quando si vede l’alba si sa che c’è il sole e che il sole continua ad incedere nei Cieli!

Con le parole di Santa Caterina da Siena, possiamo quindi dirvi: “Venite sicuramente a Roma”, presso la casa del Padre comune, che ci è stato donato come perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità cattolica.

Venite a partecipare di questo benedetto avvenire, di cui, pur in mezzo a tenebre persistenti, già si intravede l’alba.

Il vostro rifiuto aumenterebbe lo spazio delle tenebre, non quello della luce. Molteplici sono gli sprazzi di luce che già ammiriamo, primo fra tutti il delinearsi della grande restaurazione liturgica, operata dal Motu ProprioSummorum Pontificum”, che sta suscitando in tutto il mondo un ampio movimento, di cui fanno parte soprattutto giovani, che intendono zelare il culto del Signore.

Come dimenticare però altri gesti concreti e significativi del Santo Padre, come la remissione delle scomuniche ai Vescovi ordinati da Mons. Lefebvre, l’apertura di un confronto aperto sulla interpretazione del Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione, e per questo anche il rinnovamento della Commissione Ecclesia Dei?

Certamente possono restare ancora perplessità, punti da approfondire, da meglio chiarire, come il discorso sull’ecumenismo e sul dialogo interreligioso (che ha già comunque ricevuto un’importante precisazione dalla dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, Dominus Jesus del 6 agosto 2000), e quello sulla maniera in cui intendere la libertà religiosa.

Anche su questi punti, la vostra presenza, canonicamente garantita, nella Chiesa aiuterà a portare maggiore luce.

Come non valutare l’apporto che potrete dare, grazie alle vostre risorse pastorali e dottrinali, alle vostre capacità e sensibilità, al bene di tutta la Chiesa?

Questo è il momento opportuno, questa è l’ora favorevole per ritornare: Timete Dominum transeuntem: non lasciatevi sfuggire l’occasione di grazia che il Signore vi offre, non lasciate che passi accanto a voi e non la riconosciate.

Potrà il Signore concederne un’altra?

Non dovremo tutti un giorno comparire di fronte al Suo Tribunale, e rispondere non solo del male compiuto, ma anche di tutto il bene che avremmo potuto fare e che non abbiamo fatto?

Il cuore del Santo Padre palpita: Egli vi attende con ansia, perché vi ama, perché la Chiesa ha bisogno di voi per una comune testimonianza di fede in un mondo sempre più secolarizzato e che sembra volgere le spalle al Suo Creatore e Salvatore.

Nella piena comunione ecclesiale con la grande famiglia, che è la Chiesa cattolica, la vostra voce non sarà disprezzata, il vostro impegno non sarà né trascurabile né trascurato, ma potrà portare, con quello di tanti altri, frutti abbondanti; al di fuori verrebbe invece disperso.

L'Immacolata ci insegna che troppe grazie si perdono perché non vengono
richieste: siamo convinti che con una risposta favorevole alla proposta del
Santo Padre, la Fraternità Sacerdotale San Pio X diventerà uno strumento per accendere nuovi raggi alle dita della nostra Madre celeste.

In questo giorno a Lui dedicato, voglia San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria, Patrono della Chiesa Universale, ispirare e sostenere i vostri buoni propositi: “Venite sicuramente a Roma”.

Roma, 19 marzo 2012
Solennità di San Giuseppe

d. Nicola Bux

* * *
Testo originale in francese

À son excellence Mgr Bernard Fellay
et aux prêtres de la Fraternité sacerdotale saint Pie X


            Excellence Révérendissime,
            Bien chers Frères,

            la fraternité chrétienne est plus forte que la chair et que le sang parce qu'elle nous offre, grâce à la divine Eucharistie, un avant-goût du paradis.

            Le Christ nous a invités à faire l'expérience de la communion, c'est en cela que consiste notre “je”. La communion, c'est estimer a priori son prochain, parce que nous avons en commun avec lui l'unique Sauveur. De ce fait, la communion est prête à tout sacrifice au nom de l'unité ; et cette unité doit être visible, comme nous l'enseigne l'ultime invocation de la prière adressée par Notre Seigneur à son Père – “ut unum sint, ut credat mundus” –, parce qu'elle est le témoignage décisif des amis du Christ.

            Il est indéniable que de nombreux faits du concile Vatican II et de la période qui l'a suivi, liés à la dimension humaine de cet événement, ont représenté de vraies calamités et causé de vives douleurs à de grands hommes d'Église. Mais Dieu ne permet pas que Sa Sainte Église puisse en arriver à l'autodestruction.

            Nous ne pouvons pas considérer la dureté du facteur humain sans avoir confiance dans le facteur divin, c'est-à-dire dans la Providence qui, tout en respectant la liberté humaine, guide l'histoire, et en particulier l'histoire de l'Église.

            L'Église est à la fois institution divine, divinement garantie, et produit des hommes. L'aspect divin ne nuit pas à celui humain – personnalité et liberté – et ne l'inhibe pas nécessairement; l'aspect humain, demeurant entier, et même compromettant, ne nuit jamais à celui divin.

            Pour des raisons de Foi, mais aussi en raison des confirmations, même lentes, que nous observons au plan historique, nous croyons que Dieu a préparé et continue de préparer au fil de ces années des hommes dignes de remédier aux erreurs et aux abandons que nous déplorons tous. Déjà apparaissent, et apparaîtront toujours plus, de saintes œuvres isolées les unes des autres mais qu'une stratégie divine relie à distance et dont l'action constitue un dessein ordonné, comme cela survint miraculeusement à l'époque de la douloureuse révolte de Luther.

            Ces interventions divines semblent se multiplier à mesure que les faits se compliquent. L'avenir le démontrera, comme nous en sommes convaincus, et déjà semble poindre l'aurore.

            Pendant quelques instants, l'aurore, incertaine, lutte avec les ténèbres, lentes à se retirer, mais quand elle pointe on sait que le soleil est là et qu'il poursuit immanquablement sa course dans les cieux.

            Avec sainte Catherine de Sienne, nous voulons vous dire : “Venez à Rome en toute sécurité”, auprès de la maison du Père commun qui nous a été donné comme principe et fondement visibles et perpétuels de l'unité catholique.

            Venez prendre part à cet avenir béni dont on entrevoit déjà, en dépit des ténèbres persistantes, l'aurore.

            Votre refus augmenterait les ténèbres et non la lumière. Or nombreux sont les éclairs de lumière que nous admirons déjà, à commencer par ceux de la grande restauration liturgique opérée par le motu proprio “Summorum Pontificum”. Celle-ci suscite dans le monde entier un large mouvement d'adhésion de la part de tous ceux, et notamment les jeunes, qui entendent magnifier le culte du Seigneur.

            Comment ne pas considérer en outre les autres gestes concrets et chargés de signification du Saint Père, comme la levée des excommunications aux évêques ordonnés par Mgr Lefebvre, l'ouverture d'un débat public sur l'interprétation du concile Vatican II à la lumière de la Tradition et, à cet effet, le renouvellement de la Commission Ecclesia Dei ?

            Il demeure certainement des perplexités, des points à approfondir ou à préciser, comme celui de l'œcuménisme et du dialogue interreligieux (qui a d'ailleurs déjà fait l'objet d'une importante clarification apportée par la déclaration Dominus Jesus de la Congrégation pour la Doctrine de la Foi du 6 août 2000) ou celui de la manière dont est comprise la liberté religieuse.

            Sur ces thèmes aussi, votre présence canoniquement garantie dans l'Église aidera à plus de lumière.

            Comment ne pas songer à la contribution que vous pourrez apporter, grâce à vos ressources pastorales et doctrinales, à votre capacité et votre sensibilité, au bien de toute l'Église ?

            Voici le moment opportun, l'heure favorable pour revenir. Timete Dominum transeuntem :  ne laissez pas passer l'occasion de grâce que le Seigneur vous offre, ne la laissez pas passer à côté de vous sans la reconnaître.

            Le Seigneur en concèdera-t-il une autre ?

            Ne devrons-nous pas comparaître tous un jour devant Son Tribunal et répondre non seulement du mal commis mais surtout de tout le bien que nous aurions pu faire et que nous n'avons pas accompli ?

            Le cœur du Saint Père frémit : il vous attend avec anxiété parce qu'il vous aime, parce que l'Église a besoin de vous pour une profession de foi commune face à un monde toujours plus sécularisé et qui semble tourner irrémédiablement le dos à son Créateur et Sauveur.

            Dans la pleine communion ecclésiale avec la grande famille que constitue l'Église catholique, votre voix ne sera pas étouffée, votre engagement ne sera ni négligeable ni négligé mais pourra donner, avec celui de tant d'autres, des fruits abondants qui demeureraient autrement gâchés.

            L'Immaculée nous enseigne que trop de grâces viennent perdues parce qu'elles ne sont pas demandées : nous sommes convaincus qu'en répondant favorablement à l'offre du Saint Père, la Fraternité sacerdotale saint Pie X deviendra un instrument pour allumer de nouveaux rayons aux doigts de notre Mère céleste.

            En ce jour qui lui est dédié, que saint Joseph, époux de la Bienheureuse Vierge Marie, Patron de l'Église universelle, veuille inspirer et soutenir vos résolutions : “Venez à Rome en toute sécurité”.

Rome, 19 mars 2012
Fête de saint Joseph

d. Nicola Bux



venerdì 16 marzo 2012

La Messa in latino giova all'unità della Chiesa


di Giannicola D’Amico *

Ma davvero vai alla messa in latino? E com’è?" L’interrogativo, in un misto fra curiosità e interesse, si ripete con costante cadenza fra fedeli e non, praticanti e non, ed è rivolto a coloro, sempre più numerosi, che grazie a un provvedimento del papa prendono parte alla messa secondo il rito straordinario, la cosiddetta "messa di sempre". Il dibattito sta animando il mondo religioso perché se è vero che, soprattutto fra i giovani, si sta facendo strada la volontà di seguire la messa secondo quella che era ed è la lingua sacra della chiesa cattolica romana (e la Puglia è tra le regioni che stanno facendo un po’ da apripista in Italia), è anche vero che non sono poche le resistenze all’interno dello stesso clero che, stando alle parole del Papa, dovrebbe dare "calorosa accoglienza" ai fedeli che richiedono la messa gregoriana, con tanto di musica sacra.

Joseph Ratzinger era ancora cardinale quando gli fu chiesto se dinanzi alla crisi del sacro si potesse pensare a un recupero dell’antico rito. Il futuro papa rispose: "Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani ciò che oggi prescrive?". E ancora: "Purtroppo da noi c’è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n’è per l’antica liturgia. Così siamo sicuramente su una strada sbagliata".

La Pontificia Commissione Ecclesia Dei, l’istituzione della Santa Sede preposta alla salvaguardia e alla promozione del rito romano antico, ha ribadito che non c’è nessuna contraddizione tra il Messale di Pio V, nella edizione del 1962 voluta dal Beato Giovanni XXIII, e quello promulgato da Paolo VI nel 1970, cioè tra la messa in latino e quella. È una ricchezza che viene messa a disposizione di tutti i fedeli della Chiesa universale e non di alcuni gruppi. L’art. 14 dell'Istruzione Universae Ecclesiae invita gli Ordinari, cioè Vescovi e superiori religiosi a garantirne la celebrazione, sia favorendo il rispetto dei gruppi di fedeli che la richiedono — sempre più numerosi in tutto il mondo — sia incoraggiando a farne in tutte le parrocchie e santuari, in primis nelle cattedrali; così facendo si favorisce la riconciliazione in seno alla Chiesa. È diritto dei fedeli poter partecipare al rito romano antico. Non c’è limite di numero. Quanto ai sacerdoti, si richiede la loro idoneità a pronunziare in modo corretto il latino, a capirne il significato, ma non è necessario che siano esperti nel latino liturgico. I Vescovi, inoltre, (articolo 21) devono favorire la conoscenza della forma extraordinaria da parte dei sacerdoti mediante corsi di aggiornamento; come pure formare i seminaristi al fine di comprenderla e saperla celebrare, quindi a studiare il latino e il gregoriano, come già era stato auspicato nell’Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis dopo il Sinodo sull’Eucaristia del 2005. Il latino fu introdotto nella liturgia non perché fosse parlato dalla gente, ma per favorire la coesione ecclesiastica, culturale e politica in Occidente ed evangelizzare la cultura classica. Il Concilio Vaticano II ne conserva l’uso. Perché dovremmo subire l’inglese o la babele delle lingue nelle messe dei santuari? Il latino è la lingua sacra della nostra Chiesa. Almeno una messa domenicale potrebbe esse re celebrata in ogni parrocchia. Il latino serve per l’unità della Chiesa e l’evangelizzazione del mondo. Anche perchè, come abbiamo visto, la messa in latino non è contro il Concilio, al contrario di quanto vogliono far passare i denigratori professionisti che affollano tutte le realtà della nostra vita.

I Vescovi hanno quindi, la responsabilità di far attuare quanto prescritto, attenendosi alla "mens" del Santo Padre, in modo che non vi siano discriminazioni tra i fedeli che partecipano alla Messa nell’una e nell’altra forma. Pertanto è loro responsabilità pastorale l’obbedienza al Papa, al fine di edificare clero e fedeli, come è richiesto ad ogni Vescovo cattolico. La Scuola Ecclesia Mater, associazione nata dall’incontro di persone, chierici e laici, mosse da una ricerca e un’espressione del cristianesimo con metodo e ispirazione comuni (soprattutto la teologia apologetica o fondamentale e la teologia liturgica di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI), è un sodalizio che persegue questo programma coniugando la piena fedeltà al dato rivelato e l’adesione alla Chiesa con uno spirito e uno stile di libertà. Come ha dichiarato recentemente il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, "se la attuale crisi della vita della Chiesa è innanzitutto una crisi della liturgia, allora un rinnovamento della Chiesa oggi deve partire da un rinnovamento della liturgia".

* Moderatore della Scuola Ecclesia Mater per la musica sacra


pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 12.3.2012

giovedì 8 marzo 2012

Perché la liturgia? Cosa significa la liturgia? (CCC 1066 - 1070)

Juan José Silvestre*

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), dopo la professione di fede, sviluppata nella prima parte, si passa alla spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, attua e continua l'edificazione della sua Chiesa. Infatti, se nella liturgia non emergesse la figura di Cristo, che è il suo principio ed è realmente presente per renderla valida, non avremmo più la liturgia cristiana, completamente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza.

Quindi, esiste un rapporto intrinseco tra fede e liturgia, entrambe sono intimamente unite. In realtà, senza la liturgia e i sacramenti la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. E «dall'altra parte, l'azione liturgica non può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della fede. La sorgente della nostra fede e della liturgia eucaristica, infatti, è il medesimo evento: il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero pasquale» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 34).

Se apriamo il Catechismo nella sua seconda parte, si legge che la parola “liturgia” significa originariamente «servizio da parte del popolo e in favore del popolo». Nella tradizione cristiana vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all'«opera di Dio» (CCC, 1069).
In che cosa consiste questa opera di Dio alla quale noi partecipiamo? La risposta del Catechismo è chiara e ci permette di scoprire l'intima connessione esistente tra fede e liturgia: «Nel Simbolo della fede, la Chiesa confessa il mistero della Santa Trinità e “il mistero della sua volontà, secondo [...] la sua benevolenza” (Ef 1,9) su tutta la creazione: il Padre compie il “mistero della sua volontà” donando il suo Figlio diletto e il suo Santo Spirito per la salvezza del mondo e per la gloria del suo Nome» (CCC, 1066).

Infatti, «quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione» (CCC, 1067). È questo il mistero di Cristo che la Chiesa «annunzia e celebra nella sua liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo» (CCC, 1068).

Per mezzo della liturgia «si effettua l'opera della nostra redenzione» (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 2). Pertanto, come fu inviato dal Padre, Cristo ha inviato gli Apostoli a predicare la redenzione e ad «attuare l'opera di salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica» (ibid., 6 ).
Così vediamo che il Catechismo sintetizza l'opera di Cristo nel mistero pasquale, che è il suo nucleo essenziale. E il nesso con la liturgia è ovvio, poiché «attraverso la liturgia Cristo, nostro Redentore e Sommo Sacerdote, continua nella sua Chiesa, con essa e per mezzo di essa, l’opera della nostra redenzione» (CCC, 1069). Quindi, questa «opera di Gesù Cristo», perfetta glorificazione di Dio e santificazione degli uomini, è il vero contenuto della liturgia.

Questo è un punto importante perché, sebbene l'espressione e il contenuto teologico-liturgico del Mistero pasquale dovrebbero ispirare lo studio teologico e la celebrazione liturgica, non è sempre stato così. Infatti, «la maggior parte dei problemi collegati all'applicazione concreta della riforma liturgica ha a che fare con il fatto che non è stato tenuto sufficientemente presente il peso dato dal Concilio Vaticano II alla Pasqua […]. Pasqua significa inseparabilità della Croce e della Risurrezione [...]. La Croce sta al centro della liturgia cristiana, con tutta la sua serietà: un ottimismo banale che nega la sofferenza e l'ingiustizia nel mondo e riduce l'essere cristiani all'essere cortesi non ha nulla a che fare con la liturgia della croce. La redenzione è costata a Dio la sofferenza di suo Figlio, la sua morte, e l’“exercitium” della redenzione, che, secondo il testo concilare, è la liturgia, non può avvenire senza le purificazioni e le maturazioni che vengono dalla sequela della croce» (J. Ratzinger / Benedetto XVI, Teologia della liturgia, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 775-776).

Questo linguaggio si scontra con quella mentalità incapace di accettare la possibilità di un reale intervento divino in questo mondo, in soccorso dell'uomo. Quindi, «la confessione di un intervento redentore di Dio per cambiare questa situazione di alienazione e di peccato è vista da quanti condividono la visione deista come integralista, e lo stesso giudizio è dato a proposito di un segnale sacramentale che rende presente il sacrificio redentore. Più accettabile, ai loro occhi, sarebbe la celebrazione di un segnale che corrispondesse a un vago sentimento di comunità. Il culto però non può nascere dalla nostra fantasia; sarebbe un grido nell'oscurità o una semplice autoaffermazione. La vera liturgia presuppone che Dio risponda e ci mostri come possiamo adorarlo. “La Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce” (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 14). La Chiesa vive di questa presenza e ha come ragion d'essere e di esistere quella di diffondere tale presenza nel mondo intero» (Benedetto XVI, Discorso del 15.04.2010).

Questa è la meraviglia della liturgia che, come ricorda il Catechismo, è culto divino, annuncio del Vangelo e carità in azione (cf. CCC, 1070). È Dio stesso che agisce e noi siamo attratti da questa sua azione, per essere trasformati in Lui.

* Juan José Silvestre è professore di Liturgia presso la Pontificia Università della Santa Croce e consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice

pubblicato su ZENIT.org in data 11.1.2012

giovedì 1 marzo 2012

Ai Neocatecumenali: riflessioni de iure liturgico


di Guglielmo di Occam

«Osservanza fedele alle norme della Chiesa»: un inciso non irrilevante è quello che Benedetto XVI include non raramente nei discorsi che rivolge alla numerose Comunità del Cammino Neocatecumenale presenti alle udienze pontificie.

L'invito più recente a prestare un'adesione piena al Diritto della Chiesa risale allo scorso 20 gennaio e riguarda l’ambito liturgico. Il Santo Padre, in occasione dell'approvazione delle celebrazioni - "non strettamente liturgiche" - di questo itinerario di iniziazione cristiana, ribadiva ai membri del Cammino che nella Celebrazione eucaristica i Libri liturgici «vanno seguiti fedelmente, con le particolarità approvate negli Statuti del Cammino». La stessa precisazione è contenuta all'interno del medesimo Statuto all'art. 13 §3.

Senza nulla togliere alla preziosità del carisma e ai cospicui frutti spirituali che sta suscitando in tutto il mondo, desideriamo qui rilevare alcune incongruenze liturgiche che, con costante regolarità, si verificano diffusamente all'interno delle Sante Messe celebrate nelle piccole comunità del Cammino.

Partiamo dalle più rilevanti: le cosiddette "risonanze", ovvero quegli interventi di fedeli laici che, prima dell'omelia del ministro ordinato, condividono pubblicamente quanto le letture ascoltate nella Liturgia della Parola hanno detto alla loro vita. I membri del Cammino continuano ad essere indebitamente persuasi che gli Statuti le ammettano nella Santa Messa. Anche un occhio miope non avrà difficoltà a scorgere che gli Statuti non le contemplano affatto all'interno della Celebrazione Eucaristica (ma solo nella celebrazione settimanale della Parola [cfr. artt. 11 §2, 13]). E inoltre, nessun Libro liturgico fa un benché minimo accenno a tali pronunciamenti. Anzi! Sono espressamente vietati dal Magistero. Per una immediata e inconfutabile conferma si possono leggere alcuni documenti come la Ecclesiae de Mysterio (art. 3, §§ 2 e 3) e laRedemptionis Sacramentum(n. 74).

Un'altra questione decisamente non secondaria riguarda la genuflessione all'interno della Celebrazione eucaristica. Essa è prevista dai Libri liturgici al momento della consacrazione, se lo permettano lo stato di salute del fedele, le condizioni di spazio fisico, o altri ragionevoli motivi (cfr. OGMR, n. 43). Ebbene, nelle Messe con il Cammino vi è una consuetudine, una sorta di regola non scritta, secondo la quale si debba necessariamente rimanere in piedi, conservando una "posizione da risorti". Anche qui non è difficile reperire quanto autorevolmente insegna la Chiesa.

Non sembra fuori luogo nemmeno un riferimento alla concessione esplicita che la Santa Sede ha fatto al Cammino circa la distribuzione della Santa Comunione. Da quanto si evince dallo Statuto, i membri del Cammino La ricevono sotto le due specie, in piedi, restando al proprio posto (cfr. art 13 §3). Poiché non vi sono ulteriori precisazioni in merito, bisogna ricorrere a quanto previsto dai Libri liturgici per una corretta distribuzione della Comunione. Innanzitutto, è a discrezione del presbitero celebrante decidere come distribuire la Santa Comunione sotto le due specie. Le modalità previste sono due: a) il fedele riceve prima il Corpo di Cristo (in bocca o sul palmo della mano sinistra) e poi il ministro gli porge il calice dal quale beve; b) il fedele riceve dal ministro il Corpo di Cristo intinto nel Sangue. Non è contemplato che i fedeli ricevano prima in mano il Pane Eucaristico e, custodendoLo fino a che la distribuzione sia terminata, tutti insieme poi se ne cibino. Non si tratta di esigenze da galateo! Non è ammesso che alcuno trattenga, pur per qualche istante, l’Eucaristia nelle proprie mani, ma bisona consumarLa immediatamente.

C’è anche da chiarire un ulteriore “dettaglio”. I fedeli che intendono comunicarsi, al momento della Comunione, non possono accomodarsi e attendere seduti che il ministro li raggiunga con le Specie eucaristiche per poi alzarsi e riceverle. Coloro che devono ricevere la Santa Comunione, La aspettano in piedi e, una volta ricevutaLa, si inginocchiano o si sedono per il ringraziamento.

Ancora in merito al Sacramento dell’Eucaristia c’è un particolare non trascurabile su cui soffermarsi. Il presbitero che celebra la S. Messa per le piccole comunità del Cammino Neocatecumenale non si ciba del Corpo di Cristo insieme agli altri fedeli, ma prima di essi, come prescrive l’Ordinamento Generale del Messale Romano (cfr. n. 86).

Raramente poi l’Eucaristia è celebrata dalla piccola comunità in chiesa o in una cappella annessa ad essa. Anche se la chiesa è libera, si predilige celebrarLa piuttosto in locali parrocchiali alternativi alla chiesa stessa. Quando ciò avviene regolarmente, e non ad actum, deve essere esplicitamente concesso dal Vescovo diocesano. Bisogna quindi verificare che Egli abbia permesso che l'Eucaristia venga ordinariamente celebrata in una stanza o in un luogo opportuno che non sia la chiesa.

Nelle poche occasioni in cui la piccola comunità celebra l’Eucaristia in chiesa o in una cappella parrocchiale, all’altare fisso, quello benedetto dal Vescovo, è preferito un banco che - immancabilmente - viene posto nel centro dello spazio liturgico. Non viene così riconosciuta la dignità dell'altare, pietra sacrificale in cui Cristo si immola per noi.

Può risultare interessante anche riflettere su alcuni abusi, di minore entità rispetto a quelli precedentemente analizzati, ma pur sempre inopportuni.

Nell’Eucaristia celebrata nelle piccole comunità si dà non poco rilievo alle monizioni. Secondo quanto insegna la Chiesa esse sono brevi didascalie, opportune ma non necessarie, che un ministro ordinato o un laico può rivolgere all’assemblea per predisporre e introdurre i fedeli a meglio comprendere le letture che la Liturgia propone. I Libri liturgici vietano di farle dall'ambone perché la dignità di esso esige che ad esso acceda solo il ministro della Parola (cfr. OGMR 309). Nelle Eucaristie del CN le monizioni sono spesso lunghe, ridotte contenutisticamente a testimonianze su ciò che quella Parola ha suscitato nel cuore di colui che la comunica. L’identità liturgica della monizione viene così snaturata e l'ambone diventa piuttosto uno "speakers' corner".

Come sottolineavamo all’inizio quelle riportate sono solo alcune infedeltà celebrative che si registrano nelle Celebrazioni eucaristiche del Cammino. Siamo ben consapevoli che non sono esclusive dei seguaci di Kiko. A malincuore le pratiche abusive nel Culto liturgico sono sempre più diffuse. Questi errori dipendono soprattutto da una incuria celebrativa per nulla esemplare di non pochi prelati, pur autorevoli. Le riflessioni qui proposte scaturiscono da quanto autorevolmente afferma il Concilio Vaticano II: «a nessun altro assolutamente, nemmeno se sacerdote, sia lecito aggiungere o togliere o mutare qualcosa in materia liturgica» (Cost. dogmatica Sacrosanctum Concilium n. 22). Ciò è ribadito anche in Redemptionis Sacramentume in altri documenti magisteriali.

Nella Santa Messa, allora, i fedeli tutti rispettino debitamente quanto previsto dalle norme dei Libri liturgici. Le rubriche, infatti, non costituiscono indicazioni facoltative per i ministri e gli altri membri dell’assemblea liturgica, bensì prescrizioni obbligatorie che devono accuratamente essere osservate. Non si tratta di essere “schiavi della legge”! Gli stili celebrativi che introducano innovazioni liturgiche arbitrarie non solo generano confusione dividendo i fedeli, ma ledono l’autorità della Chiesa nel venerando patrimonio della sua secolare Tradizione liturgica, nonché l’intima unità della comunione ecclesiale.