di Carlo Maria Barile
L'arte
di liberarsi della propria cultura, la capacità di dimenticare o addirittura
disprezzare ciò che fino a ieri era ritenuto vitale sono solo due delle
caratteristiche dell'Italia degli ultimi anni, che a seguito dei miei viaggi
non ho potuto fare a meno di riscontrare; in parole povere si tratta di ciò che
permette ad altri popoli di appropriarsi e addirittura esaltare ciò che
appartiene a un sapere che oserei definire "omerico", millenario, che
dovrebbe aver dimora proprio da noi: mi riferisco in primis alle lingue latina
e greca e a tutto ciò che ne deriva. Eppure, "neolatino" vuol dire
letteralmente "nuovo latino", "nato dal latino", credo che
questo sia inequivocabile e anche la lingua italiana è una lingua neolatina, ma
molto spesso gli abitanti del nostro amato stivale dimenticano questo con
estrema facilità, forse per quella troppa pigrizia che accomuna molti di essi,
forse per mancata volontà di ricercare le proprie radici anche se, ahimè, in un
passato e in una storia che di certo non danno riscontro a un'idea di stato o
di spirito unitario - basti pensare alle moltitudini di dialetti o di
tradizioni proprie di quell'unica tradizione che definiamo oggi sotto il comune
denominatore di "italiana". Veniamo al dunque: mi trovavo in
Germania, precisamente nel cuore di Colonia per tenere un concerto d'organo
nella Basilica dedicata ai Santi Apostoli. Il giorno prima del concerto mi era
stato riferito che qualche ora prima della mia esibizione ci sarebbe stata una
celebrazione della Santa Messa, in lingua latina, secondo il Novus Ordo. Ciò non ha potuto non
attirare la mia più totale attenzione e un mio enorme interesse. Domenica 11
Marzo 2012, ore 10, risuonano le campane della Basilica, attacca l'organo, esce
il celebrante, l'organo termina la sua intonazione e attacca a cappella la schola cantorum con l'antifona di
introito; ciò che ha percorso la mia mente in quel momento sarebbe banale e
allo stesso tempo prolisso da descrivere ma cercherò di rendere brevemente
l'idea: le voci dei cantori si diffondevano per le navate, come se le onde
sonore scivolassero con dolcezza e spiritualità tra le colonne, le volte, le
panche, le anime dei fedeli; un'esecuzione impeccabile, una dizione e pronuncia
della "nostra" lingua latina oltre il limite della perfezione,
insomma tutto concorreva a dare l'impressione che tutto ciò fosse nato lì, mi
si passi questo gioco di parole al limite dell'ossimoro, che il latino fosse
anglosassone. A questo punto, davanti a tale meraviglia, mi è sorta una domanda
spontanea: perché? Com'è possibile? Come abbiamo potuto permettere che altri
popoli, provenienti da altre culture, come i Tedeschi o anche i Russi,
diventassero le massime espressioni della lingua latina e del canto gregoriano?
Perchè in Italia, la terra dove tutto ciò è nato, sembra che queste cose, che
ora si sentono quasi esclusivamente nei concerti, siano obsolete? Perchè in
Germania, durante quella meravigliosa celebrazione, tutto era fuso in un
meraviglioso unicum che dava l'impressione di continuità, come se le arti sacre
si rincorressero reciprocamente alla ricerca del divino? A queste domande forse
possiamo dare una risposta, troppo semplice, troppo terribile: molto spesso da
noi si procede non per tradizione ma per moda, non in una storicità orizzontale
dove tutto è consequenziale, ma verticale e parallela, dove tutto è interrotto,
diviso, finito e molto spesso privo di logica; questo credo che sia uno dei
motivi per cui ciò che ieri era sacro oggi è blasfemo, ciò che ieri era bello oggi
è disgustoso, ciò che ieri era nostro, nel senso più primigenio del termine,
oggi appartiene a culture che fino a non molto tempo fa erano del tutto
estranee al nostro sapere. E ancora parliamo di credibilità?
Mi trovo d'accordissimo con quanto asserisce il M° Barile! Alla sua domanda, quanto mai pertinente, "come abbiamo potuto permettere che altri popoli, provenienti da altre culture, come i Tedeschi [...], diventassero le massime espressioni della lingua latina e del canto gregoriano?", cerco di rispondere, conoscendo da vicino la città in cui egli si è recato: Colonia. Colonia è la città tedesca che, forse più delle altre, ha forte la sua identità romana. Quasi ad ogni angolo della città viene ricordato il nome originario di essa: "Colonia Agrippina". Credo che la stessa cosa non avvenga a Torino. Pochissimi, infatti, sanno che la città della Fiat in latino si dice "Augusta Taurinorum".
RispondiEliminaQuello che penso è che da noi, in Italia, c'è una sorta di vergogna a dire quello che siamo stati. Siamo sin troppo esterofili, per certi versi, e xenofobi per altri. Ciò che possiamo e dobbiamo fare è recuperare tutto quel patrimonio che altri da sempre valorizzano: la liturgia gregoriana. Ma, in primis, devono farlo i nostri monasteri benedettini, sull'esempio di Fontgombault in Francia. Vedremmo più persone a Messa; soprattutto quelle che hanno smarrito la fede, a causa di celebrazioni poco o punto ortodosse.
La colpa è di tutti quelli operatori musicali della liturgia senza una vera cultura musicale (o preparazione musicale) che hanno banalizzato il canto gregoriano ed il canto colto dei grandi scrittori liturgici-sacri per banalizzarli con altri canti scritti per altri contesti non liturgici! Nella mia parrocchia io da anni faccio eseguire canti in latino (Te deum - Regina Coeli - Victime Paschali - Tantum ergo) senza tener conto dei commenti negati ma nella convinzione che la sapienza antica e la bellezza di queste melodie possano far vibrare il cuore degli uomini; e che siano ancora in grado di farlo!
RispondiElimina