venerdì 16 marzo 2012

La Messa in latino giova all'unità della Chiesa


di Giannicola D’Amico *

Ma davvero vai alla messa in latino? E com’è?" L’interrogativo, in un misto fra curiosità e interesse, si ripete con costante cadenza fra fedeli e non, praticanti e non, ed è rivolto a coloro, sempre più numerosi, che grazie a un provvedimento del papa prendono parte alla messa secondo il rito straordinario, la cosiddetta "messa di sempre". Il dibattito sta animando il mondo religioso perché se è vero che, soprattutto fra i giovani, si sta facendo strada la volontà di seguire la messa secondo quella che era ed è la lingua sacra della chiesa cattolica romana (e la Puglia è tra le regioni che stanno facendo un po’ da apripista in Italia), è anche vero che non sono poche le resistenze all’interno dello stesso clero che, stando alle parole del Papa, dovrebbe dare "calorosa accoglienza" ai fedeli che richiedono la messa gregoriana, con tanto di musica sacra.

Joseph Ratzinger era ancora cardinale quando gli fu chiesto se dinanzi alla crisi del sacro si potesse pensare a un recupero dell’antico rito. Il futuro papa rispose: "Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani ciò che oggi prescrive?". E ancora: "Purtroppo da noi c’è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n’è per l’antica liturgia. Così siamo sicuramente su una strada sbagliata".

La Pontificia Commissione Ecclesia Dei, l’istituzione della Santa Sede preposta alla salvaguardia e alla promozione del rito romano antico, ha ribadito che non c’è nessuna contraddizione tra il Messale di Pio V, nella edizione del 1962 voluta dal Beato Giovanni XXIII, e quello promulgato da Paolo VI nel 1970, cioè tra la messa in latino e quella. È una ricchezza che viene messa a disposizione di tutti i fedeli della Chiesa universale e non di alcuni gruppi. L’art. 14 dell'Istruzione Universae Ecclesiae invita gli Ordinari, cioè Vescovi e superiori religiosi a garantirne la celebrazione, sia favorendo il rispetto dei gruppi di fedeli che la richiedono — sempre più numerosi in tutto il mondo — sia incoraggiando a farne in tutte le parrocchie e santuari, in primis nelle cattedrali; così facendo si favorisce la riconciliazione in seno alla Chiesa. È diritto dei fedeli poter partecipare al rito romano antico. Non c’è limite di numero. Quanto ai sacerdoti, si richiede la loro idoneità a pronunziare in modo corretto il latino, a capirne il significato, ma non è necessario che siano esperti nel latino liturgico. I Vescovi, inoltre, (articolo 21) devono favorire la conoscenza della forma extraordinaria da parte dei sacerdoti mediante corsi di aggiornamento; come pure formare i seminaristi al fine di comprenderla e saperla celebrare, quindi a studiare il latino e il gregoriano, come già era stato auspicato nell’Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis dopo il Sinodo sull’Eucaristia del 2005. Il latino fu introdotto nella liturgia non perché fosse parlato dalla gente, ma per favorire la coesione ecclesiastica, culturale e politica in Occidente ed evangelizzare la cultura classica. Il Concilio Vaticano II ne conserva l’uso. Perché dovremmo subire l’inglese o la babele delle lingue nelle messe dei santuari? Il latino è la lingua sacra della nostra Chiesa. Almeno una messa domenicale potrebbe esse re celebrata in ogni parrocchia. Il latino serve per l’unità della Chiesa e l’evangelizzazione del mondo. Anche perchè, come abbiamo visto, la messa in latino non è contro il Concilio, al contrario di quanto vogliono far passare i denigratori professionisti che affollano tutte le realtà della nostra vita.

I Vescovi hanno quindi, la responsabilità di far attuare quanto prescritto, attenendosi alla "mens" del Santo Padre, in modo che non vi siano discriminazioni tra i fedeli che partecipano alla Messa nell’una e nell’altra forma. Pertanto è loro responsabilità pastorale l’obbedienza al Papa, al fine di edificare clero e fedeli, come è richiesto ad ogni Vescovo cattolico. La Scuola Ecclesia Mater, associazione nata dall’incontro di persone, chierici e laici, mosse da una ricerca e un’espressione del cristianesimo con metodo e ispirazione comuni (soprattutto la teologia apologetica o fondamentale e la teologia liturgica di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI), è un sodalizio che persegue questo programma coniugando la piena fedeltà al dato rivelato e l’adesione alla Chiesa con uno spirito e uno stile di libertà. Come ha dichiarato recentemente il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, "se la attuale crisi della vita della Chiesa è innanzitutto una crisi della liturgia, allora un rinnovamento della Chiesa oggi deve partire da un rinnovamento della liturgia".

* Moderatore della Scuola Ecclesia Mater per la musica sacra


pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 12.3.2012

2 commenti:

  1. Anche io credo che il latino sia occasione di unità nella Chiesa, ma definire la forma "straordinaria" come la "Messa di sempre" è un errore grossolano. È il rito attuale ad essere più vicino alla Celebrazione di sempre... e questo lo sanno tutti coloro che studiano Liturgia. Sarebbe meraviglioso celebrare in latino la Liturgia come ci è stata restituita dal Concilio con la Riforma che anche Papa Benedetto XVI auspica. La parentesi di 4-5 secoli ha determinato un impoverimento della Liturgia: pur sembrando di esaltare la divinità del culto, di fatto ha allontanato i fedeli dal gustare e celebrare la Domenica come "festa primordiale" nel cammino mistagogico scandito dai tempi dell'anno liturgico.

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  2. Ho scoperto da poco questo blog. Complimenti per il vostro lavoro! Ad maiora!!
    Un saluto,
    Matteo

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