lunedì 27 agosto 2012

Santa Messa in latino e "actuosa participatio"


Ma poi è proprio vero che la Messa "in latino" impedisce la partecipazione dei fedeli?
Secondo noi è vero il contrario!
Vediamo perchè


di Giovanni Schinaia

Una delle obiezioni più frequenti a una maggiore diffusione della Santa Messa “more antiquo”, è che essa non favorirebbe la partecipazione attiva dei fedeli, così come giustamente auspicata dai Padri del Concilio Vaticano II. I fedeli sarebbero solo degli spettatori più o meno muti e più o meno inconsapevoli rispetto ad una “actio” che riguarda il solo sacerdote celebrante.

Nel 2007, al n. 52 dell'Esortazione Postsinodale “Sacramentum Caritatis” il Santo Padre Benedetto XVI, feliciter regans, così scrive:
Il Concilio Vaticano II aveva posto giustamente una particolare enfasi sulla partecipazione attiva, piena e fruttuosa dell'intero Popolo di Dio alla Celebrazione eucaristica. Certamente, il rinnovamento attuato in questi anni ha favorito notevoli progressi nella direzione auspicata dai Padri conciliari. 

Taranto, 15 luglio 2012: Santa Messa celebrata
in piazza Carmine da mons. Marco Gerardo
Il Papa ricorda la Sacrosanctum Concilium e ricorda che la partecipazione dei fedeli alla Messa deve giustamente essere actuosa, plena, fructuosa! Questo è l'auspicio dei Padri conciliari, e questo deve essere quindi il nostro impegno, la direzione che dobbiamo seguire.  Prosegue dunque il Santo Padre:
Tuttavia, non dobbiamo nasconderci il fatto che a volte si è manifestata qualche incomprensione precisamente circa il senso di questa partecipazione. Conviene pertanto mettere in chiaro che con tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione.

E' importante la precisazione del Papa, quasi a prevenire una legittima domanda: cos'è questa "partecipazione attiva, piena e fruttuosa"? Anzitutto il Papa ci dice cosa NON è. Per "partecipazione" non si deve intendere un "fare" qualcosa mentre il sacerdote dice le sue orazioni o compie le sue abluzioni o quant'altro presso l'Altare.
Ricordo che anni fa, i terribili, avvilenti, tristissimi, angosciosi, truculenti anni '80 - parlo ora da ex chitarraro/bonghista/applauditore - prima della Messa ci facevamo il nostro programmino: all'offertorio ci suoniamo "nebbia e freddo", alla comunione "servo per amore", ma a tre voci così viene meglio; se il prete si siede ci facciamo un bel "Dove sei perche non rispondi", che nel silenzio viene bene, tutti ci sentono perchè non sono distratti dal prete e poi ci dicono che siamo stati bravi; alla fine serve qualcosa di rumoroso perchè - sai - la Messa è la festa della comunità!....
Ci si ritirava a casa come se si fosse tornati da un buon concerto: avevamo fatto il nostro!! Ed eravamo convinti di aver partecipato!! E si, più partecipazione attiva di così!!
Chissà se i catechisti ci avessero detto che la Messa è il Santo Sacrificio di Cristo in Croce che si rinnova in modo incruento sull'Altare, nelle mani del Sacerdote, alter Christus....
Chissà se le cose sarebbe andate diversamente.
Allora ce lo spiega il Papa cosa si debba intendere per "partecipazione", e cosa intendevano i Padri conciliari, nessuno dei quali, a dispetto di quanto in molti possano pensare, era un rockettaro, un alternativo o un hippy in partenza per woodstock. Scrive Benedetto XVI, ricordando quindi il Vaticano II:
In realtà, l'attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l'esistenza quotidiana. Ancora pienamente valida è la raccomandazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, che esortava i fedeli a non assistere alla liturgia eucaristica « come estranei o muti spettatori », ma a partecipare « all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente ».

Norcia, 11 agosto 2012: Santa Messa con
professione dei nuovi Monaci Benedettini
Ecco il punto centrale.  Alla Messa, spiegano i Padri Conciliari e ribadisce papa Benedetto XVI, non si sta come estranei, come spettatori muti. Forse estranei lo eravamo un po' noi altri, che pensavamo - in buona fede - al nostro concertino domenicale, che ci preoccupavamo che le chitarre fossero ben accordate, che i bonghi si sentissero fino in fondo alla chiesa e che le maracas andassero a tempo. Per la comunione pazienza, non si poteva mica rischiare di non terminare il canto, di non fare la parte con le 3 voci, chè lì sì, facevamo una gran bella figura! Estranei lo eravamo un po' noi altri con tutte le comunioni saltate... del resto catechisti ed educatori, nella loro colpevole e bieca ignoranza, ci confermavano nella bestialità della nostra teologia da bar sport. Chissà se invece di quel libercolo indistinguibile da un fumettaccio disegnato male, chissà se avessimo avuto un libro "vero" di catechismo, un libro che, senza perdersi in chiacchiere,  fosse stato in grado di rispondere in modo chiaro, preciso e inequivocabile alle 1000 domande di ogni giorno, senza lasciare che a farlo fossero la televisione, e poi la rete e i cattivi maestri in genere.
Quanto all'essere spettatori muti, fin troppo facile e onestamente semplicistica la critica all'antico rito, nel quale i fedeli sarebbero stati solo degli spettatori quasi sempre muti. C'è da capirsi anzitutto sul senso della parola "muti". Dopo 2000 anni di Cristianesimo e dopo una schiera interminabile di Santi che hanno insegnato il valore del silenzio, davvero confondere il mutismo con il silenzio, e il silenzio con l'assenza di parole, sarebbe una leggerezza di imperdonabile superficialità.

Cosa avviene sull'Altare? Si compie un mistero ineffabile: nelle Specie del Pane e del Vino, si rende presente Gesù Cristo. Non si tratta di un simbolo, non è una rappresentazione! Cristo è lì fisicamente, nelle mani del Sacerdote, è veramanete lì, presente in Anima, Corpo, Spirito e Divinità! E' un Mistero grande, indicibile, "scandaloso", così assurdo che nessun falsario avrebbe potuto concepirlo, così inaudito che l'unica possibilità che si offre all'intelligenza umana, la possibilità incredibilmente più ragionevole, è quella di ammetterne l'autenticità. L'unica possibilità accettabile.
E' solo in relazione e al cospetto di cotanto e cotale Mistero, che dobbiamo chiederci cosa significhi essere spettatori "muti" e cosa significhi "partecipazione attiva, piena e fruttuosa". E' evidente che che qui, il concetto di "partecipazione" può avere un valore esclusivamente relativo e non assoluto. Per un tifoso che assiste ad una partita, "partecipazione" significherà sbraitare e applaudire la propria squadra, magari inveire verbalmente contro l'arbitro, e smanarsi con bandiere e vuvuzelas. Pensiamo ora cosa succederebbe se lo stesso tifoso si recasse il giorno dopo in un'aula scolastica, e pensasse di "partecipare" alla lezione, allo stesso modo in cui ha partecipato alla partita....
A teatro, all'opera, a scuola, a una conferenza...: è sempre richiesta una partecipazione attiva; si partecipa col silenzio, con l'attenzione. Un silenzio che non è mai "mutismo".  Il mutismo è l'arresto dell'intelligenza, la rinuncia per manifesta incompetenza, mutismo è la rassegnazione, è l'umiliazione del genio umano, della sua scintilla divina. Il silenzio è il contrario del mutismo: silenzio è ascolto, è adesione, è riflessione. Di fronte al Mistero, il silenzio è partecipazione; il chiasso può essere solo distrazione. E la distrazione può nascere solo dall'incomprensione, e quindi dall'umilante rinuncia a comprendere. Può sembrare un paradosso, ma di fronte al Mistero, se il silenzio è partecipazione, il chiasso è l'autentico mutismo, il mutismo dell'anima che si cela dietro la ridondanza e la rumorosità delle parole.
La dotta ignoranza dei filosofi che ammettono di non sapere e di non poter sapere, quella produce il mutismo; nell'illusione della sconfinatezza delle possibilità dell'intelligenza, ci si scontra con la realtà che leva le parole, che lascia muti. Ecco cos'è il mutismo.
Dall'altra parte, abbiamo invece l'intelligenza che si lascia illuminare dalla Grazia e nella consapevole percezione dei propri limiti sublima se stessa nel silenzio che è abbandono fiducioso in Dio, adorazione, preghiera. Ecco invece cos'è la partecipazione.

Mi piace adoperare quel po' di latino che conosco, quel po' di linguistica e di retorica che ho studiato, per assaporare fino in fondo il gusto sublime di certi loci, soprattutto del Canone, il cui ignoto compositore attinge di certo alle alte sfere della divina ispirazione. Ma non mi illudo: quel po' di latino che conosco, non farà di me un cristiano migliore, nè un fedele più partecipe alla Santa Messa, che sia in latino o che sia in volgare. Anzi, la comprensione della lettera del testo rischia di creare l'illusione che la ragione possa comprendere finalmente il Mistero. E' l'illusione del giovinetto che pensava di raccogliere con una conchiglia l'acqua del mare nella buca che aveva scavato. L'intelligenza, si diceva, sublima se stessa non nella comprensione del Mistero, ma nella comprensione del proprio limite; e solo a quel punto che, illuminata dalla Grazia, nel filiale e olistico abbandono in Dio, può travalicare se stessa per porsi, di fronte al Mistero, non più in termini di illusoria e fallimentare comprensione, bensì di intuizione, contemplazione, adorazione.

"Il latino non si capisce"! - sentenziano i pelandroni. Ma se sono i gesti, i segni, i simboli a parlare al cuore, cosa mai potrebbe aggiungere la lettera del latino che deve limitarsi a parlare alla testa?
Non credo, in tutta onestà, che la Santa Messa con cui la Chiesa ha celebrato fruttuosamente per secoli e secoli, abbia tutti quei difetti che in tanti, forse per pigrizia, forse per il terrore di doversi rimettere in discussione, si ostinano ad appiopparle - certo che tanta pervicacia pare avere un non so che, una certa qual puzza di zolfo... - . Di sicuro ha un pregio: non si corre il rischio di abituarcisi: ogni Messa è come se fosse quella della Prima Comunione; come se fosse la prima, come se fosse l'ultima, come se fosse l'unica! Ogni singola Messa. Nessuna esclusa. Che grazia sarebbe se si potesse recuperare sempre questo senso del sacro anche nella Santa Messa nella forma "ordinaria", senza lasciarsi distrarre dallo one-man-show che troppe volte, si compie sull'Altare... Di sicuro nessuno dei Padri Conciliari avrebbe voluto che accadesse niente del genere.

Prosegue il Papa, sempre al n.52 della Sacramentum Caritatis:
Il Concilio proseguiva sviluppando la riflessione: i fedeli « formati dalla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del Corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo Mediatore siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro »

Il Papa, che anche qui richiama la Sacrosanctum Concilium, esorta i fedeli a formarsi alla Parola di Dio, a nutrirsi alla Mensa Eucaristica, quindi a imparare a offrire se stessi di giorno in giorno. Già al n. 51 il Papa aveva richiamato il legame intrinseco fra la Liturgia e la missione, la natura missionaria della Chiesa. Un legame che si offre all'immediata evidenza di chiunque nell'espressione di congedo: Ite, Missa est! Un'espressione di cui, per ragioni incomprensibili, si è imposta per anni una traduzione ingiustificata e fuorviante: La Messa è finita, andate in pace... come se la Messa potesse mai "finire"....

Ma sul discorso della lingua sacra, il Latino, dovremo tornarci con più calma e attenzione…

sabato 18 agosto 2012

La Santa Messa in forma "straordinaria": una testimonianza


 di Vincenzo Sasso*


Grazie alla Messa "antica", autentico dono del nostro Pontefice, ho potuto sperimentare quel silenzio, quella sacralità e bellezza e atmosfera di preghiera e adorazione che ho sempre ricercato. Ho sempre avvertito l'attrazione per i tesori della nostra tradizione. Ma si trattava di qualcosa che intravedevo solo grazie a qualche film e alla preziosa risorsa di Internet in quanto, in contrasto con le prescrizioni del Concilio Vaticano II del Magistero ordinario, cose come la musica sacra antica, come il canto gregoriano, e le preghiere in latino sono state quasi completamente rimosse dalle nostre celebrazioni.

Grazie alla Messa antica ho imparato a contemplare i misteri della nostra salvezza e ad adorare Cristo nell'Eucaristia con più profondità e con calma. I testi della Liturgia sono dotati di una densità meravigliosa e mi aiutano a comprendere meglio la mia fede e a pregare meglio.

Spesso i detrattori del restauro e del rinnovamento della Liturgia leggono tali proposte con lenti preconfenzionate, attraverso i commenti denigratori di chi, tra le alte schiere, è contrario. Ma questo approccio manca di ragionevolezza e le critiche mosse sembrano alla fine poco consistenti, poco adeguate alla realtà dei fatti, poco argomentate dal punto di vista teologico e dottrinale, in contrasto con le indicazioni autoritative del Magistero papale e anche conciliare, ma piuttosto frutto di impostazioni di un cattolicesimo vecchio, in voga negli '70 del secolo scorso. 
Spero invece che, come il Concilio Vaticano II ci insegna a fare, si possano leggere i segni dei tempi: molti adulti e giovani adulti, attraverso la Messa antica, a cui magari si accostano inizialmente per semplice curiosità, sperimentano un incontro autentico con il Signore, grazie al clima di silenzio che essa favorisce e al denso patrimonio di gesti e testi che la Tradizione romana ci consegna; notiamo come molti lontani, grazie alla Messa antica, avvertono il bisogno di tornare tanti alla fede o perlomeno recuperano un po' di interesse per essa. E sappiamo tutti che l'albero si giudica dai frutti. 

E' opportuno avviare serene discussioni attorno a tutti i temi caldi della Liturgia e della teologia in genere e giungere a delle conclusioni comuni, per quanto possibile.
Da parte dei teologi è richiesta l'umiltà dell'autentico dialogo, che si attua attraverso uno studio attento e spregiudicato del pensiero di ognuno, senza chiudersi alla possibilità di accettare e confessare pubblicamente di avere sbagliato e di essere pronti a cambiare opinione. E questo invito lo rivolgerei a tutti, perché può capitare che vi siano idee speculari tra loro, ma che entrambe siano in parte sbagliate. Bisogna trovare sempre un equilibrio, che poi è quello dell'autentica Fede Cattolica, che è e sarà sempre la stessa.

Nessuno obbliga i fedeli o i sacerdoti e vescovi non interessati al rito antico di frequentare o celebrare questa Messa. Non si capisce allora perché tanto livore nel voler contestare chi ad essa è legato e nel contrastare chi la promuove. Davvero un comportamento del genere, non ho paura di dirlo, è in realtà la negazione di uno dei principi più importanti che il Concilio ha voluto proclamare e in cui tali persone dicono, a parole, di credere: la centralità della persona, del Popolo di Dio e l'autonomia del laicato dall'interventismo clericale. 
Noi siamo tutti cattolici e abbiamo la stessa fede in Gesù, Maria, i santi, l'Eucaristia e il Papa, quindi dovremmo essere uniti nel tentativo di portare Cristo al mondo, trasmettendo l'autentica fede della Chiesa.


* Studente di Teologia, Corato (Bari)

martedì 14 agosto 2012

L'Assunzione di Maria in cielo: Il fondatore dei Francescani dell'Immacolata spiega come guadagnarsi il paradiso

di padre Stefano M. Manelli F.I.

Fonte: ZENIT.org, domenica, 12 agosto 2012

Oronzo Tiso, "Assunta", Cattedrale di Lecce
Contemplando l’Assunzione di Maria Santissima in anima e corpo al Cielo, noi contempliamo il nostro ultimo destino secondo il progetto di Dio: il Paradiso. 

Per meritare il Paradiso, però, dobbiamo sforzarci di vivere come visse la Madonna, praticando le virtù nel sacrificio quotidiano della nostra vita. «Non verrà premiato se non chi avrà legittimamente combattuto», dice l’Apostolo Paolo (2 Tm 2,5).
L’Assunzione della Madonna al Paradiso ci ricorda le sue sante virtù, brillanti come stelle nel firmamento della sua vita. Tutta la vita della Madonna è stata una celeste costellazione di virtù, un Eden di Grazia sulla terra, trasportato poi nell’Eden infinito ed eterno dei cieli. E noi, contemplando Lei, dobbiamo imparare a vivere come Lei per essere accolti un giorno in Paradiso.

Per questo la Chiesa dice che sulla terra gli uomini «innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come il modello della virtù davanti a tutta la comunità degli eletti» (Lumen gentium) e il papa Paolo VI afferma che le virtù della Madonna sono il modello per tutti, e che «di queste virtù della Madre si orneranno i figli, che con tenace proposito guardano i suoi esempi per riprodurli nella propria vita» (Marialis cultus).

Ma quali virtù soprattutto dobbiamo imitare nella Madonna?
Il grande apostolo della Madonna, san Luigi Grignion di Montfort, c’insegna che «la vera devozione alla Santa Vergine porta un’anima ad evitare il peccato e ad imitare le virtù della Santissima Vergine, in particolare modo la sua profonda umiltà, la sua fede viva, la sua ubbidienza cieca, la sua orazione continua, la sua mortificazione universale, la sua purezza divina, la sua ardente carità, la sua pazienza eroica e la sua sapienza divina». Quale tesoro immenso di virtù sublimi è la Madonna!
Ebbene, se questa strada delle virtù e stata la via della Madonna al Paradiso, deve essere anche la nostra strada. Altra via non c’è per passare dalla terra al cielo, senza passare per il Purgatorio, che è luogo di purificazione dolorosa, al cui confronto impallidiscono anche le più atroci sofferenze di questa terra.

Tutti i Santi, infatti, sono tali perché hanno praticato le virtù in modo perfetto, brillando di più, alcuni, per qualche virtù particolare che li caratterizza: così, san Francesco d’Assisi per la povertà; santa Chiara d’Assisi per l’amore all’Eucaristia; san Luigi Gonzaga per la purezza; santa Teresa di Gesù per la preghiera; san Francesco Saverio per l’amore alle anime nelle Missioni; santa Gemma Galgani per l’amore al Crocifisso e all’Addolorata; san Massimiliano Maria Kolbe per l’amore all’Immacolata; san Pio da Pietrelcina per l’amore al Rosario.

Fatima, poi, ci parla anche del Purgatorio, e in termini per nulla confortanti. A Lucia che chiedeva dove si trovasse l’anima di una sua compagna morta da poco, la Madonna rispose: «È in Purgatorio, e vi resterà fino alla fine del mondo». È terribile. Ma perché non pensiamo che potrebbe essere così anche per noi?
In Paradiso si entra perfetti, con tutte le virtù. I tre pastorelli capirono bene ciò, e si applicarono con tutto l’ardore all’esercizio delle virtù. La piccola Giacinta, ad esempio, ci incanta per il candore e la sua mortificazione, la sua preghiera e la sua pazienza nelle terribili sofferenze dell’operazione chirurgica che dovette subire in carne viva, senza anestetico; soprattutto, ci incanta per la sua carità eroica verso i poveri peccatori che erano la passione del suo cuore innocente.
Il piccolo Francesco di Fatima ugualmente ci incanta per il suo raccoglimento, il suo riserbo e la sua capacità di contemplazione e di adorazione. Sono cose sbalorditive in un ragazzo di dieci anni, che dovrebbe sopratutto appassionarsi al gioco e a corse spensierate.
Quanta maturità, invece, e quale passione amorosa egli rivela nel voler sempre «consolare Gesù», magari trascorrendo ore intere vicino al Tabernacolo, dove c’è «Gesù nascosto»!

È così che si entra in Paradiso. Solo così. Contemplando la Madonna che viene assunta in cielo, quindi, possiamo riscoprire ogni volta il vero cammino della vita cristiana, sulla scia splendente e sublime della Celeste Madre: un cammino di virtù che portano lassù.

Virtù da praticare: Imitazione di Maria.

* Per ogni approfondimento: Padre Stefano Maria Manelli, “O Rosario
benedetto di Maria!” (Casa Mariana Editrice)

sabato 4 agosto 2012

"L'ombra del divino nell'arte contemporanea" di Vittorio Sgarbi

Arch. Angelo Lanotte
prof. Toni Bux



Tralasciando tutto quello che appartiene alle estemporanee mediatiche, Vittorio Sgarbi ha da sempre avuto ben chiaro il rapporto misterioso che esiste tra l’arte ed il sacro.

Il libro si interroga su due aspetti fondamentali del rapporto tra sacro e arte contemporanea, ponendosi due domande:
- In che modo gli artisti contemporanei percepiscono il rapporto con il divino?
- Da dove nasce la difficoltà di rappresentare oggi i temi della cristianità, che per secoli son stati la prima fonte di ispirazione artistica?

Rivolgendo l’attenzione su quel rapporto drammatico tra artista – tradizione – fede, dove il rapporto tra fede e tradizione è inscindibile, perché solo attraverso la memoria storica dei padri della chiesa Cristo è presenza viva.
Partendo dall’attenta analisi di quello che riporta Papa Benedetto XVI nel suo libro “Teologia della liturgia”:
“… la fede ha a che fare con Dio, e solo dove la sua presenza si fa vicina, solo dove il timore reverenziale nei suoi confronti le intenzioni umane passano in seconda linea, si crea quella credibilità, quell’atmosfera degna della fede che fa sbocciare la fede”, 
arrivando ad affermare che la fede è un elemento essenziale nella creazione di un edificio sacro, e in sua assenza, si manifesta l’impossibilità di realizzare arte e architettura credibile.

Un rapporto, quello tra arte e sacro, ormai mancante di “regole”, dove le indicazioni dettate dal Concilio Vaticano II, sono state interpretate con perfetto spirito di liberismo, una “umanizzazione della chiesa” che ha portato all’abolizione del latino dalla liturgia,  una necessità di semplificazione che ha compromesso il mistero della Parola, con le quali l’autore è profondamente in disaccordo affermando quanto segue:
“…il latino ecclesiastico però non è solo una lingua, ma anche espressione di regole precise, di codici che vigevano nella pittura, così come nella scultura e nell’architettura…”.
Ritrovandosi in pieno accordo con il “Motu Proprio Summorum Pontificium” di Papa Benedetto XVI, attraverso cui è stato ripristinato il latino nelle cerimonie ufficiali, coniando l’espressione di “Forma Straordinaria del Rito Romano”, non intaccando il culto quotidiano e le funzioni ordinarie.
Quelle regole che portano a non smantellare altari, balaustre, riportando l’attenzione su Cristo Sacramentato e non sul sacerdote, rivolto verso il popolo per cercare un dialogo più stretto con quest’ultimo, dimenticando il vero senso del dialogo totale, quello con Dio.
Occasione che porta a citare l’introduzione dell’allora cardinale Ratzinger, nell’anno 2004, al libro di padre Uwe Michael Lang “Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica”, nel quale si sostiene il ritorno e soprattutto la valenza dell’edificare l’edifico sacro con l’abside rivolto ad oriente, dove sorge il sole, il sorgere del sole è infatti metafora di Dio e della Risurrezione. 
Il sacerdote guarda in quella direzione ed è guida e modello per i fedeli. 
Egli è il primo fedele. 
Egli precede i fedeli semplicemente perché ne è guida.
Chiarendo che l’uso di orientare l’altare verso il popolo non è affatto una Direttiva Conciliare ma una norma contenuta nella “Introduzione Generale” al Nuovo Messale Romano del 1969, dove si legge: ”L’altare maggiore sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo (versum populum)”. Norma da non intendere come imposizione, perché nelle “Istruzioni Generali” per il Messale del 2002 viene specificato che questo cambiamento strutturale “è desiderabile ovunque sia possibile”.
Riflessioni che, attraverso l’esempio di interventi del tutto infelici, come quelli del Duomo di Pisa, di Reggio Emilia, alla chiesa di Foligno progettata dall’architetto Massimiliano Fuksas, arrivando ad interventi più in linea con la tradizione dell’arte sacra, come il grande cantiere della ricostruzione della cattedrale di Noto in Sicilia, attraverso i quali viene esplicitato il senso del titolo del libro “L’ombra del divino”, condizione in cui gli artisti si muovono quando si confrontano con il sacro. 
Il rifarsi alla tradizione, una tradizione profondamente viva, ragionata, calandosi nel tempo e nello spazio, nell’ambiente e nei mezzi e cogliendone lo spirito.
Quella tradizione tramandata a noi attraverso la figura dei grandi maestri dell’arte e dell’architettura, fatta propria dagli artisti e architetti contemporanei, che attraverso la loro fede la rivelano a noi, una esperienza estetica già data in cui si percepisce ciò che è stato.
Condizione essenziale attraverso cui il progettare un edificio sacro non è puro esercizio formale – funzionale, cosa che ha fatto proliferare soprattutto nel secolo scorso migliaia di edifici sacri – depositi/garage, mentre uno spazio – sacro deve essere carico del Mistero della Chiesa “Corpo di Cristo e Tempio di Dio” nel suo cammino verso la pienezza della vita eterna e della gloria nel cielo.
In questo il libro Vittorio Sgarbi è rivelatore ad un pubblico, anche di fedeli, poco attenti al bello, 
il bello quello della “bellezza divina”. 
Dove si deve sentire la presenza del Mistero, perché la bellezza che si tocca con mano parla di noi.
Dio è bellezza e dove esiste lì è più semplice riconoscere la sua infinita presenza.


“L’OMBRA DEL DIVINO NELL’ARTE CONTEMPORANEA” 
DI VITTORIO SGARBI 
– EDIZIONE CANTAGALLI –  2011; Pag. 230