martedì 25 settembre 2012

Il Santo Padre ha nominato mons. Filippo Santoro Padre Sinodale



Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato l’Arcivescovo Metropolita di Taranto, monsignor Filippo Santoro, Padre Sinodale della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma dal 7 al 28 ottobre 2012. Così si apprende dal bollettino della sala stampa vaticana di oggi 18 settembre alle ore 12,00. Il Sinodo verterà su La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
L’Arcivescovo Santoro, designato dal Papa nella rappresentanza di tutto il mondo, reca al Sinodo la sua grande esperienza nel campo della formazione giovanile e universitaria, in ambito missionario per i 27 anni di missione in Brasile, prima come sacerdote fidei donum, poi come vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, quindi come vescovo della sede di Petropolis.
Oggi Mons. Santoro è Arcivescovo di una Chiesa del Sud Italia, che in pochi mesi dal suo insediamento lo ha visto, oltre ad assolvere i numerosi impegni di carattere pastorale, in prima linea per i problemi del capoluogo ionico,  difendendo il diritto alla salute e il diritto al lavoro.
Al Santo Padre va la gratitudine dell’intera Arcidiocesi di Taranto per questo ulteriore attestato di stima e di fiducia verso l’amata persona di Mons. Filippo Santoro.
La Chiesa locale assicura la preghiera per le prospettive, che sicuramente traccerà il prossimo Sinodo, e sostiene, gioiosa, la partecipazione, il lavoro, e i contributi che certamente monsignor Santoro porterà al Sinodo.

il Pro Vicario Generale
Mons. Emanuele Tagliente

martedì 18 settembre 2012

Legge e Verità


SANTA MESSA A CONCLUSIONE DELL’INCONTRO CON IL "RATZINGER SCHÜLERKREIS"

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Centro Mariapoli, Castel Gandolfo
Domenica, 2 settembre 2012

“La legge è un dono che viene da Dio” 
“La verità ci viene incontro e ci afferra”

[…] la «gioia della legge»: legge non come vincolo, come qualcosa che ci toglie la libertà, ma come regalo e dono. […] E’ questa la gioia umile di Israele: ricevere un dono da Dio. Questo è diverso dal trionfalismo, dall’orgoglio di ciò che viene da se stessi: Israele non è orgoglioso della propria legge come Roma poteva esserlo del diritto romano quale dono all’umanità, come la Francia forse del «Code Napoléon» ecc. […] Ma Israele sa: questa legge non l’ha fatta egli stesso, non è frutto della sua genialità, è dono. Dio gli ha mostrato che cos’è il diritto. Dio gli ha dato saggezza. La legge è saggezza. Saggezza è l’arte dell’essere uomini, l’arte di poter vivere bene e di poter morire bene. E si può vivere e morire bene solo quando si è ricevuta la verità e quando la verità ci indica il cammino. Essere grati per il dono che noi non abbiamo inventato, ma che ci è stato dato in dono, e vivere nella saggezza; imparare, grazie al dono di Dio, ad essere uomini in modo retto.
[…] c’è anche un pericolo: «non aggiungere, non togliere nulla». Con il passare del tempo, al dono di Dio si sono aggiunti applicazioni, opere, costumi umani, che crescendo nascondono ciò che è proprio della saggezza donata da Dio, così da diventare un vero vincolo che bisogna spezzare, oppure da portare alla presunzione: noi l’abbiamo inventato!
[…] Secondo la nostra fede la Chiesa è l’Israele che è diventato universale, nel quale tutti diventano, attraverso il Signore, figli di Abramo; l’Israele diventato universale, nel quale persiste il nucleo essenziale della legge, privo delle contingenze del tempo e del popolo. Questo nucleo è semplicemente Cristo stesso, l’amore di Dio per noi ed il nostro amore per Lui e per gli uomini. Egli è la Torah vivente, è il dono di Dio per noi, nel quale, ora, riceviamo tutti la saggezza di Dio. […]
Conviene, quindi, alla Chiesa, come per Israele, essere piena di gratitudine e di gioia. «Quale popolo può dire che Dio gli sia così vicino? Quale popolo ha ricevuto questo dono?». Non lo abbiamo fatto noi, ci è stato donato. Gioia e gratitudine per il fatto che lo possiamo conoscere, che abbiamo ricevuto la saggezza del vivere bene, che è ciò che dovrebbe caratterizzare il cristiano. […]

Ma anche nella Chiesa c’è lo stesso fenomeno: elementi umani si aggiungono e conducono o alla presunzione, al cosiddetto trionfalismo che vanta se stesso invece di dare la lode a Dio, o al vincolo, che bisogna togliere, spezzare e schiacciare. Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire? Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita.
Se leggiamo, ad esempio, nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata? Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso. Nessuno può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e, giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei. Solo se ci lasciamo guidare e muovere da lei, rimaniamo in lei, solo se siamo, con lei e in lei, pellegrini della verità, allora è in noi e per noi. Penso che dobbiamo imparare di nuovo questo «non-avere-la-verità». Come nessuno può dire: ho dei figli – non sono un nostro possesso, sono un dono, e come dono di Dio ci sono dati per un compito - così non possiamo dire: ho la verità, ma la verità è venuta verso di noi e ci spinge. Dobbiamo imparare a farci muovere da lei, a farci condurre da lei. E allora brillerà di nuovo: se essa stessa ci conduce e ci compenetra.

venerdì 14 settembre 2012

Colloqui sulla Musica Sacra

Verona, Sabato 6 ottobre

Colloqui sulla Musica Sacra:
cinquant'anni dal Concilio Vaticano II
alla luce del Magistero di Benedetto XVI




mercoledì 12 settembre 2012

Una cum Papa nostro: Pellegrinaggio internazionale a Roma





Conferenza Stampa del Coetus Internationalis Summorum Pontificum


(sottolineature nostre) 


Roma, 10 settembre 2012, Ss.ma Trinità dei Pellegrini

Intervento di don Claude Barthe, cappellano del Pellegrinaggio


Il pellegrinaggio Summorum Pontificum di Ognissanti 2012, all’inizio dell’Anno della fede, che culminerà in una messa nella Basilica Vaticana, ha un quadruplice scopo:

1°. Sarà un rendimento di grazie. I pellegrini offriranno innanzi tutto una messa nella forma straordinaria di ringraziamento e di sostegno filiale al Santo Padre in occasione del 5° anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum, che, come è noto, è entrato in vigore il 14 settembre 2007. Per moltissimi sacerdoti, diocesani e religiosi, che ormai celebrano la loro messa quotidiana nella forma straordinaria, è un beneficio spirituale davvero immenso, come pure per i fedeli di quelle parrocchie – sfortunatamente ancora troppo rare – che possono così godere di questa liturgia e della sua mistica. Si può dire che questo atto di Benedetto XVI ha fatto nascere un vero popolo Summorum Pontificum. Questo popolo vuole ringraziarlo di tutto ciò.

2°. Sarà una dimostrazione di fedeltà a Pietro. Il secondo scopo è manifestare in questo modo il nostro amore per la Chiesa e la nostra fedeltà alla Sede di Pietro, particolarmente nell’attuale amara e difficile congiuntura. Siamo ben consapevoli che le fatiche che oggi affronta il Santo Padre sono pesanti. La messa romana tradizionale, in particolare nel Canone, è sempre stata considerata di per sé stessa una magnifica professione di fede della Chiesa Mater et Magistra: è questo credo liturgico che vorremmo esprimere sulla Tomba degli Apostoli, presso il Successore di Pietro.

3°. Sarà un’offerta e una supplica. Vogliamo fare questo particolare dono al Signore soprattutto per domandarGli le grazie necessarie al Sovrano Pontefice per proseguire nell’opera meravigliosa che egli compie sin dall’inizio del suo pontificato, e, specialmente oggi, in mezzo a croci e prove.

4°. Infine, sarà un’espressione di partecipazione alla missione della Chiesa. Vorremmo apportare alla nuova evangelizzazione che il Santo Padre intende promuovere con l’Anno della Fede il contributo della sempre giovane liturgia tradizionale. È ben chiaro che essa è il sostegno di un gran numero di famiglie cosi come di tante organizzazioni e iniziative cattoliche, specialmente rivolte ai giovani (oratori, scuole, corsi di catechismo) e che è fonte di vocazioni religiose e sacerdotali in costante crescita, cosa che oggi, nel mondo occidentale, si rivela estremamente preziosa.

Mi sembra che occorra insistere su quest’ultimo punto. Per grazia di Dio, in certi paesi come la Francia e gli Stati Uniti – ma il fenomeno potrebbe estendersi – la liturgia tradizionale, purtroppo senza colmare tutti i vuoti, conserva una crescita vocazionale importante. In Francia, per esempio, a fronte di 710 seminaristi diocesani, ci sono 140 seminaristi francesi (di cui 50 della FSSPX) in seminari dedicati alla forma straordinaria, vale a dire il 16%. Questo rapporto si ritrova nel numero delle ordinazioni: quest’anno 21 novelli sacerdoti straordinari contro 97 diocesani. Inoltre, la configurazione spirituale di questo nuovo clero diocesano è in piena mutazione: i giovani preti delle diocesi e i seminaristi diocesani sono attratti dalla celebrazione delle due forme del rito e lo dicono espressamente (in Francia, non è esagerato sostenere che almeno un terzo dei candidati al sacerdozio diocesano possa essere considerato come Summorum Pontificum).

È proprio questo che vorremmo esprimere religiosamente con il pellegrinaggio e la messa a San Pietro del 3 novembre: quello che si può chiamare il popolo Summorum Pontificum, il popolino (le petit peuple) come si dice in francese per indicare la gente comune, è oggi a disposizione del Santo Padre per la missione della Chiesa.

martedì 4 settembre 2012

Pellegrinaggio internazionale del 3 novembre a Roma: intervista a Emanuele Fiocchi



In vista della conferenza stampa del prossimo 10 Settembre che annuncerà ufficialmente il pellegrinaggio dei pro Summorum Pontificum di tutto il mondo a Roma, vi proponiamo l’intervista a Emanuele Fiocchi, portavoce del Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum.


Qual è il ruolo del CNSP nel pellegrinaggio del 3 novembre a Roma?

    Il “Coordinamento nazionale del Summorum Pontificum”, è solo uno dei promotori dell’iniziativa, la quale va ben oltre i confini nazionali ed ha un respiro davvero “cattolico”. Al nostro fianco sono scesi in campo organizzazioni di assoluto prestigio come la Fedezione Internazionale “Una Voce”, la Federazione Internazionale dei giovani di “Juventutem” e la grande “Notre-Dame-de-Chrétienté” di Versailles che organizza il pellegrinaggio a Chartres con decine di migliaia di fedeli ogni anno.

Le opinioni contro il Coordinamento a cosa si devono?

    Credo ad una interpretazione parziale dello spirito con cui il Coordinamento è stato concepito. Il Coordinamento nasce per coordinare quei gruppi di fedeli che si ritrovano nell’interpretrazione “benedettiana” della questione liturgica ereditata dall’ultima riforma. Una questione da riaprire con carità, coraggio e pazienza sotto la guida di questo Papa.

    L’unione che gli aderenti cercano nel Coordinamento è per far la loro piccola parte in questo nuovo e profondo movimento liturgico che è in atto nella Chiesa. Ora, tener viva la fiamma della liturgia nella forma straordinaria davanti ai quei fratelli che non capiscono questa scelta e non la condividono – quando proprio non la ostacolano, cioè spessissimo – è la nostra personale testimonianza di fede, il nostro contributo a questo movimento.

Perché questa scelta, diciamolo pure, difficile e controcorrente?

    Perché scegliere di celebrare in rito antico è un martirio bianco che risponde alla grande domanda del Papa.

Quale domanda?

    “La crisi della Chiesa nasce dalla liturgia”.

Ma questa non è una domanda, fu una affermazione di Benedetto XVI!

    Certo, ma rimase una frase sospesa nel vuoto, molti la rubricarono a semplice provocazione, perchè sottintendeva un pragmatico “quindi adesso che facciamo?” che spaventava. In realtà il Papa ha posto una domanda teologica fondamentale che picchia in testa ad ogni Vescovo, ad ogni prete e ad ogni laico ogni giorno: se l’Eucarestia, nella liturgia, genera la Chiesa allora perché certa parte di Chiesa trascura liturgia ed Eucarestia?

Già, perché?

    Forse perché quella non è più Chiesa, ma un’altra cosa: una specie di mutazione genetica della fede, che ha mantenuto il nome di “cattolica” ma dopo anni di brage trascurate ha spento il fuoco dello Spirito e celebra altro.

E perché quella parte di Chiesa ce l’ha tanto con il rito antico?

    Perché quella cosa mutante che s’aggira nella Chiesa Cattolica digrigna i denti contro la splendente luce di milleseicento anni di sacri riti e sante preghiere, come un demonio contro un esorcismo. La liturgia cattolica celebra una Presenza e quando celebra questa Presenza con la devotio, ovvero con quella pia virtù di cui molte liturgie sono prive, irrita a morte il Nemico, perché vede che l’uomo riconosce con onore e decoro la Maestà del suo vero Dio. Il rito antico favorisce in maniera certissima – per la postura, la teologia e la sacralità di cui è intriso – questa sacra devozione e qualcuno proprio non lo sopporta.

E quindi?

    E quindi la forma straordinaria della Sacra Liturgia, laddove viene celebrata, diventa la pietra di scandalo che rivela il pensiero di molti. Un pensiero per niente cattolico, mi creda.

Ma la Messa di Paolo VI, che viene chiamata ora “forma ordinaria” della liturgia, non bastava?

    Quella è la forma ordinaria, appunto. Eppure secondo il Papa era necessario riaccendere anche l’altra fiamma, quella delle radici da cui proveniamo, perché era stata quasi spenta e nemmeno il beato Giovanni Paolo II era riuscito a riaccenderla con la Quattuor abhinc annos e l’Ecclesia Dei adflicta, a causa delle ostilità di molti vescovi. Ecco, allora, che Benedetto XVI ha donato alla Chiesa il Summorum Pontificum, un documento che dona d’autorità il diritto universale e permanente a celebrare anche secondo la forma antica. Noi ci appelliamo a questo diritto e lo difendiamo per tenere accesa quella fiamma.

Ma questo non crea divisioni tra i fedeli? In fondo anche nelle critiche al Coordinamento c’è l’accusa di voler dividere il tradizionalismo tra posizioni “concilianti” e posizioni “puriste”…

    Come mi dice sempre un carissimo amico: il pensiero del Papa è chiaro, chi la pensa come il Papa sia il benvenuto.

    Nella Chiesa, se si presta fede al Magistero di Benedetto XVI – soprattutto quello liturgico –, queste divisioni non dovrebbero sussistere: ciò che è sempre stato continua a valere anche oggi. Ciò che si fa oggi, invece, potrebbe non essersi sempre fatto, pertanto “nihil innovetur nisi in Traditione”…

    Eventuali divisioni, invece, del cosiddetto “tradizionalismo” (che, detto per inciso, credo non dispiacciano affatto a qualcuno), non saranno certo provocate dal Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum. Questa è una iniziativa che non pretende né di dare patenti di cattolicità, né di comandare sui gruppi stabili che celebrano il rito antico, né di imporre loro alcun “pensiero unico”. Per due semplicissimi motivi.

    Primo, perché – e lo diciamo espressamente – non siamo un’associazione con delle tessere o dei capi. Abbiamo una struttura ultraleggera, fatta al massimo di alcuni portavoce e moderatori; ci basiamo su una libera e spontanea partecipazione dei gruppi stabili; proponiamo lavori e progetti che il Coordinamento sviluppa su input dei gruppi stessi. Per questo, pur augurandoci di crescere, – già oggi abbiamo una rappresentanza in tutte le regioni italiane – non abbiamo pretese di esclusività, e siamo pronti ad affiancarci ad ogni realtà che sia sulla nostra stessa lunghezza d’onda, come avviene – per fare un esempio – con il Coordinamento Toscano Benedetto XVI.

    Secondo motivo: i nostri contenuti sono quelli espressi da Benedetto XVI nel Summorum Pontificum e nel suo Magistero, noi lavoriamo su quello, e ci confrontiamo strenuamente con gli oppositori della liturgia tradizionale. E’ per questo che proponiamo agli aderenti la condivisione di un patto di punti in comune che si richiama pressoché testualmente al Summorum Pontificum e alla Universae Ecclesiae. La nostra unione non vuol far la nostra forza, ma la forza del Papa.

Non c’è il rischio di costruire l’ennesima sovrastruttura?

    No, perchè il nostro scopo è pratico e non ideologico. Il coetus fidelium è e rimane l’unità di misura del Summorum Pontificum: solo il coetus, infatti, può “chiedere una Messa” o appellarsi alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei. Noi come Coordinamento regionale e nazionale affianchiamo, consigliamo, uniamo gli sforzi, soprattutto quando il coetus incontra difficoltà od opposizioni, ma nulla più.

E chi vi accusa di edulcorare la liturgia antica, di favorire le contaminazioni tra i riti?

    Una grande falsità nata da un grande equivoco. Il Coordinamento è costruito sul testo del Summorum Pontificum così come esso è stato impostato: possono non star bene certi termini o certe scelte, ma il documento papale è quello. Un solo rito, due forme separate. Da nessuna parte si parla di sperimentare sulla pelle del rito antico, riabilitare messali del ’65 o legittimare contaminazioni casalinghe tra vecchio e nuovo. Potrei affermare, in concreto, che l’idea del Coordinamento è nata anche dalla necessità di alcuni gruppi di resistere a pressioni che invitavano a far strane commistioni dei messali.

    Questi abusi hanno la stessa radice di tutti gli abusi: si profana lo ius divinum. Ci si impadronisce delle cose sante di Dio, anche con le migliori intenzioni, e si finisce per violare il Suo sacro diritto ad essere adorato come Egli ha stabilito. Ed Egli lo ha stabilito attraverso la Sua Chiesa.

Niente pasticci insomma…

    La forma ordinaria è “ordinaria”, quella straordinaria è “straordinaria”: sul campo nessuna contaminazione è accettabile.

    Messe in rito antico con le letture nuove “così il prete prepara una sola predica”, preti che per negligenza rasano allegramente le rubriche per evitare la fatica di impararle, quelli che hanno deciso che nel Summorum Pontificum c’è scritto 1920 o 1965 e non 1962 – per quanto la discussione è assolutamente legittima e deve rimanere aperta – sono di una creatività liturgica di segno contrario che non è ammissibile neanche per l’Ecclesia Dei, figuriamoci per il Coordinamento.

    Il nostro principale dovere è di dare sostegno e decoro alla forma straordinaria, che spesso ha bisogno ancora di un’adeguata catechesi tra i fedeli e tra gli organizzatori, ed a questo che stiamo lavorando.

Eppure nella lettera introduttiva al SP si dice che “le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda ”…

    Sì, ma subito dopo dice anche “nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione Ecclesia Dei, in contatto con i diversi enti dedicati all’usus antiquior, studierà le possibilità pratiche”, limitando espressamente i campi e la competenza di questi eventuali interventi. Sono auspici ragionevoli, ma senza arbitrii.

    Sinceramente, io non starei a fasciarmi troppo la testa su quella frase: a noi preme che la forma straordinaria della Sacra Liturgia arricchisca la nostra fede e quella delle realtà ecclesiali in cui viviamo. Per questo auspichiamo che la liturgia tradizionale si diffonda sempre più e i gruppi si inseriscano pienamente nella vita delle diocesi.

    Quanto al resto, mettiamoci in braccio allo Spirito Santo come dei bambini, convinti che, quando e come la Provvidenza vorrà, anche la crisi liturgica che affligge la Chiesa verrà riassorbita.

    Per ora, felicitiamoci, piuttosto, dei sapienti interventi che il Santo Padre ha chiesto all’ultima edizione del Messale della forma ordinaria, come l’aggiustamento del “pro multis” nella traduzione, per esempio. Per questo grande Papa la “dottrina della Fede”, innazitutto. © 2012 La Paix Liturgique