Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 19 febbraio 2013

Il Latino nel diritto e nella Tradizione Liturgica della Chiesa


ISTITUTO SALESIANO “ DON BOSCO”
viale Virgilio 97  TARANTO
Venerdì   1 Marzo 2013 ore 17,30




Presentazione del Libro  “ La danza vuota intorno al Vitello d'oro”

Incontro di Studio: Il Latino nel diritto e nella Tradizione Liturgica della Chiesa

PARTECIPANO
  • Prof. d.  Roberto SPATARO s.d.b., segretario del Pontificium Institutum Altioris Latinitatis  e segretario della Pontificia Academia Latinitatis  Roma 
  • Dott. Daniele NIGRO, autore de “I diritti di Dio. La liturgia dopo il Vaticano II “ Sugarco, Milano 2012


Conclusioni del Prof. d. Nicola Bux, della Facoltà Teologica Pugliese

Saluti: d. Cristiano Ciferri, direttore dell'Istituto Salesiano – Taranto
Introduce: Avv. Cosimo D'Elia, Gruppo Summorum Pontificum - Taranto

SABATO 2 MARZO 2013 ore 18,00
SANTA MESSA -  VETUS ORDO  presso la Cappella dell'Istituto Salesiano
Celebrata da don Roberto Spataro 



“ ciò che è stato per le generazioni anteriori sacro, anche per noi resta sacro e grande e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso “ ( Benedetto XVI : lettera ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il MOTU PROPRIO sull'uso della liturgia anteriore alla riforma del 1970)


lunedì 11 febbraio 2013

Quadragesima ineunte


di Giannicola D'Amico

Sta per chiudersi il breve Carnevale di questo anno 2013, e la Quaresima si avvicina  con le sue promesse di primavera.
Un tempo il “licet insanire” veniva appositamente celebrato “semel in anno” nei riti conclusivi del Carnevale: occasione di breve impazzimento cui seguiva un periodo di generale serietà, anche civile, strettamente collegato al tempo di Penitenza che la Quaresima imponeva.
Oggi, che l’impazzimento è generalizzato e dura tutto l’anno, la differenza fra Carnevale e altri periodi dell’anno è talmente sfumata – complici anche i media - da passare pressoché inosservata.
Tralasciando le norme sul digiuno e sull’astinenza, preme sottolineare come, almeno in campo liturgico-musicale, si possa recuperare qualche dato qualificante del tempo penitenziale, che va di pari passo con l’adozione di un determinato colore liturgico o con la velazione delle immagini, ovvero quel digiuno anche sensoriale che veniva proposto dalla Chiesa in Quaresima, e che sarebbe vivamente opportuno ripristinare, in un mondo in cui il digiuno fisico lo si prevede solo in caso di “dieta dimagrante”.
Quando le norme liturgiche erano maggiormente osservate, era un fatto assodato che in tempo di Quaresima si potesse usare l’organo solo e soltanto per accompagnare i canti, quindi ne era bandito, durante la liturgia, l’uso solistico.
L’organista scrupoloso si asteneva pure dall’accompagnare, ancorchè sommessamente, l’Elevazione con il solo suono dello strumento.
La sera del Giovedì Santo si inchiavardava lo strumento, non soltanto in senso simbolico, ma perchè non fosse venuto in testa a qualche scriteriato di suonare durante i riti della Passione e fino all’annunzio della Resurrezione.
Oggi queste accortezze, che sarebbero pure ancora consigliate dalle norme liturgiche, non sono più sentite ordinariamente, dimodochè il servizio musicale viene prestato durante le settimane quaresimali e anche durante la Settimana Santa, né più e né meno di come lo si concepisca per il Natale, per la Pentecoste o per la festa patronale, salvo l’utilizzo di canti adatti (ove pure non sussista il deprecabile malvezzo dei canti passepartout).
Ripristinare il puro canto “a cappella” nelle comuni Parrocchie sarebbe forse un eccesso di zelo e, al momento, un sacrificio troppo oneroso, per quanto le Cattedrali potrebbero fare un passo in tal senso, però un segno di “astinenza” dalla comune prassi sarebbe bene che fosse offerto al Popolo di Dio, da parte dei pastori e dei musicisti.
Considerato che in molte parrocchie è stato, negli ultimi decenni, affiancato all’organo (o a qualche suo surrogato) il suono di altri strumenti, sarebbe sufficiente che nel periodo compreso fra il Mercoledì delle Ceneri e la domenica di Pasqua, ci si astenga dall’uso di tali strumenti.
Allontanare almeno temporaneamente dalla liturgia le chitarre, i fiati, le percussioni o altro strumentario che, a vario titolo, è stato progressivamente inserito nella prassi liturgica delle nostre chiese, sarebbe un gesto di equilibrato buon senso liturgico.
Con l’occasione si dovrebbe cercare di curare maggiormente l’uso dell’accompagnamento organistico e, magari, ripristinare l’uso di qualche antica melodia gregoriana o post-gregoriana che un tempo caratterizzava il tempo di Quaresima: brani semplici o semplicissimi che anche il nostro popolo intonava senza soverchia difficoltà.
Magari con qualche breve catechesi circa l’adozione di questo repertorio, condita delle traduzioni del testo latino, per propiziarne la comprensione: un momento di meditazione e formazione in questo senso, sarebbe d’auspicio a recuperare alcuni “fondamentali” del servizio musicale.
Si potrebbe aiutare a comprendere, così, cominciando dai pastori e dai musicisti, per finire ai semplici fedeli, che il servizio musicale alla Liturgia non è intrattenimento puro e semplice, ma è sottoposto a delle norme precise, come lo è l’uso di determinati colori dei paramenti o l’adozione di certe letture del Nuovo e dell’Antico Testamento in luogo di altre.
Ricominceremmo così, almeno “semel in anno”, a rinsavire.

mercoledì 6 febbraio 2013

La testimonianza dei primi Martiri giapponesi


di Vito Abbruzzi

Oggi, 6 febbraio, la Chiesa fa memoria di San Paolo Miki e compagni, primi martiri giapponesi. Il racconto del loro martirio, avvenuto a Nagasaki il 5 febbraio 1597 mediante crocifissione, è una pagina gloriosa del Martirologium Romanum.

Nell’Ufficio delle Letture della liturgia odierna è narrata, con toni commoventi, la “storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni scritta da un autore contemporaneo”. Di questi Santi mi colpisce la fede intrepida di Antonio, bambino, terziario francescano. Scrive di lui l’anonimo testimone: “Antonio, che stava di fianco a Ludovico [Ibaraki (bambino, terziario francescano)], con gli occhi fissi al cielo, dopo aver invocato il santissimo nome di Gesù e di Maria, intonò il salmo Laudate, pueri, Dominum, che aveva imparato a Nagasaki durante l’istruzione catechistica; in essa infatti vengono insegnati ai fanciulli alcuni salmi a questo scopo”. 
Sant’Antonio da Nagasaki afferma col suo candore quanto San Paolo Miki, chierico gesuita, aveva poco prima proclamato dal “pulpito più onorifico che mai avesse avuto”, cioè la croce, che “non c’è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani”.

Questa è una vera e propria lectio magistralis sulla evangelizzazione dei popoli rivolta a quanti ritengono falsamente che l’opera svolta dalla “Propaganda Fide” nei secoli passati in terra di missione sia stata una sorta di “colonizzazione” della Chiesa di Roma, con la “imposizione” del latino ai nuovi popoli cristiani. Nulla di più falso visto il fascino che ancora oggi la nostra Chiesa esercita, mercé la liturgia gregoriana, sulle popolazioni asiatiche, in modo davvero particolare quella nipponica. Lo testimonia il successo discografico avuto negli anni dal monastero di Solesmes, attestandosi ai primi posti nelle vendite di discografia riguardanti i canti gregoriani proprio nel paese del Sol Levante.

È, allora, il caso di abbandonare quegli ingiustificati pregiudizi sulla lingua latina, che, come insegna il Beato Giovanni XXIII al n. 3 della Costituzione Apostolica Veterum sapientia, “di sua propria natura […] è atta a promuovere presso qualsiasi popolo ogni forma di cultura; poiché non suscita gelosie, si presenta imparziale per tutte le genti, non è privilegio di nessuno, infine è a tutti accetta ed amica. Né bisogna dimenticare che la lingua latina ha nobiltà di struttura e di lessico, dato che offre la possibilità di ‘uno stile conciso, ricco, armonioso, pieno di maestà e di dignità’, che singolarmente giova alla chiarezza ed alla gravità”.    

lunedì 4 febbraio 2013

La credibilità della Chiesa. Autentica per natura


di Inos Biffi
da "L'Osservatore Romano" del 23 gennaio 2013



Si sente molte volte parlare di Chiesa che deve essere “credibile”, e non raramente si invita a pregare perché lo sia, specialmente nell’orazione dei fedeli, ch’è stata assunta da non pochi come l’occasione propizia per manifestare i propri pensieri e le proprie parole in libertà. Ma, esattamente, che cosa si intende dire quando si chiede a Dio che la Chiesa sia credibile?

Se per credibilità della Chiesa si intende la sua autenticità e verità, allora si deve osservare che la Chiesa è autentica e vera per la sua stessa natura e istituzione, ed è Cristo stesso a garantire e conferire tali imperdibili prerogative. Diversamente, non sarebbe più la Chiesa di Cristo; non rappresenterebbe più il suo Corpo e la sua Sposa, cesserebbe di essere intimamente animata e guidata dallo Spirito Santo. In breve: non esisterebbe più oggettivamente come Chiesa.

Ma, se il compito della Chiesa non è propriamente quello di rendersi valida e attendibile, forse sarebbe più illuminato domandare a Dio che quanti vi appartengono si distinguano per il fervore della fede, visto che la Chiesa è per definizione una comunità di fedeli.

E infatti si diventa Chiesa in virtù dell’adesione al Vangelo, dell’accoglienza della Parola di Dio e quindi della sequela di Gesù Cristo.

Ricorre anche un altro diffuso modo di esprimersi, quando si dice della Chiesa che dev’essere “persuasiva”. Anche al riguardo viene da chiedersi: che cosa significa “persuasiva”? Sembra ovvio che l’autentica Chiesa di Cristo possegga le ragioni puntuali e idonee a mostrare la propria verità e validità; tuttavia sembrerebbe più pertinente parlare dei suoi membri che devono essere “persuasi” e manifestare tale persuasione ancora una volta con la loro fede.

Questo linguaggio ne richiama un altro allo stesso modo ripetuto, quello relativo alla profezia, che deve distinguere la Chiesa e quindi i cristiani, fedeli e pastori, che devono essere dei profeti. Probabilmente ci si dimentica che il profeta è Gesù Cristo nel quale risiede in pienezza la Verità, e che si è profeti nella misura in cui si crede in Lui e si compiono opere dettate dalla fede. I cosiddetti profeti che vengono auspicati ed esaltati sono di solito segnati da spirito critico, da risentimento e da sapore antiecclesiale.

Possiamo aggiungere un altro rilievo. Ai linguaggi a cui abbiamo accennato sembra soggiacere la convinzione che, se il mondo non crede, sarebbe appunto perché la Chiesa non è abbastanza credibile e persuasiva, o non abbastanza profetica. In realtà, verrebbe da notare che Gesù stesso, in sé sommamente credibile, persuasivo e profetico, non ha suscitato l’adesione di tutti; ma soprattutto osserveremmo che a importare primariamente non è se si riesca a persuadere, ma se si è persuasi; come non è se si pervenga a ispirare la fede, ma se si possegga veramente la fede. Senza dubbio i discepoli del Signore devono offrire i segni della loro sequela, dei quali quello proprio – secondo Gesù – è l’amore vicendevole (cfr. Giovanni, 13, 35); allo stesso modo, essi non possono non desiderare che "il mondo creda", ma sono certi che la Chiesa, di cui fanno parte, ha in sé la grazia della testimonianza convincente, che essi condividono esattamente nella misura in cui sono credenti.

D’altra parte, e più radicalmente, non va dimenticato che non è la nostra santità a rendere santa la Chiesa ma è la santità della Chiesa che rende santi noi; non è la nostra fede a rendere la Chiesa credente, ma è la fede della Chiesa che ci fa credenti.

Noi siamo nativamente privi di grazia: la riceviamo, entrando a far parte della Chiesa, che della stessa grazia è il sacramento, essendo il “luogo” dello Spirito Santo. In altri termini: sono le prerogative della Chiesa a riflettersi nei singoli che in essa si trovano.

Oggi si va continuamente citando il passo della Prima Lettera di Pietro: "pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi" (3, 15), che secondo il contesto non significa che i cristiani devono sapere apologeticamente spiegare i motivi della loro fede, ma che nella loro condotta sono chiamati a offrire ai pagani la testimonianza della loro speranza.

L’apologetica illuminata fa parte della fede cristiana, che non è un’adesione cieca e immotivata, anche se in questi anni se ne è fatto un attacco spesso sconsiderato. E certamente tutti i veri credenti hanno dentro sé ragioni “evidenti” della loro fede. Non è detto però che tutti siano in grado di esprimerle adeguatamente o, come si dice, scientificamente, anche se la ricerca critica appartiene all’educazione della fede. Non senza, tuttavia, avvertire che ci può essere una profonda maturazione della stessa fede sul piano dell’esperienza, senza che essa comporti necessariamente uno sviluppo della capacità riflessiva e argomentativa. Tommaso d’Aquino parlerebbe appunto di esperienza della realtà divina ("divina pati"), da cui viene la conoscenza teologica "per inclinazione" (Summa Theologiae, I, 1, 6, 3m): una conoscenza, cioè, "connaturale", di cui fruiscono tutti coloro che sono in grazia e di conseguenza tutti coloro che sono vitalmente nella Chiesa.

C’è nel cristiano una tranquillità profonda, sicuro com’è che la Chiesa cui appartiene è indefettibilmente credibile e persuasiva, poiché non cesserà mai di essere il Corpo di Cristo e la sua Sposa fedele.

venerdì 1 febbraio 2013

AVVISO: Messa solenne a Monopoli


Domenica 3 febbraio
ore 20,00
Chiesa S. Francesco d'Assisi
- Monopoli -


Domenica 3 febbraio alle ore 20, nell'ambito delle celebrazioni nella forma straordinaria del Rito Romano (in latino), sarà celebrata una S. Messa solenne in occasione dell'anniversario della dedicazione della chiesa di S. Francesco d'Assisi in Monopoli (Ba).

La Messa solenne è la forma più alta di celebrazione, considerando che oltre il celebrante (il parroco d. Vito Schiavone) interverranno due sacerdoti in funzione di diacono (d. Nicola Bux, diocesi di Bari) e di suddiacono (d. Matteo de Meo, diocesi di S. Severo).
Un tempo era la "Messa a tre preti" che si indicava popolarmente, celebrata in particolari occasioni in cui si richiedeva una solennità speciale, come nel caso dell'anniversario della dedicazione.

La S. Messa sarà cantata in canto gregoriano, con accompagnamento organistico sul prezioso strumento settecentesco che si conserva a S. Francesco, a cura del giovane Pierluigi Mazzone.
Il servizio all'Altare sarà svolto dal gruppo ministranti "Ecclesia Mater" sovrinteso da Antonio Alò, della parrocchia S. Maria  Amalfitana di Monopoli.
Il canto gregoriano, nelle parti affidate al sacerdote, al diacono, al cantore e al popolo contribuisce a rendere splendore al culto, essendone parte integrante ed è un patrimonio immenso che può essere riscoperto tramite questa forma di celebrazione, considerando che nella forma ordinaria, in cui ne è vivamente caldeggiato l'uso, purtroppo esso è stato quasi totalmente messo da parte.
Al termine della S. Messa seguirà la tradizionale benedizione della gola nella festa di S. Biagio di Sebaste, vescovo e martire.  
I fedeli che visiteranno la chiesa di S. francesco d'Assisi il 3 febbraio potranno lucrare l'indulgenza plenaria, alle solite condizioni, trattandosi di una festa in cui la Chiesa concede tale opportunità.