di Vito Abbruzzi
Oggi, 6 febbraio, la Chiesa fa memoria di San Paolo Miki e compagni, primi martiri giapponesi. Il racconto del loro martirio, avvenuto a Nagasaki il 5 febbraio 1597 mediante crocifissione, è una pagina gloriosa del Martirologium Romanum.
Nell’Ufficio delle Letture della liturgia odierna è narrata, con toni commoventi, la “storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni scritta da un autore contemporaneo”. Di questi Santi mi colpisce la fede intrepida di Antonio, bambino, terziario francescano. Scrive di lui l’anonimo testimone: “Antonio, che stava di fianco a Ludovico [Ibaraki (bambino, terziario francescano)], con gli occhi fissi al cielo, dopo aver invocato il santissimo nome di Gesù e di Maria, intonò il salmo Laudate, pueri, Dominum, che aveva imparato a Nagasaki durante l’istruzione catechistica; in essa infatti vengono insegnati ai fanciulli alcuni salmi a questo scopo”.
Sant’Antonio da Nagasaki afferma col suo candore quanto San Paolo Miki, chierico gesuita, aveva poco prima proclamato dal “pulpito più onorifico che mai avesse avuto”, cioè la croce, che “non c’è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani”.
Questa è una vera e propria lectio magistralis sulla evangelizzazione dei popoli rivolta a quanti ritengono falsamente che l’opera svolta dalla “Propaganda Fide” nei secoli passati in terra di missione sia stata una sorta di “colonizzazione” della Chiesa di Roma, con la “imposizione” del latino ai nuovi popoli cristiani. Nulla di più falso visto il fascino che ancora oggi la nostra Chiesa esercita, mercé la liturgia gregoriana, sulle popolazioni asiatiche, in modo davvero particolare quella nipponica. Lo testimonia il successo discografico avuto negli anni dal monastero di Solesmes, attestandosi ai primi posti nelle vendite di discografia riguardanti i canti gregoriani proprio nel paese del Sol Levante.
È, allora, il caso di abbandonare quegli ingiustificati pregiudizi sulla lingua latina, che, come insegna il Beato Giovanni XXIII al n. 3 della Costituzione Apostolica Veterum sapientia, “di sua propria natura […] è atta a promuovere presso qualsiasi popolo ogni forma di cultura; poiché non suscita gelosie, si presenta imparziale per tutte le genti, non è privilegio di nessuno, infine è a tutti accetta ed amica. Né bisogna dimenticare che la lingua latina ha nobiltà di struttura e di lessico, dato che offre la possibilità di ‘uno stile conciso, ricco, armonioso, pieno di maestà e di dignità’, che singolarmente giova alla chiarezza ed alla gravità”.
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