Per tutto l’orbe terraqueo, in seguito alla divulgazione della notizia del grave crimine, in molti si sono stracciati le vesti!
Neanche l’auto-dichiaratosi cattolico, apostolico e romano Renzo Arbore, particolarmente coinvolto dall’accaduto, ha esitato a condannare definitivamente al supplizio eterno il reo curato. Infatti quest’ultimo avrebbe giustificato il diniego con una menzogna, ovvero asserendo che nuove disposizioni della gerarchia ecclesiastica vieterebbero a chiunque di commemorare i defunti in chiesa. E ovviamente proprio il reverendo non poteva non sapere che: «Chi dice le bugie va all’inferno con le palle di fuoco in bocca» (cit.).
Tengo subito a precisare che non intendo in questa sede entrare di nuovo nel merito della questione riguardante il corretto modo di celebrare le esequie, cosa che richiederebbe molto tempo e che mi riserbo di fare in futuro. Ciò che invece mi ha più colpito è stata la quasi unanimità nella condanna del sacerdote da parte del giornalismo e degli “opinionisti” che contano, cattolici e non.
Certo, dai secondi c’è da aspettarselo, mentre non sono ancora del tutto assuefatto al comportamento dei primi. Ed ecco che con toni apocalittici si è dipinta una Chiesa dalle “braccia chiuse” solo pronta a vietare e a respingere invece di accogliere. Tuttavia la cosa più sorprendente e paradossale è stata l’osservazione che con tale comportamento e divieto la Chiesa avrebbe perso una grande occasione.
Quale? Cito testualmente: «E pensare che i funerali (insieme ai matrimoni) sono i rari momenti in cui tanti non praticanti, tanti “lontani”, tanti agnostici e atei e seguaci di altre religioni tornano a mettere piede in una chiesa cattolica. Non dovrebbe, forse, essere un momento privilegiato per annunciare la “buona novella”?».
Ora di grazia mi si dovrebbe spiegare quale occasione ha perso la Chiesa non permettendo all’On. Bonino di prendere la parola, soprattutto dopo che si è appreso dalle parole di Arbore che l’esponente dei radicali avrebbe dovuto parlare delle battaglie condivise e combattute insieme alla Melato. Orbene le battaglie della Bonino noi le conosciamo a fondo: aborto, divorzio, eutanasia, matrimonio omosessuale e chi più ne ha più ne metta, e non possono di certo suscitare né momenti di grazia, né momenti di particolare edificazione.
È vero, matrimoni e funerali possono essere occasioni privilegiate per far breccia nei cuori più induriti, ma attraverso lo splendore del rito, la bellezza dei canti e l’edificazione dell’omelia, non di certo per mezzo di qualche pistolotto laicista pronunciato da chi ha sempre combattuto e combatte contro la Chiesa stessa e il suo insegnamento che è poi quello di Cristo.
Mi domando invece, sentire parlare una donna come la Bonino in chiesa e magari dall’ambone da dove qualche minuto prima era stato annunciato il Vangelo, non è proprio questo che potrebbe provocare scandalo soprattutto nella gente semplice? E se da un lato è vero che il Signore non perdona la durezza di cuore, è altrettanto vero, dall’altro, che non risparmia mai chi si fa strumento di scandalo.
È l’evangelista Marco che ce lo ricorda riportando le durissime parole di Gesù: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9, 42-48).
Ma l’insegnamento di Gesù va oltre. Egli infatti continua: «Perché ciascuno sarà salato con il fuoco. Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9, 49-50).
Quindi se le prime parole di Gesù fanno salire, il povero reverendo in questione dal più profondo degli inferi, dove l’aveva scaraventato il buon Arbore, fin nel Purgatorio, in quanto ha avuto il coraggio di opporsi a che l’esponente radicale parlasse dal pulpito di un luogo consacrato a Dio, le seconde non gli permettono di assurgere alla definitiva gloria dei Cieli, perché non ha perseverato fin in fondo nel coraggio dando le reali ragioni del suo diniego.
Infatti se è vero che l’ultima revisione del rito delle esequie contiene un richiamo alla sobrietà nella celebrazione del rito, onde evitare le mostruose derive che si sono viste negli ultimi tempi, non credo che questo si sostanzi in definitiva nel vietare un breve ricordo da parte di parenti ed amici.
In realtà il sacerdote avrebbe dovuto dire chiaro e tondo che per la sua vita e le note posizioni palesemente in contrasto con l’insegnamento del Vangelo e quindi scandalose, all’On. Bonino non sarebbe mai e poi mai stato concesso di prendere la parola all’interno del tempio. Ci sarebbero state proteste e levate di scudi? Poco male, almeno il parroco si sarebbe risparmiato l’epiteto di bugiardo.
Nasce quasi il rimpianto del magnifico 1960! Anno in cui Mons. Enrico Nicodemo, Arcivescovo di Bari e Canosa, vietò al sindaco Giuseppe Papalia ed alla giunta social-comunista di prendere parte alla processione di San Nicola in ossequio alla disposizione del Santo Uffizio che aveva esteso, l’anno precedente, la scomunica anche ai socialisti. Altri tempi, certo. Tempi in cui la Chiesa non aveva paura di testimoniare il Vangelo e di prendere delle decisioni anche impopolari per difendere la fede ed indicare sempre al popolo di Dio la giusta strada verso la Verità. Perché, come ha ricordato il Santo Padre in una delle sue splendide encicliche, non può esistere l’amore senza la Verità ed anzi solo nella Verità può sussistere il vero Amore.
E allora mi auguro che possa risuonare nelle orecchie e nei cuori di chi ha il compito di guidare il gregge di Dio il richiamo a non aver paura. Non aver paura di negare l’Eucaristia a chi si sa essere pubblico ed ostinato peccatore, perché è proprio così che lo si aiuta, e gli si evita, per usare l’espressione di San Paolo, di mangiare e bere la propria condanna; non aver paura di apparire “separati” dal mondo invece di confondersi ed uniformarsi ad esso, perché solo così si tornerà a suscitare quell’attrattiva capace di far nascere la voglia di lasciarlo, il mondo, per abbracciare qualcosa di più grande; non aver paura di annunciare sempre la Verità, pur se comporta l’essere insultati, perseguitati e calunniati, perché, anche se non varrà una bella ed altisonante onorificenza civile, solo così si diventerà degni di ricevere la ricompensa nel Regno dei Cieli, l’unica che veramente conta.
In conclusione solo l’abbandono di quella falsa idea di misericordia che in realtà è perbenismo e politicamente corretto e il recupero dell’ontologica unità tra misericordia, giustizia e verità potrà far tornare i cristiani ad essere sale saporito della terra, ma soprattutto scamperà dall’udire nell’ultimo giorno le tremende parole che San Giovanni riferisce nell’Apocalisse: «ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,16).
Daniele Nigro è l'autore del libro "I diritti di Dio.La liturgia dopo il Vaticano II" (Edizioni Sugarco)