Recensione dell'Avv. M° Giannicola D'Amico
“Il concetto di ius liturgicum è tutto legato al fatto, ieri come oggi, che la Chiesa ha concepito la liturgia sempre come il suo culto pubblico ufficiale e pertanto lo ha regolato. Ma questo concetto al presente è oscurato perché si intende la liturgia come culto della comunità locale o di una Chiesa particolare. Smarrire la distinzione tra il diritto liturgico fondamentale, cioè di istituzione divina, consuetudine e diritto liturgico positivo può aver portato in passato agli eccessi del rubricismo e oggi significa lo squilibrio che porta all’inosservanza e agli abusi. Ciò non accadrebbe se si tenesse ferma la questione fondamentale costituita dalla natura del fatto liturgico – l’azione di Cristo unita al suo corpo che è la Chiesa – che implica la giuridicità”
In questo significativo passaggio possiamo condensare il motivo indagatore che ha spinto un giovane canonista, il barese Daniele Nigro, a collazionare un agile, quanto prezioso volumetto, venuto in luce nel 2012 per i tipi di Sugarco edizioni, “I diritti di Dio. La liturgia dopo il Vaticano II” (p. 135 - € 15,00), breve ma sapido excursus in tema di inosservanza del diritto liturgico, fra rubricismo d’un tempo e attuale, generalizzata trascuratezza degli uomini di Chiesa e dei cosiddetti operatori liturgici nei confronti dello jus divinum nell’epoca successiva al Concilio Ecumenico Vaticano II, ovvero gli ultimi cinquant’anni.
Problema sentito da tempo, ormai, se Civiltà Cattolica nel quarantennale della Sacrosanctum Concilium, stigmatizzando che la riforma conciliare fosse stata male implementata, sosteneva in un famoso editoriale del 20.12.2003, che si era passati “da una liturgia di ferro ad una liturgia di caucciù”.
Nella odierna ricorrenza giubilare del Concilio, infatti, il tema è quanto mai attuale ed altamente sensibile, soprattutto dopo i magistrali contributi di Joseph Ratzinger prima, quale studioso attento e custode dell’ortodossia per lunghi decenni, dal privilegiato osservatorio della Congregazione per la Dottrina della Fede, e di Benedetto XVI dopo, quale pontefice, egli stesso esempio altissimo di liturgo, nonché legislatore accorto, soprattutto con il Motu Proprio Summorum Pontificum e l’Esortazione Ap. Sacramentum Caritatis.
Il tema è parimenti da sviscerare ed esaminare alla luce delle antiche e mai sorpassate dottrine come in ragione delle nuove acquisizioni di studio, soprattutto nelle sue implicazioni fra diritto e teologia che da sempre hanno regolamentato la materia liturgica.
Proprio negli ultimi decenni tali implicazioni – osserva l’Autore - sembrano pretermesse e tenute a debita distanza proprio da chi si occupa di questi aspetti del culto, quasi si trattasse di una spiacevole eredità da liquidare, quando invece ci si gioverebbe dal rivalutare proprio un rapporto ontologico la cui solidità e vigore contribuisce a chiarificare e a sostentare il culto pubblico della Chiesa.
Aperto da una pregevole prefazione del card. Raymond L. Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, canonista ed esperto di fama mondiale circa queste problematiche, il testo, in sei capitoli, parte da un conciso riassunto dei prodromi che, fra il Concilio tridentino e il Vaticano II, hanno segnato la storia della liturgia romana, per esaminare la natura del nuovo diritto liturgico promanante dalla Cost. Sacrosanctum Concilium, e poi addentrarsi nelle circostanze inerenti l’odierno status quaestionis che ha generato abusi e “deformazioni al limite del sopportabile”, per suggerire infine alcune soluzioni, anche rubricali e normative, che traggono gli auspici dalla ricca bibliografia posta a base dello studio: da Gamber a Mosebach, da Ratzinger a Del Pozzo, da Gherardini a McManus, senza tralasciare ovviamente il Magistero della Chiesa in materia (prima, durante e dopo il Vaticano II).
Chiarificando con nettezza che da una certa epoca in avanti si è pensato ad una liturgia come sede elettiva di una creatività la quale ha portato a malintesi anche gravi circa la stessa natura del culto, male interpretando, con sperimentalismi a volte incongrui ed incauti, i concetti di “adattamento” e “inculturazione” presenti nella normativa del Concilio Vaticano II (la “liturgia di caucciù” delineata dai gesuiti di Civiltà Cattolica), l’Autore dice con chiarezza che la riforma conciliare in campo liturgico è rimasta sostanzialmente inattuata.
Essa attende di essere adempiuta secondo le esigenze del diritto divino, ovvero secondo la corretta preminenza dei diritti spettanti al Signore, cioè “il diritto di Dio a ricevere il culto dell’uomo nel modo che Egli comanda”, non certo a discapito dei diritti spettanti ai fedeli, poiché la santificazione del popolo viene da Dio stesso, ma nell’armonizzazione dell’ordine naturale delle cose.
Il libro, oltre ad essere un importante contributo scientifico per chi si occupa ex professo di liturgia, è un monito, garbato ma fermo, affinché ci si adoperi tutti, laici e consacrati, perché, recuperata la bellezza “normativa” del Culto, se ne ripristini la verità e la santità - troppo spesso ottenebrate dal signoraggio sui riti da parte dei vari ministri, immemori del loro ruolo di semplici “servitori” - a tutto vantaggio della sua universalità, ovvero della sua cattolicità.
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