domenica 17 novembre 2013

Sic nos Tu visita, sicut Te colimus

di Daniele Premoli


In questi ultimi tempi è tornato di particolare attualità il tema della Riforma della Chiesa: le strutture della Chiesa andrebbero riviste, così come la sua disciplina e, secondo alcuni, persino la dottrina. E così un po’ tutti, dal panettiere al teologo di spicco, ipotizzano quella che dovrebbe essere la nuova forma della Chiesa. C’è però un “grande dimenticato” in tutti questi discorsi, probabilmente anche giusti e importanti: il Signore Gesù.

L’agile volumetto di S.E. mons. Athanasius Schneider, vescovo del Kazakhstan, “Corpus Christi. La Santa Comunione e il rinnovamento della Chiesa”, recentemente pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, si pone l’obiettivo di rimettere al centro dell’attenzione Gesù Cristo, «il più povero e il più indifeso nella Chiesa», specialmente nel momento della Santa Comunione.

Mons. Schneider inizia la sua riflessione narrando la straordinaria storia di Peter Schmidtlein (1967-1973), bambino di origine tedesca, deportato con la sua famiglia nel Kazakhstan. Colpito da un tumore al cervello, Peter ricevette il permesso di comunicarsi all’età di quattro anni, colpendo sacerdoti e vescovi per la sua consapevolezza di questo grande Sacramento. Si tratta di una storia realmente commovente (che muove), particolarmente per la devozione e il rispetto con il quale un bambino di quattro anni tratta e si lascia trasformare da quella piccola Ostia, che evidentemente è incommensurabilmente più di un semplice pezzo di pane.

Segue un capitolo sulla Santa Messa dove, sempre accompagnato dall’esempio dei santi, il lettore viene aiutato a riflettere sulla grandezza della Messa. Essa infatti, come afferma il beato card. Newman, «non è semplicemente una formula di parole, è una grande azione, la più grande azione che ci possa essere sulla terra. È l’evocazione dell’Eterno. Egli si rende presente sull’altare in carne e sangue, davanti al quale gli angeli si prostrano e i demoni tremano». Il centro della Messa è dunque Cristo stesso, presente nel Pane e nel Vino consacrati.

Tuttavia, ai nostri giorni, l’Eucaristia viene trattata con un «sorprendente minimalismo nei gesti d’adorazione e riverenza». Chi scrive ha assistito personalmente al Pontificale in occasione della festa del Santo Patrono di una grande Diocesi, dove al momento della comunione due diaconi, senza nemmeno accorgersene, hanno fatto cadere un’Ostia. Qualcuno potrebbe obiettare che – fortunatamente – questo accade poco spesso. Me lo auguro e potrei anche convenire. Rimane comunque vero che, nella maggioranza delle Chiese, Nostro Signore viene trattato come un oggetto qualunque, e la distribuzione della S. Comunione appare più che altro come la distribuzione del cibo comune: fatta frettolosamente, quasi che il problema principale sia di non allungare troppo la celebrazione. Appare dunque verosimile il dialogo, immaginato da mons. Schneider a p. 44, tra un musulmano e un cattolico. Afferma l’ipotetico interlocutore: «Se voi trattate il vostro Dio e il vostro Santissimo in maniera tanto banale, non ci credete veramente [alla Presenza Reale, NdR]. Non riesco a convenire con lei sul fatto che veramente ci crediate».

«Grandi santi riformatori e veri evangelizzatori nella storia della Chiesa hanno detto: il progresso spirituale di un’epoca della Chiesa si misura al modo di riverenza e devozione verso il Sacramento dell’Altare. San Tommaso d’Aquino lo ha espresso in modo più conciso: “Sic nos Tu visita, sicut Te colimus”. E questo vale anche per il nostro tempo: il Signore visiterà la Chiesa di oggi con le speciali grazie del vero rinnovamento auspicato dal beato Giovanni XXIII e dai Padri del grande Concilio Vaticano II nella misura in cui Egli sarà venerato e amato in modo visibile».

Si potrebbe dissentire sulle implicazioni pratiche proposte da mons. Schneider; tuttavia la sua diagnosi è sostanzialmente corretta. Un ottimo libro per riflettere su come ci rapportiamo con l’Eucaristia e aumentare la nostra fede.

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