Mito e
realtà delle seconde nozze tra gli ortodossi
È opinione diffusa che le Chiese orientali ammettano
un nuovo matrimonio dopo il divorzio e diano la comunione ai risposati. Ma non
è così, spiega Nicola Bux. Solo il primo matrimonio è celebrato come un vero
sacramento
di Sandro Magister
ROMA, 30 maggio 2014 – Sull’aereo di ritorno dalla Terra Santa, a papa
Francesco è stato chiesto se “la Chiesa cattolica potrà imparare qualcosa dalle
Chiese ortodosse” riguardo ai preti sposati e all’accettazione delle seconde
nozze per i divorziati.
Sull’uno e sull’altro di questi punti il papa ha risposto in modo elusivo.
Tutti però ricordano che cosa disse a proposito delle seconde nozze in una
precedente intervista in aereo, nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro:
“Una parentesi: gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la
chiamano, e danno una seconda possibilità [di matrimonio], lo permettono. Credo
che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice
della pastorale matrimoniale”.
A questa prassi delle Chiese d’oriente ha fatto riferimento anche il
cardinale Walter Kasper nella sua relazione introduttiva al concistoro dello
scorso febbraio, nella quale focalizzò la discussione in vista del sinodo sulla
famiglia sulla questione della comunione ai divorziati risposati.
L’idea corrente è che nelle Chiese ortodosse si celebrino sacramentalmente
le seconde e anche le terze nozze e si dia la comunione ai divorziati
risposati.
Quando in realtà le cose non stanno affatto così. Tra la celebrazione delle
prime e delle seconde nozze l’ortodossia ha sempre posto una differenza non
solo cerimoniale ma di sostanza, come ben mostra l’intonazione fortemente
penitenziale delle preghiere per le seconde nozze.
Basti vedere, in proposito, la ricognizione storica che Basilio Petrà – sacerdote
cattolico di rito latino, ma di origine greca e studioso della materia,
professore al Pontificio Istituto Orientale – ha pubblicato due mesi fa:
Quella che segue è una
chiarificazione di ciò che sono in realtà le seconde nozze nella teologia e
nella prassi delle Chiese ortodosse.
L’autore, Nicola Bux, esperto di liturgia e docente alla facoltà teologica
di Bari, è consultore delle congregazioni per la dottrina della fede e per le
cause dei santi e ha preso parte al sinodo del 2005 sull’eucaristia, del quale
riferisce qui un interessante episodio.
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CHIESA ORTODOSSA E SECONDE NOZZE
di Nicola Bux
Recentemente, il cardinale Walter Kasper
si è riferito alla prassi ortodossa delle seconde nozze per sostenere che anche
i cattolici che fossero divorziati e risposati dovrebbero essere ammessi alla
comunione.
Forse, però, non ha badato al fatto che
gli ortodossi non fanno la comunione nel rito delle seconde nozze, in quanto
nel rito bizantino del matrimonio non è prevista la comunione, ma solo lo
scambio della coppa comune di vino, che non è quello consacrato.
Inoltre, tra i cattolici si suol dire che
gli ortodossi permettono le seconde nozze, quindi tollerano il divorzio dal
primo coniuge.
In verità non è proprio così, perché non
si tratta dell’istituzione giuridica moderna. La Chiesa ortodossa è disposta a
tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia stato
sciolto da essa, non dallo Stato, in base al potere dato da Gesù alla Chiesa di
“sciogliere e legare”, e concedendo una seconda opportunità in alcuni casi
particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato, ma per estensione
anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia divenuto una finzione).
È prevista, per quanto scoraggiata, anche la possibilità di un terzo
matrimonio. Inoltre, la possibilità di accedere alle seconde nozze, nei casi di
scioglimento del matrimonio, viene concessa solo al coniuge innocente.
Le seconde e terze nozze, a differenza del
primo matrimonio, sono celebrate tra gli ortodossi con un rito speciale,
definito “di tipo penitenziale”. Poiché nel rito delle seconde nozze mancava in
antico il momento dell’incoronazione degli sposi – che la teologia ortodossa
ritiene il momento essenziale del matrimonio – le seconde nozze non sono un
vero sacramento, ma, per usare la terminologia latina, un “sacramentale”, che
consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente
accettata dalla comunità ecclesiale. Il rito delle seconde nozze si applica
anche nel caso di sposi rimasti vedovi.
La non sacramentalità delle seconde nozze
trova conferma nella scomparsa della comunione eucaristica dai riti
matrimoniali bizantini, sostituita dalla coppa intesa come simbolo della vita
comune. Ciò appare come un tentativo di “desacramentalizzare” il matrimonio,
forse per l’imbarazzo crescente che le seconde e terze nozze inducevano, a
motivo della deroga al principio dell’indissolubilità del vincolo, che è
direttamente proporzionale al sacramento dell’unità: l’eucaristia.
A tal proposito, il teologo ortodosso
Alexander Schmemann ha scritto che proprio la coppa, elevata a simbolo della
vita comune, “mostra la desacramentalizzazione del matrimonio ridotto ad una
felicità naturale. In passato, questa era raggiunta con la comunione, la
condivisione dell’eucaristia, sigillo ultimo del compimento del matrimonio in
Cristo. Cristo deve essere la vera essenza della vita insieme”. Come rimarrebbe
in piedi questa “essenza”?
Dunque, si tratta di un “qui pro quo”
imputabile in ambito cattolico alla scarsa o nulla considerazione per la
dottrina, per cui si è affermata l’opinione, meglio l’eresia, che la messa
senza la comunione non sia valida. Tutta la preoccupazione della comunione per
i divorziati risposati, che poco ha a che fare con la visione e la prassi
orientale, è una conseguenza di ciò.
Una decina d’anni fa, collaborando alla
preparazione del sinodo sull’eucaristia, a cui partecipai poi come esperto nel
2005, tale “opinione” fu avanzata dal cardinale Cláudio Hummes, membro del
consiglio della segreteria del sinodo. Invitato dal cardinale Jan Peter
Schotte, allora segretario generale, dovetti ricordare a Hummes che i
catecumeni e i penitenti – tra i quali c’erano i dìgami –, nei diversi gradi
penitenziali, partecipavano alla celebrazione della messa o a parti di essa,
senza accostarsi alla comunione.
L’erronea “opinione” è oggi diffusa tra
chierici e fedeli, per cui, come osservò Joseph Ratzinger: “Si deve nuovamente
prendere molto più chiara coscienza del fatto che la celebrazione eucaristica
non è priva di valore per chi non si comunica. [...] Siccome l’eucaristia non è
un convito rituale, ma la preghiera comunitaria della Chiesa, in cui il Signore
prega con noi e a noi si partecipa, essa rimane preziosa e grande, un vero
dono, anche se non possiamo comunicarci. Se riacquistassimo una conoscenza
migliore di questo fatto e rivedessimo così l’eucaristia stessa in modo più
corretto,vari problemi pastorali, come per esempio quello della posizione dei
divorziati risposati, perderebbero automaticamente molto del loro peso
opprimente.”
Quanto descritto è un effetto della divaricazione
ed anche dell’opposizione tra dogma e liturgia. L’apostolo Paolo ha chiesto l’auto-esame
di coloro che intendono comunicarsi, onde non mangiare e bere la propria
condanna (1 Corinti 11, 29). Ciò significa: “Chi vuole il cristianesimo
soltanto come lieto annuncio, in cui non deve esserci la minaccia del giudizio,
lo falsifica”.
Ci si chiede come si sia giunti a questo
punto. Da diversi autori, nella seconda metà del secolo scorso, si è sostenuta
la teoria – ricorda Ratzinger – che “fa derivare l’eucaristia più o meno
esclusivamente dai pasti che Gesù consumava con i peccatori. […] Ma da ciò
segue poi un’idea dell’eucaristia che non ha nulla in comune con la
consuetudine della Chiesa primitiva”. Sebbene Paolo protegga con l’anatema la
comunione dall’abuso (1 Corinti 16, 22), la teoria suddetta propone “come
essenza dell’eucaristia che essa venga offerta a tutti senza alcuna distinzione
e condizione preliminare, […] anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti”.
No, scrive ancora Ratzinger: sin dalle
origini l’eucaristia non è stata compresa come un pasto con i peccatori, ma con
i riconciliati: “Esistevano anche per l’eucaristia fin dall’inizio condizioni
di accesso ben definite [...] e in questo modo ha costruito la Chiesa”.
L’eucaristia, pertanto, resta “il
banchetto dei riconciliati”, cosa che viene ricordata dalla liturgia bizantina,
al momento della comunione, con l’invito “Sancta sanctis”, le cose sante ai
santi.
Ma nonostante ciò la teoria dell’invalidità
della messa senza la comunione continua ad influenzare la liturgia odierna.
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Questo testo di Nicola Bux è tratto dalla
postfazione che egli ha scritto per l’ultima opera di Antonio Livi, teologo e
filosofo della Pontificia Università Lateranense, di prossima uscita, dedicata
agli scritti e discorsi del cardinale Giuseppe Siri (1906-1989):
ROMA, 30 maggio 2014 – Sull’aereo di ritorno dalla Terra Santa, a papa Francesco è stato chiesto se “la Chiesa cattolica potrà imparare qualcosa dalle Chiese ortodosse” riguardo ai preti sposati e all’accettazione delle seconde nozze per i divorziati.
Quella che segue è una chiarificazione di ciò che sono in realtà le seconde nozze nella teologia e nella prassi delle Chiese ortodosse.
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