Fragmenta
sunt Sacramenta!
di Vito Abbruzzi
Quale Padre o Auctor probatus ha mai detto: “Fragmenta non sunt Sacramenta”?
È una domanda che, francamente, mi pongo da tantissimi anni, da quando,
cioè, ero studente di Teologia, e alla quale non ho mai trovato risposta; ma
che ho sempre sentito ripetere da chi avalla – a spada tratta – la comunione
sulla mano e giustifica la noncuranza per la dispersione dei frammenti eucaristici.
Che si tratti dell’Aquinate, a cui l’infelice frase si vuole attribuire, lo
escludo categoricamente, visto che nelle strofe XIX e XX del Lauda Sion, la sequenza della messa del Corpus Domini composta dal Dottore
Angelico nel 1264, è detto testualmente:
Fracto demum Sacraménto,
ne vacílles, sed memento,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.
Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.
Alla lettera: “Spezzato finalmente il Sacramento, non tentennare, ma
ricorda che tanto c’è sotto un frammento quanto si nasconde nell’intero.
Nessuna scissura si fa della sostanza; si fa rottura solo del segno: per cui né
lo stato né la dimensione del Segnato è sminuita”.
È così, perbacco! La stessa scienza lo dimostra! Basti pensare agli studi –
ormai noti a tutti, persino ai bambini – condotti sulla celiachia: patologia
diffusa più di quanto si pensi. È sufficiente venire a contatto anche con una
sola particella infinitesimale (microscopica) di sostanza contenente glutine –
e il pane eucaristico, normalmente
confezionato, contiene glutine – che il danno è fatto, scatenando nel celiaco
quel processo autoimmunitario che lo porta a stare male.
E, allora, onde evitare che tutto questo accada, persino quel sacerdote che
non dà affatto importanza alla dispersione dei frammenti eucaristici, credendo
ostinatamente che “fragmenta non sunt Sacramenta”, diventa – guarda caso –
scrupolosissimo a non contaminare, col
solo contatto delle dita, l’ostia del celiaco, dopo aver manipolato le altre ostie; celiaco che può, a giusta
ragione, autocomunicarsi, prendendo la sua
ostia custodita nella propria teca
posata sull’altare accanto alle oblate.
Se imparassimo dall’esperienza
quotidiana più che dalle teorie astratte,
astruse e fuorvianti, saremmo meno faciloni e distratti, prendendo sul
serio quanto il Codice di Diritto
Canonico autorevolmente insegna e raccomanda:
“Augustissimo Sacramento è la santissima Eucaristia,
nella quale lo stesso Cristo Signore è presente, viene offerto ed è assunto, e
mediante la quale continuamente vive e cresce la Chiesa […], è significata e prodotta l'unità del popolo di Dio e
si compie l'edificazione del Corpo di Cristo” (can. 897).
“I fedeli abbiano in sommo onore (maximo in honore) la santissima
Eucaristia, partecipando attivamente nella celebrazione dell’augustissimo
Sacrificio, ricevendo con frequenza e massima devozione questo sacramento e
venerandolo con somma adorazione; i pastori d'anime che illustrano la dottrina
di questo sacramento, istruiscano diligentemente i fedeli circa questo obbligo”
(can. 898).
Il primo canone ricorda che siamo “corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1Cor 12,27), di cui nessuno – proprio
nessuno, anche il più piccolo ed insignificante – può andare perduto (cfr. Mt 18,14; Gv 6,39); significato,
appunto, dalla santissima Eucaristia, i cui frammenti, compresi quelli
invisibili, non devono andare assolutamente dispersi (cfr. Gv 6,12).
Il secondo canone sembra evocare la celebre sentenza di Giovenale,
assunta a motto da varie agenzie educative: “Maxima debetur puero reverentia” (Satire, XIV, 47). Se è vero – come è vero – che al fanciullo si deve il
massimo rispetto, quanto più questo massimo rispetto si deve alla santissima
Eucaristia, da venerarsi con “somma
adorazione”! E questo a partire dai sacri ministri, che devono diligentemente
evitare di commettere e far commettere i tanto deprecati abusi liturgici – e la
dispersione dei frammenti eucaristici, seppure non intenzionale, è un abuso
liturgico, stigmatizzato dalla pietà eucaristica come oltraggio, sacrilegio,
indifferenza – che inevitabilmente “contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo
mirabile Sacramento” (Redemptionis
Sacramentum, n. 6); tanto mirabile da essere appellato “augustissimo
Sacramento”, “augustissimo Sacrificio”!
La diligenza richiesta ai pastori d’anime nell’insegnare ai fedeli ad
avere in massimo onore la santissima Eucaristia, non può non produrre il
rispetto nei loro confronti, da parte di Dio e da parte degli uomini, come
insegna la Scrittura :
“Chi custodisce santamente le cose sante sarà santificato e chi si è
istruito in esse vi troverà una difesa” (Sap 6,10).
Mentre a chi questa diligenza manca è riservata l’ignominia: “Vìolano la mia
legge, profanano le cose sante.
Non fanno distinzione fra il sacro e il profano, non insegnano a distinguere
fra puro e impuro, […] e io sono disonorato in mezzo a loro” (Ez 22,26).
Ci serva di monito
la lezione di Gesù: “Non date le cose
sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non
le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi” (Mt 7,6).
Poi non lamentiamoci
se la gente ci crede sempre meno e l’indifferenza religiosa aumenta sempre più.
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