sabato 28 giugno 2014

I giovani e la tradizione

Taluno, per giustificare la ragione per la quale il fenomeno tradizionale - se vogliamo denominarlo così - sia prevalentemente giovane e non già - come ci si sarebbe aspettati secondo un ormai desueto cliché - di pochi ed antiquati nostalgici, attribuisce quest'accresciuto interesse a semplice "moda", che spera sia passeggera.
L'analisi è alquanto superficiale e, certamente, banalissima. Andando a fondo, e conoscendo più approfonditamente la fenomenologia, ci si potrà rendere conto che ciò che muove l'interesse delle nuove generazioni verso la liturgia tradizionale e verso ciò che essa rappresenta, in realtà, non è nient'altro che una sete insaziabile del Bello e dell'Assoluto. Per troppo tempo, la Chiesa cattolica odierna si è staccata da questi valori e dallo splendore, un tempo suo vanto ed onore, soffrendo di quella desacralizzazione del sacro, che ha prodotto un diffuso senso di vuoto e di bruttezza tanto nella liturgia quanto, in generale, nell'arte sacra e nella stessa architettura. I pastori della Chiesa, paradossalmente, pur lodando la maestosità delle liturgie e l'arte sacra della Chiesa d'Oriente, non apprezzano il tesoro che hanno abbandonato e che, giustamente, papa Benedetto XVI ha cercato, durante il suo pontificato, con lungimiranza profetica, di recuperare anche con l'esempio personale.
Sembra, anzi, quasi di assistere ad una sorta di gara tra sacerdoti o vescovi à la page nei tentativi di demolizione di quello che ancora rimane dei passati trionfi e splendori liturgici ed artistici, facendo del Cristianesimo, e del Cattolicesimo in particolare, una sorta di "religione dal cielo vuoto", secondo una nota, quanto spiazzante definizione del laico Umberto Galimberti, essendosi ridotta la Chiesa, in prevalenza, a mera agenzia etico-sociale. Sembra quasi che la "parte migliore" offerta al Signore sia quasi considerata un delitto; si preferisce offrire quella alle periferie esistenziali umane, sacrificando a Dio "ciò che avanza", dimentichi, al contrario, che, nel corso dei secoli, proprio l'offerta al Divino della "parte migliore" ha alimentato una seria attenzione, a misura autenticamente umana, dei poveri e dei sofferenti.  
Dinanzi al "cielo vuoto" di oggigiorno, dunque, le giovani generazioni, che più di altri sono portate quasi naturalmente - oserei dire - ad alzare lo sguardo verso il Cielo, anche a costo di passare per "antiquati", essere additati tra i loro coetanei come "strani", sovente persino essere oggetto di un sarcastico biasimo, trovano giusto nell'antico tesoro liturgico della Chiesa, così come nella riscoperta dell'arte sacra "tradizionale", quel Dio che molti, in nome di una fraintesa "povertà" ed "essenzialità", avevano, di fatto, marginalizzato o, per lo meno, "democratizzato".
Non è una moda, in conclusione, ciò che muove questi giovani, ma l'antica ricerca dell'Assoluto, a cui naturalmente il cuore dell'uomo aspira, sino a che non riposa in Lui. Con tutti i rischi che ciò comporta per un giovane una tale opzione, anche per le incomprensioni di molti Pastori, che, non sapendo leggere i segni del nostro tempo, cedono ad un ridicolo, quanto infantile e fuori moda, giovanilismo.


Di recente abbiamo ricordato le parole di mons. Graubner, sui giovani e la tradizione, ricolti a Papa Francesco (il 14 febbraio 2014, durante la visita ad limina, dei Vescovi Cechi) che suscitarono la risposta del Papa riguardo alla "moda" di seguire la liturgia antica. 
Proponiamo una riflessione del Prof. Enzo Fagiolo, scritta per MiL, proprio sul tema:

I giovani e la tradizione cattolica

di Enzo Fagiolo

Il papa, dichiarò mons. Graubner alla Radio Vaticana, come un recente articolo su ‘La Stampa’ ha ricordato, informato dai vescovi della repubblica ceska della crescente attenzione dei giovani per la liturgia tradizionale, ritiene sia comprensibile solo se prestata da parte delle vecchie generazioni per natura passatiste, altrimenti, una ‘moda’ transeunte. Giudizio identico a quello di tanta  gerarchia che vuole ignorare quella riflessione critica, che le nuove generazioni, in tutti i campi, come sa chi è con loro tanti anni, hanno avviato sul fenomeno ‘sessantotto’ che ha strumentalizzato le giuste aspirazioni dei giovani tentando di annullare quel patrimonio di valori, anche religiosi, su cui si fondava la loro vera libertà.


La pedagogia di molti sacerdoti, catechisti e ‘movimenti’, dal Concilio in poi, è stata  fondata sulla critica astiosa alla tradizione della Chiesa che ha fatto propria, anticipandone l’applicazione, l’ideologia della ‘rivoluzione culturale’ marcusiana e maoista, sfociata nel ‘regime assembleare’, applicato anche alla riforma liturgica, i cui inventori hanno imposto anche le ‘mode’, a cominciare da Bugnini che organizzava nelle chiese di Roma le Messe rock, a manomettere presbiteri, a sostituire il  vero canto che proclama il testo sacro con il ‘chitarrista liturgico’ e a volere i luoghi di culto come autorimesse e supermercati, definiti dal card. Ravasi “capolavori di orrore”, i quali danno ai quartieri delle periferie un angosciante aspetto di scristianizzazione. I  giovani  sono stati formati per essere strumenti di quella ideologia, la quale incentiva i loro comportamenti ludici imposti dal consumismo, rinunciando ad una educazione religiosa fondata sul vero e sul buono. Ricordo un parroco marista (?!) romano, il quale alla domanda di alcuni ragazzi della prima comunione  su come utilizzare un rosario che era stato loro regalato per l’occasione, rispose: “ datelo alla vostra nonna, quando non ha niente da fare se vuole lo userà “.
Papa Benedetto XVI, vero maestro di giovani perché con essi ha vissuto in comunione spirituale nello studio, ha notato il loro interesse per la liturgia tradizionale facendone un motivo importante del suo Motu proprio. P. Nuara ha intitolato il suo movimento ‘Giovani e tradizione’. E sono soprattutto i giovani che contestano  una riforma  liturgica, fonte di deviazioni dottrinali, di cosiddetti abusi etc, la quale doveva essere“ rapida e radicale” (chiaro?), come un certo p. Falsini, della commissione postconciliare, affermò in un’intervista, pubblicata su ‘ Toscana oggi’ del 2007,  condita di insulti a papa Benedetto per un Motu proprio “incomprensibile”. Le critiche dei cardinali Ratzinger, Biffi, Arinze,  Antonelli e Stickller e tanti altri esimi studiosi laici, paradossalmente anche  indifferenti alla fede, verso una liturgia  creativa e arbitraria, furono e sono ignorate dalla maggior parte della gerarchia faziosa e/o adeguata. Il card. Burke ha scritto: “Il senso euforico postconciliare di costruire una Chiesa nuova …favoriva un atteggiamento perfino di ostilità verso la disciplina perenne della  Chiesa…negligenze ed abusi nella celebrazione della divina liturgia, nella formazione dei sacerdoti e consacrati, nell’organizzazione della catechesi e scuole cattoliche”, e l’insigne gregorianista benedettino p. Baroffio: “E’ stato un vero colpo di mano di chi ha finito per essere il più forte, abbagliato dal populismo e da uno scarso senso pastorale”.
I novatori, ‘ispirati’: “come se il divino Paraclito fosse a loro disposizione”,  come lamentò perfino Paolo VI, riconoscibili dai loro frutti, si sottraggono ad una valutazione critica di quanto è avvenuto nella Chiesa nell’ultimo mezzo secolo e tentano di giustificare il proprio operato, anche con rozze punizioni a seminaristi e giovani sacerdoti (vedi la triste vicenda dei Francescani dell’Immacolata), che si avvicinano alla liturgia tradizionale per apprenderla almeno in proprio. Una minoranza di preti fanatici allevati nel post-Concilio, divenuti ‘qualcuno’, prima ha insultato i confratelli più anziani perché legati alla tradizione, obbligandoli alle novità e, poi, iniziato a perseguitare quelli più giovani che la vogliono conoscerla. Vi sono dei sacerdoti restii alle richieste di seminaristi e neo sacerdoti  di servire la Messa tradizionale, per non creare loro dei problemi con i superiori.    
Molti giovani,  aspiranti o meno al sacerdozio,  provengono da studi universitari e avendo maturato un’autonomia di giudizio, non possono non criticare l’impoverimento e la  dottrina superficiale ed equivoca che si propina loro e il disprezzo di quei mezzi di evangelizzazione che la Chiesa, con successo, ha utilizzato per millenni e che esaltano, secondo una  antropologia fondata sulla fede, i doni che il Creatore ha dato all’uomo e che solo a Sua gloria devono tornare. Essi, non accettano più, anche sulla guida di testimonianze e di studi seri e documentati, il pretesto che il novus ordo missae sia stato  previsto dalla costituzione Sacrosantum concilium. La gerarchia, sempre più in difficoltà, cerchi di imparare da questi giovani che sono tra i migliori, come Tommaso, il quale, nel suo sermone  Puer Jesus, ha scritto: “nessuno può crescere così bene in sapienza come quando partecipa agli altri ciò che sa  ed, inoltre, da ragione su ciò che sa”. 

Il contributo può essere letto anche in Chiesa e Postconcilio, 28.6.2014





Nessun commento:

Posta un commento