Potere e Liturgia.
Argenti dell’età barocca in Terra di Bari
di Vito Abbruzzi
Il prossimo 30 giugno termina la mostra
allestita nella pinacoteca comunale di Conversano (BA) sugli argenti
provenienti dalle varie chiese della Terra di Bari. Si tratta di un evento
importante che merita di essere visto; anche perché la mostra non sarà
prorogata.
I pezzi esposti – in realtà non molti –
sono di rara bellezza e pregevolezza artistica, che incantano lo spettatore e
lo fanno essere orgoglioso di sentirsi pugliese.
I busti-reliquari sono sicuramente i più
ammirati, soprattutto quello di San Cataldo (proveniente da Corato), che
simboleggia tutta l’esposizione sugli argenti, in quanto raffigurato su tutti i
manifesti che pubblicizzano l’evento.
Ma anche i vasi e le suppellettili sacre
non sono da meno.
Belli i calici, tra cui spicca quello
della Cattedrale di Conversano, appartenuto al vescovo Francesco Carelli verso
la fine del XVIII secolo. È l’unico esemplare della collezione che non
appartiene alla finissima arte argentaria napoletana, bensì a quella austriaca.
E la cosa si nota non solo per le dimensioni del calice, decisamente più grandi
rispetto agli altri, ma anche per la fattura, davvero originale. Oltre ad
essere tempestato di tante piccole pietre preziose (ametiste, rubini, zaffiri
gialli e bianchi) allineate l’una all’altra, il calice di Mons. Carelli è, alla
base e intorno alla coppa, abbellito da sei piccoli medaglioni in porcellana,
raffiguranti scene bibliche inerenti il mistero eucaristico. I tre sulla base
rappresentano la passione di Cristo: l’offerta di Gesù al Padre nel Getsemani,
secondo la narrazione di Luca
22,41-43; la caduta lungo la
Via Dolorosa e la Crocifissione. A questi corrispondono
specularmente e tematicamente i tre medaglioni posti attorno alla coppa:
l’offerta del pane e del vino da parte di Melchisedek (cfr. Gen 14,18); la
raccolta da terra della Manna (cfr. Es 16,1-31), prefigurazione di Gesù, pane
vivo disceso dal cielo (cfr. Gv 6,48-51); il serpente di rame attorcigliato
intorno all’asta innalzato da Mosè nel deserto (cfr. Nm 21,8-9), prefigurazione
di Gesù esaltato sulla Croce (cfr. Gv. 3,14).
Quel che lascia a desiderare della
mostra sono le didascalie stampate sui pannelli affissi nelle varie sale:
viziate da pregiudizio ideologico verso quello
che viene ritenuto a torto il trionfalismo
controriformistico della Chiesa cattolica. Quel che all’ideatore e curatore
della mostra sfugge è la gloria che a Dio si deve più che agli uomini; sebbene
questi, committenti importanti, si siano serviti della propria potenza e del
proprio prestigio. E ad essi, veri mecenati, va tutta nostra la riconoscenza! Questo
in ossequio a quanto lo stesso Codex
Iuris Canonici al canone 898 prescrive: “Christifideles maximo in honore
sanctissimam Eucharistiam habeant, […] atque summa cum adoratione idem colentes”.
E, in effetti, attraverso la preziosità di un vaso sacro o di una suppellettile
sacra i fedeli comprendono la preziosità inestimabile e incomparabile del
sangue di Cristo (cfr. 1Pt 1,18-19), e non solo.
Ma fatta eccezione di questo neo, frutto
di ignoranza e pregiudizio postmoderno, che
finisce per teorizzare il pauperismo nella Chiesa (si pensi agli
inguardabili odierni vasi sacri, prodotti con metalli ignobili, come il peltro, l’ottone, ecc.), la mostra merita di
essere visitata. Perciò, affrettatevi!