Douthat, columnist del Nyt, fa a pezzi la dottrina Kasper sul divorzio
Altro che proposte blande e
misericordia: “La posta teologica in palio”, contrasta con il “tradizionale
insegnamento”
di Redazione
“Per ragioni teologiche, sociologiche e semplicemente logiche,
ammettere i risposati alla comunione ha la potenzialità di trasformare non solo
l’insegnamento cattolico e la vita cattolica, ma il modo stesso in cui viene
percepita la chiesa. Questa è la vera posta in palio; questi sono i termini sui
quali è necessario dibattere”. A parlare non è un tradizionalista della
lefebvriana Econe, bensì è il columnist del liberal New York Times, il
cattolico Ross Douthat. Lascia da parte, Douthat, le dotte argomentazioni
storiche e teologiche – per questo, dice, basta e avanza quanto ha scritto “il
gruppo dei domenicani americani” sulla rivista Nova et Vetera (cfr. il Foglio
24/7), e si sofferma sulle frasi contenute nell’intervista concessa lo scorso
maggio dal cardinale Walter Kasper a Commonweal. In quella circostanza, il
porporato tedesco insisteva sulla necessità di trovare una via tra il
“rigorismo e il lassismo” che concedesse una seconda possibilità ai divorziati
risposati desiderosi di accedere all’eucaristia.
“Se un divorziato risposato è realmente dispiaciuto per il
fallimento del proprio matrimonio”, notava Kasper, “possiamo noi rifiutare il
sacramento della confessione e della comunione, dopo un periodo di penitenza?”.
Di mezzo ci sono i bambini, che non crescerebbero come buoni cristiani se non
vedessero i propri genitori andare a messa e comunicarsi come si dovrebbe.
Pazienza se Müller e altri eminentissimi teologi hanno ricordato che non sta
scritto da nessuna parte che ricevere la comunione è un obbligo. Se a ricevere
l’ostia non ci vanno mamma e papà, non ci andranno neppure i figli, è la tesi.
Per Douthat, si tratta di considerazioni dove “la posta teologica in palio e il
potenziale conflitto con il tradizionale insegnamento della chiesa sono
minimizzati e/o spazzati via”. Kasper parte dal presupposto che si sta parlando
di una eccezione che in alcun modo minaccerebbe la regola fondata sul Vangelo.
Andando a scavare dietro le frasi, però, il quadro che emerge è un altro: “Ciò
che Kasper propone differisce dallo scenario in cui un sacerdote, a titolo
personale, può decidere di propria iniziativa di dare la comunione a un
risposato. Questa possibilità esiste già”, dice Douthat, sottolineando che ben
altra cosa è ciò che raccomanda Kasper: non si tratta di concedere “un certo
grado di tolleranza per chi ha deviato dalla regola, bensì di dare il permesso
formale di abbandonare tale regola”. Il tutto garantito “da un organo ufficiale
della chiesa, con un imprimatur papale”, cui (tutti) i sacerdoti sarebbero
costretti ad adeguarsi.
Il teologo tedesco assicura che si tratterebbe d’un percorso
stretto, riservato a “piccoli settori di divorziati risposati interessati ai
sacramenti”. Non di certo alle “grandi masse”, né si potrebbe parlare di
una “soluzione generale”. E chi lo dice che sarà così?, si domanda Douthat;
quali strumenti ha, Kasper, per dire che il percorso sarà limitato, a numero
chiuso? Semmai, scrive il columnist del New York Times, è più logico aspettarsi
che la soluzione sia “estesa alle grandi masse in tempi abbastanza rapidi”, con
tutto quello che ne consegue.
Basti ricordare che la chiesa ha già una procedura che
regolamenta tali situazioni, il processo di nullità matrimoniale, “limitato
alle persone che hanno un forte interesse nel ricevere i sacramenti dopo aver
divorziato ed essersi risposati”. Si supponga – prosegue – che accanto a questa
procedura se ne istituisca un’altra, più rapida. Senza scartoffie e tribunali
di mezzo. La conseguenza, inevitabile, è che molti smetterebbero di seguire la
via canonica, preferendo la soluzione più facile: “Con la proposta di Kasper, è
vero che i secondi matrimoni non sarebbero benedetti dalla chiesa, ma ci
sarebbero molte persone che direbbero ‘bene, ora no, ma forse un giorno, chi lo
sa’. Io farei così”, ammette Douthat. E alla fine, la stragrande maggioranza
dei divorziati risposati interessati a ricevere i sacramenti, busserebbe alle porte
delle chiese per farsi dare la comunione. Certo, “i sacerdoti potrebbero
studiare attentamente ogni caso, potrebbero limitare il numero di persone da
ammettere a questo percorso”. Ma è più probabile, nota ancora nel suo blog sul
New York Times, che si assisterebbe a una “rapida normalizzazione del nuovo
approccio. Naturalmente non in ogni parrocchia o diocesi, ma in un numero
abbastanza rilevante da stabilire un nuovo modello, una norma diffusa e
generalmente accettata”. E il risultato sarebbe solo uno: “Quasi tutti i
divorziati risposati potrebbero ragionevolmente aspettarsi di avere la
possibilità di risposarsi e riaccostarsi all’eucaristia con la formale
benedizione della chiesa”. Questo rafforzerebbe, come dice Kasper,
l’attaccamento alla chiesa di molti cattolici. I bambini vedrebbero i loro
genitori confessarsi e comunicarsi. Ma – scrive Douthat – “penserebbero che la
loro chiesa, alla fine, non ritiene indissolubile il matrimonio, o che le
parole di Gesù sulla questione non sono vincolanti, come il cattolicesimo ha
fino a oggi creduto e insegnato”.
E poi, per quale motivo si pensa a regolare il secondo
matrimonio e non “i matrimoni poligami, dove i bambini sono ugualmente
coinvolti?”. Certo, prosegue il columnist, la poligamia non è tra le questioni
più impellenti nella Germania di Kasper. Ma lo è in Africa, il principale campo
d’azione missionaria della chiesa e dove la definizione stessa di matrimonio “è
violentemente contestata, non tra cristianesimo e liberalismo, ma tra
cristianesimo e islam”. C’è qualcosa, nella proposta di Kasper, “che
implicherebbe la necessità di una soluzione simile nelle unioni poligame? Se la
chiesa non chiede l’eroismo dei cattolici risposati nei paesi ricchi, come può
prendere una dura posizione contro la poligamia?”. Douthat non si fa illusioni,
sa “che nella visione di molti, la chiesa cattolica necessita disperatamente di
evolversi lungo la linea della modernità sessuale”. Una cosa, però, è
altrettanto certa: “La proposta-Kasper non è una piccola modifica alla disciplina
cattolica: è un cambiamento profondo, un’alterazione da cui deriverebbero
conseguenze ancora più vaste”.
Fonte: Il Foglio, 29.7.2014
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