Chi scrive, lo scorso 11 luglio, è stato a Norcia, presso la Comunità Benedettina di quella cittadina, che avevamo evocato alcuni giorni fa, dove ha assistito all'Ufficio divino delle Ore Terza e Sesta, nonché alla Santa Messa Conventuale, celebrate tutte secondo la forma straordinaria.
Siamo grati all'intera Comunità ed al Vicepriore del Monastero, il Rev.mo P. Benedetto Nivakoff, O.S.B., il quale, peraltro, ha onorato chi scrive ospitandolo a pranzo secondo le regole dell'accoglienza del Santo di Norcia (Reg. cap. LIII).
Lo stesso Vicepriore, che ha celebrato la Santa Messa alle ore 10,00 nella Basilica, nella ricorrenza della festa liturgica del Santo Padre Benedetto, ha voluto onorarci, infine, trasmettendoci, in segno di amicizia e considerazione, il testo della Sua Omelia dettato per l'occasione. Con sincera gratitudine ne pubblichiamo le parole onde far assaporare, nel rileggerle, pure a chi non era presente alla Celebrazione, l'aria ed i sentimenti da noi vissuti in quella circostanza.
Ricordiamo che, benché la festa onomastica del Santo di Norcia sia ricordata dalle famiglie benedettine il 21 marzo, giorno della sua nascita al Cielo (21 marzo 547), nondimeno l'11 luglio, sin dal VII-VIII sec., era commemorata la traslazione (di parte) delle reliquie del santo all'Abbazia francese di Fleury, a Saint-Benoît-sur-Loire (11 luglio 660). Di qui il significato, anche in ambito tradizionale, della celebrazione di questo giorno soprattutto per i benedettini.
Fabrizio Boschi, S. Benedetto in gloria con le SS. Scolastica e Francesca Romana genuflesse, Basilica di Santa Trinità, Cappella Strozzi, Firenze
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P. Benedetto
Nivakoff, O.S.B.
Omelia
In Festo Sancti P. Benedicti
ET UT MUSICA
IN CONVIVIO VINI
Norcia, 11
luglio 2014
La memoria
del santo come musica in un banchetto di vino.
Così dice il
libro della Sapienza nell’Epistola (Eccli. 49). Come musica, che
accompagna il vino, o anche la birra volendo, ma in ogni caso nel contesto di
una grande festa, dove si mangia bene e si beve bene, e oltre a ciò si ascolta
bella musica.
Specialmente
a noi, che viviamo qui a Norcia, questa descrizione poetica di un convivio
festivo, in cui si celebra un’occasione particolare, un giorno solenne o una
persona importante, risulta familiare.
Pensiamo ad
ogni 21 marzo, in cui festeggiamo il transito di San Benedetto, il suo
passaggio all’eternità. Ci sono processioni, costumi, pranzi, intervengono le
nostre autorità, ci sono i fuochi d’artificio e così via. Ma sebbene la grande
festa renda quella ricorrenza solenne e felice, essa comporta anche il rischio
di oscurare proprio la realtà che si celebra. Per questo motivo approfittiamo
dell’11 luglio per una festa più intima, noi monaci, con i cittadini che
venerano il Santo.
La lettura
del libro della Sapienza ci aiuta molto a comprendere la realtà di San
Benedetto.
Et ut musica
in convivio vini (Vulg. Eccli. 49, 2).
Possiamo
dire tante cose su San Benedetto, o meglio sono già state dette tante cose, e
spesso si ripetono anno dopo anno. Ma quando mai lo abbiamo sentito paragonato
alla musica di un banchetto di vini? La musica piace a tutti, che sia rock,
jazz, o canto gregoriano, e pochi non riescono ad apprezzarla almeno un poco.
Ma per avere una festa, è veramente necessaria la musica? Non si può mangiare
anche senza?
Persino del
vino, possiamo dire che sia indispensabile? Infine, abbiamo proprio bisogno di
una festa per ricordare una persona?
In realtà
l’idea di fare festa appartiene profondamente al cattolicesimo; significa
fermarsi dal ritmo quotidiano per celebrare, senza che ci sia necessità o
utilità. Ma è proprio il fatto che una festa non sia necessaria, indispensabile,
o utile da punto di vista produttivo, che le dà carattere di gioia e la rende
veramente una festa. La festa non è necessaria e neanche la musica ... e
neanche i monaci.
Sì, è questo
il punto importante da capire della vita monastica come la vuole San Benedetto,
è una vita del tutto inutile.
Al mondo piace sempre inquadrare le cose e così sono diventate famose massime
spesso ripetute come “Ora et labora” (cfr. Reg. cap. XLVIII), o “Nulla
anteporre all’amore di Cristo” (Reg. cap. IV, 21; cap. XLIII, 3),
come se San Benedetto avesse avuto in mente di lasciarci un libro di frasi
intelligenti ed accattivanti. No, San Benedetto riteneva la sua Regola un’umile guida destinata ai
principianti nella vita spirituale (cfr. Reg.
cap. LXXIII). Il suo scopo era di creare le condizioni per una vita in cui i
monaci non si dedicassero che ad una cosa sola: cercare Dio (cfr. Reg. cap. LVIII, 7).
E cercare
Dio, cari fratelli, non ha lo scopo dell’utilità per il mondo.
Che senso
ha? Che cosa produce? Che fine ha? Praticamente, si tratta di una vita di far festa e di giocare. Sì, dico far festa e giocare – non come pensa il mondo, ma come
pensa Dio. L’allora Cardinal Ratzinger descriveva anche la liturgia attraverso
la similitudine del gioco (J. Ratzinger, Introduzione
allo spirito della liturgia, ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 2001, pp. 9
s.).
Ci sono
centinaia di regole, ad esempio, su come mangiare (senza carne, Reg. cap. XXXIX, 11; al più un
bicchiere di vino, Reg.
XL, 3), su come vestirsi (coltello alla cintura) (cfr. Reg. cap. XXII, 5), perfino su
come pregare (ricordando che siamo alla presenza degli angeli, Reg. cap. XIX, 5-6) o su come
camminare (capo chino, Reg.
cap. VII, 63). Anche quanto alla disciplina della preghiera, il Santo prescrive
un rito che va decisamente oltre la necessità: non solo tutti i 150 salmi ogni
settimana (cfr. Reg. capp.
IX-XVIII), ma in più quaranta salmi di ripetizione (cfr. Reg. capp. IX, XII, XIII,
XVIII)! Nei giorni festivi, noi monaci non dormiamo per più tempo come molti
fanno, ma ci alziamo ancora prima, cioè alle 3:20 anziché alle 3:40 (Reg.
cap. XI, 1)! Parliamo di regole che per un mondo che cerca solo l’utilità non
potranno mai avere un senso. E queste regole, che a volte sembrano non solo al
mondo, ma anche ai monaci stessi, una grande assurdità, non hanno però
l’effetto di farci prigionieri del monastero, ma di liberarci dal mondo
ossessionato dalla ricerca dell’utile.
È per questo
motivo che la liturgia ha e deve avere il ruolo centrale nella vita del monaco;
e questo era uno dei motivi per cui la nostra comunità ha adottato anche la
forma più antica per il rito della Messa Conventuale, la cosiddetta forma
straordinaria, la cosiddetta forma straordinaria: è proprio nei suoi apparenti
arcaismi, in certi gesti che non sembrano avere utilità o senso (ad esempio
“nessuno” sente il canone detto sottovoce!) che troviamo pienamente lo spirito
di culto che un monaco deve avere.
Tutto orientato
verso Dio! La vita del monaco è come una vita di festa continua, perché
mentre cammina, mentre mangia, mentre dorme, mentre lavora nei campi, mentre
produce la birra, o fa qualsiasi altra cosa, egli agisce non per uno scopo
immediato ed evidente, ma per onorare ed adorare un Dio che sembra essere
sempre nascosto!
Il monaco di
Norcia resta quindi sempre un segno di contraddizione.
Tutti si
meravigliano della gioia dei monaci, del loro sorriso, del loro modo di vedere
le cose diversamente. Per quanto ciò sia vero, la causa sta in questo spirito
di gioco, per cui non si cerca l’utilità delle cose, ma la loro bellezza, come
nella musica. E quanti di noi hanno visto dei bambini giocare sanno che sono
tanto contenti perché nello stesso tempo non hanno niente da perdere e hanno
tutto da guadagnare.
Il monaco
non ha da perdere perché egli ha già perso, o meglio ha già rinunciato, come
dice il Vangelo, a madre, padre, fratelli, sorelle e campi, e anche ad una
moglie! Mirabile dictu per il mondo di oggi. Ma, ciò che
è più difficile di tutto, il monaco ha rinunciato, e continua a rinunciare ogni
giorno, a se stesso. Alzarsi presto risulta facile se paragonato con il
rialzarsi spiritualmente giorno dopo giorno, tra battaglie spirituali che non
hanno mai fine. E quello che contraddice di più un’ottica solamente umana, è
che il monaco vince di più quando perde di più. Dio vuole provare la nostra debolezza,
non la nostra forza. Come dice Bernanos, il monastero non è una casa di pace,
ma è una casa dove noi, attraverso la guerra della nostra preghiera, speriamo
di vincere la pace per darla al mondo, a voi. Non possiamo tenere chiuso in
clausura ciò di cui il mondo ha disperatamente bisogno.
La vita di
San Benedetto, che oggi in una atmosfera familiare celebriamo, ci offre grande
motivo di far festa, di far musica. Ma
la sfida del monaco è di ricordare sempre che la musica è la conseguenza e non
la causa della nostra ricerca per Dio. San Benedetto lo sapeva bene, e l’ha
condiviso con i suoi discepoli, i suoi monaci. Tocca a noi ricevere il suo insegnamento
in maniera sempre più autentica e coerente, e poi offrire al mondo lo stesso
messaggio; per questo il monaco centuplum
accipiet, et vitam aeternam possidebit … (Matth.
19, 29).
Foto della celebrazione a cura di Elisabetta Nardi (FB): Evangelium, Omelia, Communio
Foto della celebrazione a cura di Elisabetta Nardi (FB): Evangelium, Omelia, Communio
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