Dopo aver celebrato ieri la festa della dedicazione della
Basilica romana di Santa Maria Maggiore, oggi contempliamo il mistero svoltosi
sul Tabor: la Trasfigurazione del Signore.
Un riferimento speciale a questa grande teofania, che i Padri annoverano, a buon diritto, tra i più
grandi miracoli operati da Dio per dimostrare il carattere messianico e divino del
suo Cristo, lo si trova, nell’antica liturgia romana, nella solenne veglia del
sabato delle Quattro Tempora di Quaresima. In occasione di questa veglia
notturna, san Leone Magno tenne molte splendide omelie sul racconto evangelico
della Trasfigurazione; omelie che ricevevano un’efficacia speciale dalla sinassi
notturna celebrata sulla tomba stessa di san Pietro, uno dei tre testimoni privilegiati
del miracolo verificatosi sul Tabor.
Quando, però, l’incomprensione della liturgia, da
parte dei fedeli, portò a penetrare meno profondamente nel tesoro tradizionale
del Messale romano, si sentì il bisogno di colmare, per così dire, una lacuna,
istituendo una nuova festa in onore della Trasfigurazione, allo scopo di
divulgarne il mistero. Queste furono le ragioni pastorali che portarono all’istituzione
della festa.
D’altronde, da molti secoli gli Orientali celebravano
con una solennità tutta speciale Ἡ ἁγία Μεταμόρφοσις τοῦ Κυρίου il 6
agosto come una delle feste maggiori dell’anno. Essa qui risaliva sin dal V
sec. ed era nota sin da circa l’anno 500 d.C. dalla Chiesa nestoriana; dal VII
sec. dalla Chiesa siriaca d’Antiochia. È attestata inoltre a
Gerusalemme nel VII sec. dal Lezionario georgiano di Gerusalemme (così M. Tarchnischvili, Le grand Lectionnaire de l’Église de Jérusalem,
V-VIII siècle, Coll. Corpus scriptorum christianorum orientalium,
vol. 189, tomo 2, Louvain 1960, p. 25).
Alcuni
la mettono in relazione con la dedicazione delle basiliche del Tabor. Sembra
che la sua data fosse stata scelta in funzione dell’Esaltazione della Santa
Croce: il 6 agosto, infatti, precede di quaranta giorni il 14 settembre. Ora,
secondo gli apocrifi, la Trasfigurazione ebbe luogo 40 giorni prima della
Crocifissione (così ricorda J. Van
Goudoever, Fêtes et calendriers
bibliques, Coll. Théologie historique,
7, Paris 1967, p. 277).
Riguardo
al mistero della Trasfigurazione, per comprenderne la spiritualità nell’Oriente
cristiano, può essere utile ricordare che, in pieno XIV sec., a Costantinopoli
nacque un’accesa controversia tra il partito monastico – rappresentato da san
Gregorio Palamas – ed una certa sensibilità umanistica – rappresentata dal
monaco greco basiliano di Calabria Barlaam di Seminara. Oggetto del contendere
fu proprio la luce taborica. Per i monaci tale luce era un’esperienza di grazia
divina, essendo la manifestazione delle energie increate di Dio nell’uomo; essa
poteva essere vista e contemplata mediante la pratica dell’esicasmo. Per
Barlaam, non era altro che un fenomeno naturale o un’illusione diabolica, in
quanto gli occhi del corpo non possono contemplare l’Essenza divina. L’epilogo
di tale controversia, che conobbe diversi momenti, è risaputo: Barlaam fu
condannato da due concili ortodossi convocati dall’imperatore Andronico III nel
1341 ed accusato di una visione agnostica e neoplatonica. Sconfitto, uscì dalla
scena costantinopolitana rifugiandosi in Occidente dove fu elevato, l’anno
successivo, all’episcopato di Gerace dal papa di allora (Clemente VI). Per
breve tempo fu l’insegnante di greco del Petrarca e del Boccaccio. A
Costantinopoli, invece, dopo altre controversie, la sensibilità “palamita”, che
dava particolare risalto alla Trasfigurazione, si rafforzò e questo influenzò
notevolmente pure lo stile iconografico dell’ultimo periodo bizantino. Le icone
d’epoca paleologa sono caratterizzate da un’estrema raffinatezza
rappresentativa e da una luminosità ultramondana che brilla sul corpo dei santi
rappresentati, sugli oggetti e sul mondo naturale che li circonda (Cfr., per
approfondimenti, A. Fyrigos, Dalla controversia palamitica alla polemica
esicastica, Roma 2005, passim).
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Icona della Trasfigurazione, XII sec., Monastero di Santa Caterina, Sinai |
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Icona musiva della Trasfigurazione, XII sec. |
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Teofane il Greco, Trasfigurazione, XV sec., Galleria Tret'jakov, Государственная Третьяковская галерея, Mosca |
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Teofane di Creta, Trasfigurazione, 1535-46 |
Tornando
alla festa della Trasfigurazione, essa comparve in Occidente a metà del IX sec., diffusasi nei secoli
successivi, va ricordato che, all’inizio del XII sec., Pietro il
Venerabile, abate di Cluny, si fece propagatore fervente di questa festività. Non
contento dell’iscrizione nel calendario cluniacense nel 1132, egli compone un
Ufficio della Trasfigurazione (J. Leclercq,
Pierre le Vénérable, Paris 1946, pp.
382-390). La sua lettera ai monaci latini del Monte
Tabor ed il sermone che egli ha lasciato su questo mistero rivelano la
considerazione che il Cristo raggiante di gloria aveva nella sua contemplazione
(Epistola XLIV, Lettera ai monaci del Monte
Tabor, in PL 189, col. 266-268; Sermones, Sermo I, De
Transfiguratione Domini, ivi,
col. 953-972). Cluny dovette essere, durante tutto il XII
sec., un efficace propagatore della festa del 6 agosto. Se questa festa,
comunque, tocca poco i Paesi germanici (Fulda, Reichenau e San Gallo l’ignorano),
essa conobbe una solida radicazione in Italia fin dall’XI sec., da Bologna a
Monte Cassino.
In
questa data del 6 agosto 1456 l’armata cristiana riportò una celebre vittoria sui
Turchi. Come ci rammenta, in epoca più vicina a noi, il Venerabile Pio XII sin dall'esordio della sua Lettera Apostolica Dum maerenti animo del 29 giugno 1956, Papa Callisto III, nel 1457, istituì e fissò per questo stesso
giorno la festa della Trasfigurazione del Signore, come una solennità di
annuale azione di grazie al Signore per il beneficio ricevuto e per lo scampato pericolo. L’antica
solennità romana di san Sisto II e dei suoi sei eroici diaconi, i famosi Comites Xysti portant qui ex hoste tropæa, fu dunque quasi sepolta, essendo ridotta
al rango del semplice commemorazione.
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Carl Heinrich Bloch, Trasfigurazione, XIX sec. |
Significativamente
in questo giorno dell’anno 1221 avvenne il pio transito di san Domenico di
Guzman, la cui memoria è stata celebrata lo scorso 4 agosto. Il grande Santo
fondatore dell’Ordine dei Predicatori fu davvero un uomo trasfigurato
interamente dalla luce del Tabor. Infatti, l’iconografia lo rappresenterà con
una stella luminosa sulla fronte, ricordandosi la visione della madre o della
sua madrina al momento del battesimo di una stella sulla fronte del piccolo Domenico
a significare che sarebbe stato luce del mondo, come ci riferisce il Beato Giordano
di Sassonia nel Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum (n. 9).
Il Beato Umberto de Romans, quarto
successore di san Domenico, scriveva che “con la visione della stella si
annunciava che sarebbe venuto alla luce sulla terra un uomo che avrebbe
illuminato gli uomini che siedono nelle tenebre e nell’ombra della morte. Egli
infatti rifulse nel mondo come stella del mattino, e con lui si vide spuntare
nel secolo una nuova luce, il cui splendore si è ormai diffuso in tutto il
mondo”.
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Scuola senese, S. Domenico, 1600 circa, collezione privata |
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Juan Bernabé Palomino, S. Domenico, XVII sec. |
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Adams Schelte a Bolswert, S. Domenico, XVII sec., musée des beaux-arts, Rennes |
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Gaspar de Crayer, S. Domenico, 1655 circa, Museo del Prado, Madrid |
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Madonna del Rosario con i SS. Domenico e Caterina, chiesa di Sainte-Marie, Saint-Étienne |
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Filippo Tarchiani, S. Domenico in penitenza, 1615 circa, collezione privata |
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Scuola francese, S. Domenico, 1576-1641, British Museum, Londra |
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Santino del 1877 |
Oggi va ricordato altresì, come aveva annunciato secoli prima dalla Vergine del Buon Successo a Quito ("Nel secolo XIX, verrà un vero Presidente cristiano un uomo di carattere cui Dio Nostro Signore darà la palma del martirio sulla piazza adiacente a questo mio Convento. Egli consacrerà la Repubblica al Sacro Cuore del Mio Santissimo Figlio e questa Consacrazione sosterrà la Religione Cattolica negli anni che seguiranno; anni che saranno infausti per la Chiesa"), il martirio del Servo di Dio Gabriel Gregorio García y Moreno y Morán de Buitrón, presidente dell'Ecuador, avvenuto nel 1875, ad opera delle potenze massoniche. Un periodo assai torbido, durante il quale, appena due anni dopo, il 30 marzo 1877, fu assassinato anche l'arcivescovo metropolita di Quito, Mons. José Ignacio Checa y Barba, grande amico e sostenitore di García y Moreno, avvelenato con stricnina messa nel vino consacrato durante le celebrazioni del Venerdì Santo.
L'opera e l'uccisione del santo Presidente furono commemorati, nell'ottobre di quell'anno, da La Civiltà cattolica, cui si rinvia per la descrizione del martirio e della personalità.
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La scena dell'assassinio |
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Presiede da morto ai propri funerali |
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Placca commemorativa posta sul luogo dell'assassinio del Presidente Moreno, Palacio de Carondelet, Quito |
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Immagine del sacro Cuore a cui il Presidente Moreno consacrò l'Ecuador e che fu intronizzato nella sede del Parlamento |
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Basilica del Voto Nazionale, Quito |
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