martedì 19 agosto 2014

Il valore della Santa Comunione - recensione al libro di Mons. Schneider, "Corpus Christi. La Santa Comunione e il rinnovamento della Chiesa"

Qualche tempo fa davamo conto della pubblicazione di un recente testo dell'ottimo Mons. Schneider in edizione francese. Si pubblica oggi la recensione, all'edizione italiana dello stesso libro, di Cristina Siccardi.


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Il valore della Comunione 

di Cristina Siccardi

Nostro Signore, come dimostrato nei Vangeli, insegna, ammonisce, rimprovera, consiglia, promette. E mette in guardia: la prudenza deve sempre guidare i passi di colui che vive nella Fede. Mai, per esempio, offrire la santità a chi la rigetta, come riporta San Matteo: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci» (Mt 7,6).
La pratica delle Comunioni indegnamente ricevute rappresenta ai nostri giorni «la piaga più profonda nel Corpo Mistico di Cristo», afferma Monsignor Athanasius Schneider nel saggio Corpus Christi. La Santa Comunione e il rinnovamento della Chiesa (Libreria Editrice Vaticana, pp. 97, € 9.00). «Tale indegnità è in primo luogo interiore: vale a dire nei casi in cui si riceve la Santa Comunione in stato attuale di peccato mortale, in stato abituale di peccato mortale, quando la si riceve senza avere piena fede nella Presenza Reale e nella Transustanziazione, quando non pentiti dei peccati veniali commessi. Tale indegnità può anche essere determinata da atteggiamenti esteriori: vale a dire nel caso di furto sacrilego delle ostie consacrate, quando l’Ostia Santa è ricevuta senza alcun segno esteriore d’adorazione, quando la si riceve non curanti della dispersione dei frammenti, quando la si amministra frettolosamente, quasi come se si trattasse della distribuzione di biscotti in una scuola oppure in una caffetteria» (pp. 41-42).
I grandi periodi di fioritura spirituale della Chiesa sono sempre coincisi con i tempi di penitenza e di forte venerazione del Sacramento dei sacramenti, la Sacra Eucaristia. L’uso della pastorale moderna di prendere la Comunione con le mani non è mai esistita nella Chiesa, ed è chiaramente un segno che minimalizza, intimamente e pubblicamente, la Fede, affievolendola. Nel 1970 l’Arcidiocesi di Vienna legittimava questa barbara pratica nel seguente modo: «Il fatto che i fedeli possano prendere l’ostia con la loro propria mano, così come prendono il pane comune, sarà inteso da parte di molte persone come un gesto semplice e naturale che corrisponde a questo segno». Il considerare la Comunione come un fatto «semplice e naturale», quindi umano, avvicina il sentire moderno della pastorale alle direttive dei protestanti che non credono nella Presenza reale del Corpo di Cristo nell’Ostia Santa. Scrive Monsignor Schneider: «Una tale situazione oggettiva richiede almeno una graduale revoca della pratica della Comunione in mano. Per di più, si richiedono espiazione e riparazione al Signore Eucaristico, che è già stato troppo offeso nel sacramento del suo amore» (p. 48). Tale esigenza venne anche proclamata a Fatima. In una delle sue visite, l’Angelo del Portogallo, che anticipò le apparizioni della Madonna ai tre pastorelli, portò loro la Comunione e fu lui a comunicarli in bocca: «Mangiate e bevete il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio».
L’eliminazione di gesti espliciti di adorazione nei confronti della Santa Eucaristia, come il non mettersi in ginocchio davanti all’Altissimo o il non prendere direttamente in bocca l’Ostia Santa – gesto biblicamente motivato e atteggiamento tipico dell’infante – non va certamente a vantaggio né di un nuovo e vigoroso germogliare della Fede, né della Chiesa stessa, che sussiste ogni giorno perché ogni giorno sui suoi altari si compie il Santo Sacrificio.
«Il sacerdote continuamente tocca Dio con le sue mani. Quale purezza, quale pietà si esige da lui! Rifletti adesso un po’, come debbano essere quelle mani che toccano cose così sante!», così scrive San Giovanni Crisostomo in De sacerdotio (VI, 4) e le sue parole sono ricordate ancora da Monsignor Schneider in un altro suo saggio: Dominus est. Riflessioni di un vescovo dell’Asia Centrale sulla sacra Comunione (Libreria Editice Vaticana, pp. 66, € 8.00). Durante il rito dell’Ordinazione sacerdotale l’unzione esprime la conformità a Cristo: come Egli è stato unto dal Padre (Cristo=Unto del Signore) con lo Spirito Santo (At 10,38) ed è stato consacrato Sommo Sacerdote, così i sacerdoti, che nell’imposizione delle mani sono resi simili a Lui, ricevono anche materialmente l’unzione: il Vescovo unge con il sacro Crisma le palme delle mani di ciascun ordinato, inginocchiato davanti a lui.
Nell’antica Chiesa siriaca il rito della distribuzione della Comunione era paragonato con la scena della purificazione del profeta Isaia da parte di uno dei serafini. In uno dei suoi sermoni sant’Efrem fa parlare Cristo con queste parole:
«Il carbone portato santificò le labbra di Isaia. Sono IO, che, portato adesso a voi per mezzo del pane, vi ho santificato. Le molle che ha visto il profeta e con quali fu preso il carbone dall’altare, erano la figura di Me nel grande sacramento. Isaia ha visto Me, così come voi vedete Me adesso stendendo la Mia mano destra e portando alle vostre bocche il pane vivo. Le molle sono la Mia mano destra. Io faccio le veci del serafino. Il carbone è il Mio corpo. Tutti voi siete Isaia» (p. 45). Oggi, nella maggior parte delle chiese del mondo non si ascende più alla grandezza del miracolo della Transustanziazione, esso viene banalizzato, fino a renderlo un fatto ordinario. I Padri della Chiesa, i cui insegnamenti il Vescovo Schneider ci fa sapientemente riascoltare, sono una voce imprescindibile dell’ossatura della Chiesa stessa; essi non hanno fatto “tendenza”, hanno consolidato e ordinato regole e precetti, veri e propri pilastri della Fede, senza i quali ci si smarrisce e si profana ciò in cui si vorrebbe credere. San Giovanni Crisostomo, molto amato dal Cardinale John Henry Newman, rimproverava sacerdoti e diaconi che distribuivano la Sacra Comunione con rispetto umano e senza la debita adorazione alla Divinità ad essa intrinseca:
«Anche se qualcuno, per ignoranza, si accosta alla Comunione, impediscilo, non temere. Temi Dio, non l’uomo. Se infatti temi l’uomo, costui ti schernirà; se invece temi Dio, sarai rispettato anche dagli uomini. Sarò disposto a morire, piuttosto che dare il sangue del Signore ad una persona indegna; verserò il mio sangue, piuttosto che dare il venerato sangue del Signore in modo inadeguato» (p. 51). La santità sacerdotale è chiamata ad utilizzare proprio tali parametri e propositi, e fra tutti ricordiamo il culto che Padre Pio da Pietrelcina aveva per Gesù Eucaristia.
Al cospetto di Dio le ginocchia si piegano da sole. Di fronte al Sommo Bene e all’Onnipotente il riconoscimento della propria pochezza, per chi si nutre di Fede, è automatico. Il nutrimento maggiore è proprio la Santa Comunione che deve essere presa non con le proprie mani impure, ma dalle mani del ministro di Cristo, chiamato ad imboccare sia il tronfio e saccente “adulto cattolico”, sia l’umile “anima bambina” di Dio.

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