In questo periodo estivo, dopo aver proposto nel
luglio scorso un invito a non trascurare la preghiera, propongo oggi alla
lettura un’interessante testo, attinto dalla spiritualità cristiana orientale. È
un brano tratto da un libro di Matta El Meskin o Matta il Povero (1919-2006), un
monaco egiziano copto, igumeno (abate) del monastero di San Macario il Grande,
nel deserto di Scete dal 1969 sino alla morte. Egli è considerato tuttora un apprezzato
autore spirituale, soprattutto per i suoi consigli onde pregare in modo efficace, con fervore e sempre, almeno interiormente, senza distogliere mai - nelle occupazioni quotidiane di ciascuno - la propria attenzione da Dio; consigli che
attingono dalla tradizione spirituale dei Padri del deserto. Del resto Origene raccomandava: «Prega sempre colui che unisce la preghiera alle opere che deve fare, e le opere alla preghiera. Soltanto così possiamo considerare realizzabile il precetto di pregare incessantemente» (De oratione, 12).
Orante, III sec. d.C., cubicolo della Velatio, Catacombe di Priscilla, Roma
La preghiera continua
e la preghiera di Gesù
di Matta El Meskin
La vita nel suo senso più profondo, si riassume in
due atti costanti di un’estrema semplicità: il primo è l’amore la cui sorgente
è Dio, il secondo è l’adorazione, che è il proprium della creazione:
“Dio è amore” (1 Gv 4,16); “Io non sono che preghiera” (Sal 109,4). Questi due
atti sono ininterrottamente costanti; così, Dio non cessa di amare la
creazione e la creazione non cessa d’adorare Dio: “Vi dico, che se questi
taceranno, grideranno le pietre” (Lc 19,40). Tutti gli atti e le molteplici
occupazioni della vita passeranno e scompariranno dopo averci valso condanna o
ricompensa e resteranno soltanto questi due straordinari atti: l’amore di Dio
per noi e la nostra adorazione di Dio. Non passeranno mai e rimarranno
eternamente, perché Dio è felice d’amarci: “Ho posto le mie delizie tra i figli
dell’uomo” (Pr 8,31) e noi troviamo tutta la nostra felicità nell’adorazione di
Dio. Quest’adorazione è un’intuizione divina depositata da Dio al cuore della
natura dell’uomo, affinché egli abbia la gioia d’adorare la sorgente della vera
felicità. L’abbiamo toccato con mano, sperimentato e verificato tante e tante
volte; abbiamo acquisito la certezza che la preghiera e l’adorazione sono fonti
di felicità permanente. C’è dunque un mezzo per condurre una vita d’adorazione
e di preghiera ininterrotta, per mettere Dio al centro del nostro pensiero, per
fare in modo che tutti i nostri atti e i nostri comportamenti gravitino intorno
a lui, per vivere alla sua presenza dalla mattina alla sera e dalla sera alla
mattina? In realtà, quest’opera non è una cosa da poco; esige da parte nostra
grande determinazione, perseveranza e molta attenzione. Non dimentichiamo però
che, così facendo, realizziamo il vertice della volontà e del piano divini e
che, di conseguenza, vi troveremo immancabilmente l’aiuto, l’amore e la guida
di Dio. Riassumiamo come segue la sostanza di quest’esercizio. 1. Gli
obbiettivi della preghiera continua: - Vivere sempre alla presenza di Dio. -
Associare Dio a tutte le nostre attività, a tutti i nostri pensieri e
conoscere la sua volontà. - Accedere a una vita di gioia, avvicinandoci alla
fonte stessa della felicità: Dio, e gioire del suo amore. - Acquisire un’alta
conoscenza di Dio nel suo stesso essere. - Praticare un felice distacco dalle
cose di questo mondo, senza rimpiangere nulla.
2. Qualche indicazione sulla preghiera continua: -
Ravvivare il sentimento di essere alla presenza di Dio che vede tutto ciò che
facciamo e sente tutto ciò che diciamo. - Tentare di parlargli di tanto in
tanto, con brevi frasi che traducano il nostro stato del momento. - Associare
Dio ai nostri lavori domandandogli di essere presente alle nostre attività,
rendendone a lui conto dopo averle concluse, ringraziandolo in caso di
riuscita, dicendogli il nostro rammarico in caso di fallimento, cercandone le
ragioni: ci siamo forse allontanati da lui o abbiamo omesso di chiedere il suo
aiuto? - Cercare di percepire la voce di Dio attraverso i nostri lavori. Molto
spesso egli ci parla interiormente ma non essendo attenti a lui, perdiamo
l’essenziale dei suoi orientamenti. - Nei momenti critici, quando riceviamo
notizie allarmanti o quando siamo assillati, chiediamogli subito consiglio;
nella prova egli è l’amico più sicuro. - Non appena il cuore comincia a
irritarsi e i sentimenti ad agitarsi, volgiamoci a lui per calmare la nefasta
agitazione prima che invada il nostro cuore; invidia, collera, giudizio,
vendetta, tutto ciò ci farà perdere la grazia di vivere alla sua presenza, perché
Dio non può coabitare con il male. - Tentare per quanto possibile di non
dimenticarlo, tornando subito a lui, non appena i nostri pensieri sono colti in
flagrante reato di vagabondaggio. - Non intraprendere un lavoro o dare una
risposta prima di aver ricevuto una sollecitazione da Dio. Questa diventa
sempre meglio discernibile a misura della fedeltà del nostro cammino alla sua
presenza e della nostra determinazione a vivere con lui.
3. Principi base per una vita di preghiera
continua: - Credi in Dio? Allora che Dio sia la base di tutti i tuoi comportamenti;
con lui accogli tutto ciò che incontri nella vita, felicità o tristezza. Che
la tua fede non cambi ogni giorno a seconda delle circostanze. Non lasciare che
sia il successo ad aumentare la tua fede, né il fallimento, la perdita e la
malattia a indebolirla o ad annientarla. - Hai accettato di vivere con Dio?
Allora, una volta per tutte, metti in lui tutta la tua fiducia e non cercare di
indietreggiare o di battere in ritirata. Sii fedele a lui fino alla morte. -
Affidagli tutti i tuoi affari materiali e spirituali; egli è veramente in
grado di reggerli tutti. Sappi che la vita con Dio sopporta tutto: malattia,
fame, umiliazione… e non essere sorpreso se ti accadono queste cose; sii
paziente e le vedrai trasformarsi e schierarsi dalla tua parte per il tuo
maggior bene. - Concentra il tuo amore su Dio e non permettere agli ostacoli
di ridurlo; al contrario, accogli ogni sofferenza senza amarezza ma con
dolcezza, a motivo di questo amore, perché il vero amore trasforma la
sofferenza in felicità. - Beati coloro che sono stati ritenuti degni di
soffrire per il suo Nome. Ancora più beati coloro che desiderano sacrificarsi
per amore del suo Nome. Breve storia della preghiera continua La preghiera
continua è una disciplina spirituale particolare che impegna le facoltà
interiori dell’anima e tocca centri precisi del cervello con lo scopo
d’acquisire la calma interiore necessaria a pervenire a uno stato di veglia
spirituale costante e di percezione permanente della presenza divina,
accompagnata da un completo dominio dei pensieri e delle passioni. Costituisce
l’opera spirituale più importante e più elevata che, condotta con successo, può
farci raggiungere le vette della vita spirituale. Questa forma di preghiera è
già menzionata negli insegnamenti dei primi padri del deserto d’Egitto:
Macario il Grande parla della recitazione costante del “dolce Nome di Gesù” e
abba Isacco, discepolo di Antonio, fa un lungo elogio della ripetizione
continua del versetto di un salmo. Entrambi hanno vissuto verso la fine del IV secolo
e gli insegnamenti del secondo sono stati raccolti da Cassiano durante i suoi
viaggi in Egitto. Attraverso le parole di abba Isacco apprendiamo che questo
metodo di preghiera, costitutivo di una delle tradizioni ascetiche più
importanti tra quelle che i padri avevano ricevuto dai loro predecessori, “è un
segreto che ci è stato rivelato da quei pochi padri appartenenti al buon tempo
antico, ma che vivono tutt’ora; noi lo riveliamo a nostra volta a quel piccolo
numero di anime che dimostrano una vera sete di conoscerlo”. Quanto agli
effetti di questa pratica sulle facoltà dell’anima e della mente, essi erano
noti ai padri fin dall’inizio, come si deduce dalle parole di Isacco: “[Questa
preghiera] esprime tutti i sentimenti di cui è capace la natura umana; conviene
perfettamente a tutti gli stati e a ogni sorta di tentazione… Che l’anima
(mens) ritenga incessantemente questa formula, cosicché, a forza di ripeterla,
acquisti la capacità di rifiutare e allontanare da sé tutte le ricchezze
rappresentate dai nostri molteplici pensieri”. Fin da allora, cioè dal IV
secolo, la preghiera continua si è diffusa in Egitto e in tutto l’oriente
cristiano fino a occupare un posto preponderante nella dottrina ascetica di
tutte le chiese orientali. La ritroviamo, tra gli altri, negli insegnamenti di
Nilo il Sinaita (+ 430), poi in quelli di Giovanni Climaco all’inizio del VII
secolo (570-640), e di Esichio di Batos (Sinai, VII o VIII secolo).
L’importanza accordata all’hesychìa (tranquillità) si amplifica
progressivamente fino a raggiungere uno dei suoi vertici negli insegnamenti di
Isacco ll Siro, vescovo di Ninive, verso la fine del VII secolo. Gli elementi
frammentari di questi insegnamenti furono raccolti in una dottrina sistematica
solo con l’arrivo di Simeone il Nuovo Teologo (1022) e poi di Gregorio il
Sinaita, che li organizzarono in una dottrina mistica di tipo specificamente
bizantino. Gregorio il Sinaita, seguito dal discepolo Callisto che diverrà
patriarca di Costantinopoli, la introdusse al Monte Athos alla fine del XIII
secolo e fece della preghiera continua una pratica mistica fondamentale nella
tradizione bizantina, dopo aver raccolto la quasi totalità delle parole dei
padri riferite a questo argomento, ordinandole, spiegandole e commentandole.
Con il soggiorno di Nil Sorskij al Monte Athos, nella seconda metà del XV
secolo, si aprì una porta molto ampia per l’impiantazione in Russia della
preghiera continua. Tutta l’eredità orientale antica, con le sue ricchezze, si
trovò trasferita ai padri russi che rivaleggeranno in ardore per applicarla con
amore, fedeltà e devozione. Ormai, questa pratica occuperà un posto molto importante
nella vita delle generazioni successive, come ci si può rendere conto leggendo
i Racconti di un pellegrino russo. Ma, lasciando il deserto d’Egitto, suo luogo
d’origine, la preghiera continua perse buona parte della sua semplicità
originaria; chi la praticava nei primi secoli, viveva spontaneamente in
profondità i suoi effetti spirituali senza esaminarne il come; ne raccoglieva i
frutti senza che ciò suscitasse in lui ambizioni spirituali. Questa forma di
preghiera è dunque passata da un’umile pratica ascetica a una
sistematizzazione mistica elaborata, provvista di discipline proprie, proprie
condizioni, gradi e risultati. L’orante può prendere coscienza di tutto ciò
ancor prima di cominciare a praticarla. Il che, naturalmente, non ha mancato di
attribuire al metodo una buona parte di complessità, accresciuta da una
dannosa mancanza di naturalezza. Nondimeno, la preghiera continua ha sempre i
suoi adepti e i suoi praticanti esperti e, su coloro che l’amano, non cessa di
versare in abbondanza i suoi effetti benefici, le sue grazie e le sue
benedizioni. L’autore stesso confessa i benefici di questa preghiera per
quanto lo riguarda personalmente.
(tratto da Matta El Meskin, L’esperienza di Dio
nella preghiera, ed. Qiqajon, Magnano, 1999, pp. 257-262)
Fonte: Nati dallo Spirito
Pietro Canonica, Le Comunicande, 1920 circa, Villa Borghese, Roma
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