Sono state pubblicate, finalmente (!!!), le Memorie dell'abbé Louis Bouyer, sacerdote oratoriano, teologo e liturgista, che, già pastore protestante, affascinato dalla liturgia cattolica, decise di abbracciarne la fede che ne era alla base (lex orandi lex credendi!).
Della presentazione che viene fatta di queste Memorie dal vaticanista Sandro Magister emergono alcuni dati già ampiamente noti ed altri forse meno.
Di già noto vi è il ruolo svolto dal personaggio Annibale Bugnini. Si sa, infatti, che si trattava di un soggetto, come emerge pure da altre testimonianze di chi vi ha lavorato a stretto contatto, non all'altezza del compito affidatogli. E qui non ci si riferisce alle voci circolate sul suo conto e che, come ritenne lo stesso Bugnini, furono all'origine del suo repentino allontanamento dall'Urbe con destinazione Persia (Iran), vale a dire il «credito che godettero a Roma le voci della sua presunta affiliazione» massonica, a cui lo stesso Paolo VI prestò, evidentemente, fede (così ricorda A. Tornielli, Paolo VI - L'audacia di un Papa, Mondadori, Milano, 2009, p. 587).
No, non ci si riferisce a queste voci.
Il nostro riferimento è alla sua preparazione teologica, liturgica e culturale. Diceva di lui Mons. Aimé-Georges Martimort, insigne liturgista e perito al Concilio Vaticano II, “Sapete,
Bugnini ha fatto una buona scuola media”. Il che dà la misura della considerazione scientifica di cui godeva il lazzarista tra i suoi colleghi di lavoro. E, sempre come riferisce il canonico Rose, Bugnini era considerato come persona che "non aveva alcuna profondità di pensiero". Per cui, vederlo definito dall'abbé Bouyer come "sprovvisto di cultura come di onestà" non desta alcuna meraviglia. In fondo, ce l'aspettavamo!
Non desta parimenti stupore il modo in cui Bugnini impose il lavoro
ai membri del Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia,
facendo credere a questi che tutte le "novazioni" liturgiche, che si andavano realizzando, fossero
imposte dall'allora papa ed a questi che le stesse fossero approvate, invece, dai membri
all'unanimità. Insomma, dalle Memorie emerge come l'intero impianto della riforma scaturì da inganni e menzogne del predetto soggetto all'uno ed agli altri. Pure questo, tuttavia, era noto e, quindi, non stupisce chi,
con sguardo storico e critico, esamini quell'epoca e quelle novità.
Ciò che invece desta meraviglia, soprattutto all'approssimarsi della beatificazione di papa Montini, è che, ancora una volta, viene
confermata la debolezza di quel pontefice, il quale, appresa della "torbida rete" (se vogliamo definirla così) nella quale sarebbe inconsapevolmente caduto (volendo salvaguardare in ogni caso la sua perfetta buona
fede), nulla fece, in concreto, per rimediare alla demolizione che era stata operata,
commettendo, dunque, quantomeno un'omissione od una leggerezza nel non
intervenire per cercare di riportare la "barra al centro" da cui era
stata spostata in maniera assai imprudente perché tratto in inganno da quell'abile manovratore.
C'è, infine, un ultimo aspetto, davvero singolare, che emerge da queste Memorie: vale a dire che l'abbé Bouyer cercò di salvare la preghiera eucaristica con l'aiuto del famoso
benedettino belga dom Bernard Botte, il quale era stato esponente di spicco del
"Movimento liturgico" (meglio, dell'allora inquinato "Movimento") ed aveva contribuito, in una certa misura, a questo sovvertimento. Famoso, a tal proposito, è il lavoro svolto per
l'introduzione, in una delle preci eucaristiche, della c.d. anafora di Ippolito,
di cui dom Botte curò, nel 1946, un'assai ipotetica ricostruzione / integrazione delle ampie lacune
esistenti in questa prex giuntaci dal III sec. d.C. (per alcune considerazioni su questa prece eucaristica rinvio qui).
Al riguardo, va rammentato che di questo canone -
asseritamente antichissimo (lo stesso Bouyer non lo credeva tale!) e comunque mutilato e modificato nella moderna prece eucaristica II - non vi erano (e non vi sono) evidenze storiche che fosse mai stato
utilizzato dalla Chiesa antica né, inoltre, che fosse considerato ortodosso (non
dimentichiamo che Ippolito fu "antipapa" e solo prima del martirio
ebbe modo di riconciliarsi con la Chiesa e quindi meritare di essere annoverato tra i santi!). In ogni caso, di questa prece ci sono
giunti solo pochi frammenti manoscritti, poche parole ed ampie lacune: il che, da un punto
di vista storico, denota quantomeno come la Chiesa antica non abbia mostrato
preoccupazione alcuna nel conservarcelo, proprio perché ritenuto - evidentemente
- assai dubbio ... . Era dunque da considerarsi una
"foglia secca" da lasciar cadere e non raccogliere (per giunta .... modificandola pure con sforbiciate ed integrazioni ulteriori).
In conclusione, non senza meraviglia, apprendiamo di questo sforzo del
benedettino con l'abbé Bouyer di cercare di salvare il salvabile in limine.
Evidentemente, entrambi avevano compreso che si era andati nella
"novazione" troppo oltre ..... . Ben al di là dei propositi, forse,
degli stessi esponenti del Movimento.
* * * * * * * *
Le fiammeggianti memorie del convertito che Paolo VI voleva far
cardinale
Sandro Magister
Paolo VI fu seriamente sul
punto di farlo cardinale, se non l’avesse trattenuto la feroce reazione
contraria che la nomina avrebbe sicuramente provocato tra i vescovi francesi,
in testa l’allora arcivescovo di Parigi e presidente della conferenza episcopale,
cardinale François Marty, personaggio di “crassa ignoranza” e “privo della più
elementare capacità di giudizio”.
Ad aver mancato la porpora
e ad aver bollato così un suo arcinemico è stato il grande teologo e liturgista
Louis Bouyer (1913-2004), come si apprende dalle sue fiammeggianti “Mémoires”
postume, pubblicate questa estate dalle Éditions du Cerf dieci anni dopo la sua
morte.
Cresciuto luterano e
divenuto pastore a Parigi, Bouyer si convertì nel 1939 al cattolicesimo,
attratto più di tutto dalla sua liturgia, di cui si segnalò prestissimo geniale
cultore con il saggio capolavoro “Il mistero pasquale”, sui riti della
settimana santa.
Chiamato a far parte di una
commissione preparatoria al Concilio Vaticano II, Bouyer ne colse da subito a
occhio nudo la grandezza ma insieme le miserie, e presto se ne ritrasse.
Trovava insopportabile l’ecumenismo a buon mercato, “da Alice nel paese della
meraviglie”, di quella stagione ruggente. Tra i pochi teologi conciliari da lui
salvati c’è il giovane Joseph Ratzinger, che nel libro è fatto segno soltanto
di elogi. E viceversa, tra i pochi alti uomini di Chiesa che apprezzarono a
prima vista il talento e i meriti di questo teologo e liturgista così fuori
dagli schemi, fa spicco Giovanni Battista Montini quando era ancora arcivescovo
di Milano.
Divenuto papa col nome di
Paolo VI, Montini volle Bouyer nel consiglio per la riforma dei libri liturgici,
presieduto “in teoria” dal cardinale Giacomo Lercaro, “generoso” ma “incapace
di resistere alle manovre dello scellerato e mellifluo” Annibale Bugnini,
segretario e factotum del medesimo organismo, “sprovvisto di cultura come di
onestà”.
A Bouyer capitò di dover
rimediare in extremis a una orribile formulazione della nuova II preghiera
eucaristica, dalla quale Bugnini voleva espungere persino il “Sanctus”. E
dovette riscrivere lui una sera, sul tavolo di una trattoria di Trastevere,
assieme al liturgista benedettino Bernard Botte, il testo di quel nuovo canone
che oggi si legge nelle messe, con l’assillo di dover consegnare il tutto la
mattina dopo.
Ma il peggio è quando
Bouyer ricorda il perentorio “Lo vuole il papa” con cui Bugnini usava mettere a
tacere i membri della commissione ogni volta che si opponevano a lui, ad
esempio nello smantellare la liturgia dei defunti o nel purgare i salmi
dell’ufficio divino dai versetti “imprecatori”.
Paolo VI, conversando poi
con Bouyer di una di queste riforme “che il papa s’era trovato ad approvare
senza esserne affatto soddisfatto più di me” gli chiese: “Ma perché vi siete
impegolati tutti in questa riforma?”. E Bouyer: “Ma perché Bugnini ci assicurò
che lei la voleva assolutamente”. Al che Paolo VI: “Ma è mai possibile? Lui mi
disse che voi eravate unanimi nell’approvarla…”.
Paolo VI esiliò lo
“spregevole” Bugnini a Teheran come nunzio, ricorda Bouyer nelle sue
“Mémoires”, ma quando ormai il danno era consumato. Per la cronaca, il
segretario personale di Bugnini, Piero Marini, sarebbe poi divenuto dal 1983 al
2007 il regista delle cerimonie pontificie, e oggi addirittura si vocifera di
lui come venturo prefetto della congregazione per il culto divino.
Nell’ultimo anno della sua
vita, Paolo VI invitò Bouyer a passare con lui “qualche settimana di vacanza a
Castel Gandolfo”. Ma a questo straordinario segno d’amicizia e di stima il
teologo, sovraccarico di impegni, non poté aderire. E se ne dolse, perché il 6
agosto di quel 1978 l’amato papa Montini morì.
L’anno dopo il cardinale
Jean Villot rivelò a Bouyer che Paolo VI avrebbe voluto farlo cardinale, non
fosse stato per l’asprezza delle previste reazioni intraecclesiastiche.
Alla notizia della mancata
nomina, Bouyer ricorda che “si sentì sollevato”, anche perché il suo pensiero
era andato subito all’infelice sorte di un altro grande teologo e liturgista
insignito invece della porpora, il gesuita Jean Daniélou,
“fatto segno di ignobili calunnie dai suoi stessi confratelli” prima e dopo la
sua morte nel 1974.
Nessun commento:
Posta un commento