Un tempo esisteva, nell’Urbe, il titolo, oggi
scomparso, dedicato al santo evangelista che ricordiamo oggi: San Matteo in
Merulana.
Tale antichissimo Titolo era menzionato, per la
prima volta, nel Concilio romano del 499, sotto papa Simmaco, in cui uno dei
firmatari si qualificava così: Andreas
presbyter tituli sancti Mathæi subcripsi.
Sembra
che in questo quartiere di Roma, situato intorno all’Episcopium del Laterano
e della via Merulana, si vollero, un tempo, raggruppare i ricordi degli Apostoli:
vi si trovava, in effetti, l’oratorio di San Giovanni evangelista, di San
Bartolomeo in Capite
Merulanæ, di San Matteo, di Sant’Andrea,
di San Tommaso in Laterano.
Esisteva
anche un altro oratorio in onore di san Matteo, e si trovava non lontano dalla
diaconia di Santa Maria in
Xenodochio.
La
festa di san Matteo in questo giorno è già recensita nel Martirologio
Geronimiano ed è celebrata in tutto l’Occidente, ma gli Orientali (bizantini e
siriaci) la celebrano specialmente il 16 novembre, mentre i copti il 9 ottobre.
Gli Acta di
quest’apostolo sono apocrifi e sappiamo ben poco delle vicende della sua vita, sebbene la leggenda se ne sia impossessata, come spesso accade, condendola con elementi fantastici ed inverosimili (v. qui). Generalmente, i Padri – sant’Ambrogio, per esempio – lo fanno morire in Persia
(Sant’Ambrogio,
Enarratio In Psalm. XLV, § 21, in PL 14 (ed. 1845), col. 1143;
nell’edizione del 1882, col. 1198), mentre san Paolino afferma
che egli morì presso i Parti (San Paolino da Nola, Carm. XXX (conosciuto anche come Carm. XXVI), in PL (ed. 1847) 61, col. 672.).
Venanzio Fortunato afferma, a
sua volta, a questo riguardo:
Matthæus
Æthiopes attemperat ore vapores,
Vivaque
in exusto flumina fudit agro ... (San Venanzio Fortunato, Miscellanea,
lib.
V, cap. II, in PL 88, col. 182).
Inde
triumphantem fert India Bartholomæum,
Matthæum
eximium Naddaver alla virum.
Hinc
Simonem ac Judam lumen Persida gemellum,
Læta
relaxato mittit ad astra sinu (ibidem, lib. VIII, cap. VI, ivi,
col. 270).
Secondo
la tradizione il nostro Santo morì martire, sebbene ci fosse nell’antichità
chi, come l’eretico gnostico Eracleone, sostenesse che fosse morto
naturalmente.
In ogni
caso, stando alla tradizione più accreditata, l’Etiopia
fu evangelizzata dal nostro Apostolo e si fa risalire a lui la conversione del
re Egipo e di tutta la sua famiglia. Il racconto tradizionale si sofferma
particolarmente sulla figlia del re, Ifigenia, la quale dopo il Battesimo si
consacrò al Signore e fu messa da Matteo a capo di duecento vergini. Dopo la morte
del re, il fratello Itarco, usurpò il trono e per ragioni di stato voleva in
sposa sua nipote Ifigenia. La sua resistenza fu tale che Itarco cercò in Matteo
il suo ambasciatore presso la giovane, ma egli ben lungi dal prestarsi ai
desideri del re, in un solenne discorso dimostrò l’errore di una tale
intenzione e, mentre celebrava il Santo Sacrificio, pronunciò parole che
suscitarono in Itarco una collera tale che ordinò la morte dell’Evangelista. In
questa scena l’ha immortalato il Caravaggio in un suo celebre dipinto
conservato a Roma nella Chiesa di San Luigi dei Francesi.
Ifigenia
distribuì i suoi beni al clero e chiese che fosse costruita una grande chiesa
in onore del nostro Santo.
La testimonianza del sangue dell'Apostolo ed evangelista, dunque, fu per affermare i doveri ed i diritti della santa verginità consacrata a Dio, suggellando così la consacrazione che aveva fatto di sé in una rigida ascesi. Clemente Alessandrino, infatti, ricorda come Matteo si nutrisse di semi, di frutta secca ed ortaggi, non mangiando la carne (Clemente Alessandrino, Pœdag. II, 16.1, ora in Id., Il Pedagogo, con Introduzione, traduzione e note a cura di D. Tessore, Città Nuova, Roma, 2005, p. 147).
La testimonianza del sangue dell'Apostolo ed evangelista, dunque, fu per affermare i doveri ed i diritti della santa verginità consacrata a Dio, suggellando così la consacrazione che aveva fatto di sé in una rigida ascesi. Clemente Alessandrino, infatti, ricorda come Matteo si nutrisse di semi, di frutta secca ed ortaggi, non mangiando la carne (Clemente Alessandrino, Pœdag. II, 16.1, ora in Id., Il Pedagogo, con Introduzione, traduzione e note a cura di D. Tessore, Città Nuova, Roma, 2005, p. 147).
A
sua gloria di apostolo, san Matteo aggiunse quella di essere stato evangelista.
Egli scrisse il suo vangelo in lingua aramaica e tradotto più tardi in greco.
Non abbiamo più la versione originale, ma si suppone che questa redazione primitiva
si avvicinasse molto all’Evangelium
secundum Hebræos, tradotto in greco ed in latino
da san Girolamo. In ogni caso, la redazione greca di san Matteo, che
costituisce per la Chiesa il testo canonico del primo Vangelo, dové essere
tenuta come divinamente ispirata.
Al 6
Maggio il Martirologio romano pone la traslazione del corpo di Matteo dall’Etiopia
a Salerno passando per Paestum,
mentre – in pieno accordo con il Martirologio Geronimiano – al 21 settembre la
sua morte.
Nel 954, il corpo di san Matteo
fu ritrovato, si dice, a Velia, non lontano dal golfo di Policastro e, da lì,
fu trasferito nella cattedrale di Salerno. Il papa san Gregorio VII, il 18 Settembre 1080, scrisse ad Alfano I, già monaco
benedettino ed allora arcivescovo di Salerno, per felicitarsi con lui per il
ritrovamento del corpo di San Matteo (San Gregorio VII, Ep. Divine pietatis, in MGH, Epistolae Selectae,
Gregorii VII Registrum, lib. VIII, n. 8, tomo II, Berlino 1923, pp. 526 s.): questa missiva è un documento storico ineccepibile. Nel
1084, poi, lo stesso Pontefice si recò da Montecassino per farne la
consacrazione. La morte lo colse durante il suo soggiorno nella capitale del
Ducato normanno ed il suo corpo vi riposa ancora oggi, presso quello del santo
Evangelista. Pontefice magnanimo e forte, le cui ultime parole furono queste: Dilexi iustitiam et odivi iniquitatem; propterea morior
in exilio!
Nell’antica
piccola chiesa di Velia, dedicata a san Matteo - Sancti Matthæi ad duo flumina – si
conserva ancora il sarcofago in cui riposarono qualche tempo le sacre ossa del
grande evangelista.
Dall’VIII sec.,
la festa di san Matteo, nei paesi franchi, era dotata di una vigilia. Si
trovano i due formulari in vigilia et in
festo in numerosi
sacramentari gregoriani della seconda metà del IX sec. Essi dovettero passare
nei libri liturgici romani dell’XI e del XII sec. senza subire modifiche.
Cosimo Rosselli, S. Barbara tra i SS. Giovanni Battista e Matteo, 1468-69, Galleria dell'Accademia, Firenze |
Alvise Vivarini, S. Matteo, 1480 circa, Gallerie dell'Accademia, Venezia |
Andrea del sarto, Madonna con Bambino e S. Matteo con l'angelo, 1522, Museo del Prado, Madrid |
Girolamo Muziano, Martirio di S. Matteo, 1586-89, Chiesa di S. Maria in Aracoeli, Roma |
Annibale Carracci, Madonna in trono con S. Matteo ed altri Santi (SS. Francesco d’Assisi e Giovanni Battista), 1588, Gemäldegalerie Alte Meister, Dresda |
Vincenzo Campi, S. Matteo scrive il suo Vangelo, 1588, Chiesa di S. Francesco d'Assisi, Pavia |
Caravaggio, Vocazione di S. Matteo, 1599-1600, Cappella Contarelli, chiesa di S. Luigi dei Francesi, Roma |
Caravaggio, L’ispirazione di S. Matteo, 1602, Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma |
Caravaggio, Martirio di S. Matteo, 1602, Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma |
Pieter Paul Rubens, S. Matteo, 1610-12 circa, Museo del Prado, Madrid |
Guercino, S. Matteo, 1647-48, collezione privata |
Juan Ribalta, SS. Matteo e Giovanni evangelisti, 1625 circa, Museo del Prado, Madrid |
José (o Jusepe) Leonardo, S. Matteo, 1630 |
Giuseppe Vermiglio, S. Matteo, 1630 circa, Azienda Ospedaliera, Melegnano |
Carlo Dolci, S. Matteo, 1670-71 circa, Princeton University Art Museum, Princeton |
Andrey Nikolajewitsch Mironov, Vocazione di S. Matteo, 2010 |
Camillo Rusconi, S. Matteo, 1708-18, Basilica San Giovanni in Laterano, Roma |
Sytov Alexander Kapitonovich, Santo Apostolo ed Evangelista Matteo, 1995 |
Sytov Alexander Kapitonovich, Santo Apostolo ed Evangelista Matteo, 1996 |
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