Qualche giorno fa si riferiva di un contributo sul significato teologico della misericordia scritto dall'ottimo P. Lanzetta FFI.
Ora interviene il domenicano P. Giovanni Cavalcoli, sempre sul medesimo tema, approfondendo le argomentazioni di P. Lanzetta, in opposizione alla posizione assunta dal card. Kasper.
Pubblico il suo intervento oggi, nella commemorazione domenicana del Santo Patriarca Domenico in Soriano.
Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, Miracolo di Soriano con S. Ambrogio, 1655 circa, Chiesa di Santa Maria di Castello, Genova
Ora interviene il domenicano P. Giovanni Cavalcoli, sempre sul medesimo tema, approfondendo le argomentazioni di P. Lanzetta, in opposizione alla posizione assunta dal card. Kasper.
Pubblico il suo intervento oggi, nella commemorazione domenicana del Santo Patriarca Domenico in Soriano.
Francisco de Zurbarán, Apparizione della Vergine al monaco di Soriano, 1626-27, Iglesia de Santa María Magdalena, Siviglia
Juan Bautista Maíno, Apparizione
della Vergine a Soriano, 1629 circa, Museo del Prado, Madrid
Juan Bautista Maíno,
Apparizione della Vergine e delle SS. Maria Maddalena e Caterina d’Alessandria
ad un domenicano a Soriano, 1630 circa, Hermitage, San Pietroburgo
Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, Miracolo di Soriano con S. Ambrogio, 1655 circa, Chiesa di Santa Maria di Castello, Genova
Pedro
Atanasio Bocanegra, S. Domenico in Soriano, 1660, Hermitage, San Pietroburgo
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Giustizia e misericordia
di
p. Giovanni Cavalcoli, O.P.
In un recente
articolo apparso in www.chiesa il
Padre Serafino Lanzetta manifesta alcune osservazioni critiche al libro del
Card. Kasper “Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo – Chiave della
vita”.
Dato che il libro di
Kasper tocca alcuni temi teologici e morali di grande importanza e attualità,
ho ritenuto bene riprendere e sviluppare le sagge annotazioni dell’illustre teologo
francescano.
Innanzitutto dobbiamo
condividere l’idea di Kasper che il tema della divina misericordia è una grande
medicina per guarire dall’ateismo, ma non per il motivo addotto da Kasper,
secondo il quale Dio non castiga ma usa solo misericordia, per cui, dopo
Auschwitz, dovremmo abbandonare l’idea di un Dio che punisce.
In realtà, l’idea di
Kasper è sbagliata, perché nella Scrittura l’attributo divino della giustizia
punitiva è evidentissimo. Si tratta solo di intenderlo nel senso giusto, non
come azione divina positiva tesa a recare pena o dolore al reo, ma si tratta di
un’espressione metaforica presa dalla comune condotta umana, per significare il
fatto che è il peccatore stesso col suo peccato a tirarsi addosso la punizione,
così come per esempio chi eccede nel bere è “punito” con la cirrosi epatica.
Questo è chiarissimo nella Bibbia. La morte non è qualcosa che consegue al
peccato per un irrazionale o casuale intervento divino, ma è la conseguenza
logica e necessaria del peccato, così come chi ingerisce un veleno
necessariamente muore.
Kasper poi loda Lutero per il fatto che questi nel passo
della Lettera ai Romani dove Paolo parla della “giustizia divina”
(3,21), non intende la giustizia punitiva, ma l’azione misericordiosa di Dio,
per la quale noi siamo “giustificati gratuitamente per la sua grazia” (v.24),
“per mezzo della fede in Gesù” (v.22).
Giustissimo, senonché
però non sempre nella Bibbia la giustizia divina ha questo senso, ma in molti
altri luoghi appare chiaramente come giustizia punitiva, anche se nel senso
suddetto. Del resto è ben noto quanto Lutero manteneva il concetto della
punizione divina, ammettendo, con la tradizione cattolica, l’esistenza del
diavolo e di dannati nell’inferno.
In base a ciò,
dobbiamo dire che è falsa l’affermazione di Kasper secondo la quale, con
l’avvento di Cristo, “Dio ha messo definitivamente a tacere la propria ira e ha
fatto spazio al suo amore e alla sua misericordia” (p. 103). Sono infatti notissimi
tutti gli insegnamenti di Cristo circa l’esistenza dei dannati[1] e
i passi nei quali Egli redarguisce con molta severità suoi avversari.
Indubbiamente c’è da
ricordare che l’“ira divina” è un’espressione metaforica per esprimere appunto
la giustizia divina. È infatti evidente che in Dio, purissimo Spirito, non
esistono passioni e emozioni. L’ira divina è semplicemente la condizione penosa
del peccatore privo della grazia e nemico di Dio. Dio non è nemico di nessuno.
Egli, come dice S. Agostino, non ti abbandona, se non sei tu ad abbandonarLo.
La distinzione in Dio
fra giustizia e misericordia non si fonda sull’essenza divina, né è proprietà
necessaria di tale essenza, ma suppone l’esistenza del mondo, che Dio, se
avesse voluto, poteva anche non creare. Infatti, mentre la misericordia è atto
dell’amore gratuito di Dio per l’uomo peccatore, per cui questi viene da Dio
indotto al pentimento e una volta pentito viene perdonato, sicchè, avendo
recuperato la grazia, può compiere opere meritorie per la salvezza, la giustizia
divina, come ho già detto, non è un atto positivo di Dio, ma è la giusta e
logica conseguenza del peccato.
In questa luce e in
questo senso la Bibbia dice che Dio premia i buoni e castiga i malvagi,
confermando un’insopprimibile esigenza universale della coscienza morale
naturale di ogni uomo onesto e leale. Diversamente, che senso avrebbero gli
ordinamenti e gli istituti penali dello Stato e della Chiesa? Ci sarebbe la
legge della giungla, dove il forte si mangia il debole e ciascuno non farebbe
altro che voler prevalere sugli altri.
Se Dio non punisse i
malvagi sarebbe ingiusto, anche se è vero che Egli mostra il suo amore facendo
misericordia. Tuttavia la vera misericordia non si attua a scapito della giustizia,
ma operando, come dice giustamente Padre Serafino, meglio e al di sopra della
giustizia, che comunque va sempre rispettata. Se un peccatore è perdonato e non
è punito, ciò non è ingiusto, ma è un’opera divina.
Non si deve opporre
l’amore alla giustizia. Esiste infatti e deve esistere un amore per la
giustizia. La punizione o l’uso della forza in se stessi non sono peccato, ma
lo sono quando la pena è ingiusta, o troppo mite o troppo severa, e quando si
usa la forza non in difesa del bene, ma per fare il male. Occorre dunque odiare
l’ingiustizia e praticare la giustizia imitando la stessa giustizia divina.
L’impassibilità
divina, come giustamente osserva P. Serafino, non è non so quale freddezza o
durezza di cuore, ma significa semplicemente l’inviolabilità della natura
divina e il fatto che non può essere privata di nulla e nulla le può mancare.
L’idea di un Dio solo
misericordioso, che non punisce nessuno, non solo non risolve il problema
dell’ateismo, ma lo esaspera. Infatti, la misericordia come tale allevia la
sofferenza e solleva dalla miseria, le quali invece, in linea di principio,
anche se non caso per caso, sono alla lontana, anche negli innocenti e nei
santi, castigo del peccato originale e forse anche dei peccati personali o di
quelli di coloro che ci fanno soffrire.
Ebbene, se dovesse
restare solo la misericordia senza la giustizia, allora tutte le pene di questa
vita dovrebbero essere effetto della misericordia divina, cosa evidentemente
assurda, che ci farebbe sentire beffati da un Dio di tal fatta. E’ vero che se
viviamo le nostre pene quotidiane in unione a Cristo crocifisso, sperimentiamo
la misericordia divina, non però per un’assurda confusione tra punizione e
misericordia, ma perché in Cristo possiamo espiare le nostre colpe per puro
dono della divina misericordia.
È ovvio che la
tragedia di Auschwitz conduce a chiederci che ne fu allora dell’onnipotenza e
della bontà divine. Perché Dio non è intervenuto o non ha impedito? Se
ammettiamo la Scrittura come Parola di Dio, l’unica risposta ci viene dalla
fede: perché Dio ha voluto invitare il suo Popolo a partecipare ai dolori del
Messia.
L’invito di Kasper
alla speranza che simili cose non si ripetano più è giusto, ma intanto il
credente non deve spiegare solo il futuro, ma anche il passato e il presente e
fuori di Cristo non c’è spiegazione al mistero del male, del peccato e della
sofferenza.
Quanto poi sostiene
Kasper secondo il quale Kant avrebbe dimostrato l’impossibilità di dimostrare razionalmente
l’esistenza di Dio mediante il principio di causalità partendo dalle cose del
mondo, è una tesi assolutamente falsa, che contrasta sia con la ragione
naturale e ancor più con gli insegnamenti della Chiesa, per esempio col
Concilio Vaticano I, basati sulla stessa Sacra Scrittura (Cf. Rm 1,19-20 e Sap
13,5).
Inoltre, grave
calunnia contro la metafisica è l’accusa di Kasper secondo la quale la dottrina
metafisica dell’Ipsum Esse, peraltro ricavata da S. Tommaso
d’Aquino da Es 3,14, escluderebbe dagli attributi divini la misericordia: tesi
falsissima, dato che la misericordia, dal punto di vista metafisico, non è
altro che la manifestazione e l’attuazione dell’infinita bontà divina,
attributo che la metafisica deduce dal trascendentale del bonum, in
quanto sommo analogato della nozione del bene.
Altro grave errore
teologico di Kasper è il credere che la misericordia è la proprietà
fondamentale di Dio, (p.137), quasi fosse un attributo della sua stessa
essenza. E giunge ad affermare che “la misericordia è la perfezione
dell’essenza di Dio” (p. 105), come se Dio si dovesse perfezionare
nell’esercizio della misericordia.
Ora, dobbiamo dire
che, essendo la misericordia legata all’azione divina nei confronti del mondo e
poiché il mondo non fa parte dell’essenza divina, né Dio lo ha creato necessariamente
o per essenza, anche la misericordia non entra necessariamente nell’essenza
divina, per cui questa non si perfeziona affatto, in quanto Dio, essendo già di
per sé perfezione infinita, non ha assolutamente bisogno di perfezionarsi o di
essere perfezionato.
Per quanto poi
riguarda la speranza della salvezza, la Bibbia non dice da nessuna parte che
dobbiamo sperare la salvezza di tutti, come crede von Balthasar ripreso da
Kasper, ma al contrario insegna chiarissimamente che non tutti si salvano, per
quanto non sia affatto proibito ma anzi è doveroso pregare per la salvezza dei
peccatori, finché sono in vita. Viceversa io ho il dovere di sperare nella mia
salvezza, fondando tale speranza su di un assiduo impegno per la salvezza mia e
degli altri.
Kasper non si spinge
come per esempio Rahner a dirsi certo che tutti si salvano. La sua tesi è più
morbida. Egli ritiene infatti che “Possiamo sperare nella salvezza di tutti, ma
di fatto non possiamo sapere se tutti si salveranno” (p. 169). Tale idea non
raggiunge però ancora quanto insegnano la Bibbia e il Magistero della Chiesa.
Dottrina di fede è invece che non tutti si salvano (Concilio di Trento, Denz. 1523
e Concilio di Quierzy dell’853, Denz. 623).
Altro grave errore
teologico di Kasper, contrario al dogma cattolico, come lascia intendere Padre
Lanzetta, è l’idea di un Dio sofferente. Certo, anche qui possiamo usare la metafora
o la comunicazione degli idiomi, in quanto, per esempio, possiamo dire che Dio
soffre in Cristo in quanto Cristo è uomo.
Ma asserire la
sofferenza nella natura divina è eresia. Certo Kasper tenta di sfuggire a
questa grave conseguenza, ma esce in espressioni contradditorie, che non hanno
senso, dicendo che in Dio la sofferenza sarebbe una perfezione e addirittura
espressione della sua onnipotenza: “per la Bibbia… la con-sofferenza di Dio non
è espressione della sua imperfezione, della sua debolezza e della sua
impotenza, ma è espressione della sua onnipotenza… Egli non può quindi essere
passivamente e contro la sua volontà colpito dal dolore, però nella sua
misericordia si lascia sovranamente e liberamente colpire dal dolore” (pp.
184-185)[2].
Queste posizioni di
Kasper, è vero, toccano solo la metafisica, la teologia e il dogma. Di recente
si è fatto conoscere un Kasper che, in vista del prossimo sinodo dei vescovi
sulla famiglia, a proposito del delicato problema dei divorziati risposati, ha
manifestato, in nome della “misericordia”, idee che hanno incontrato
opposizioni e critiche nell’ambito dello stesso collegio cardinalizio.
Il mio timore è che
le tesi lassiste di Kasper siano la conseguenza delle deviazioni di fondo
denunciate da me e da Padre Serafino. Inoltre, insultare la metafisica non è
senza conseguenze nel campo della fede, del dogma e della morale. E la vicenda
culturale e spirituale del Card. Kasper sembra esserne una prova conturbante ed
istruttiva.
P.
Giovanni Cavalcoli,OP
Fontanellato,
20 settembre 2014
[1] Al
riguardo mi permetto di segnalare il mio libro L’inferno esiste. La verità
negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010.
[2] Al
riguardo mi permetto di segnalare i miei studi IL MISTERO DELL’IMPASSIBILITA’
DIVINA, Divinitas, 2, 1995, pp.111-167; LA QUESTIONE
DELL’IMMUTABILITA’ DIVINA, in Rivista Teologica di Lugano, n.1,
marzo 2011, pp.71-93.
Fonte: Approfondimenti di Fides Catholica, 24.9.2014
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