Pubblichiamo volentieri dal blog Ora pro Siria, sebbene risalente al febbraio scorso ma ancora oggi attualissimo, la traduzione in italiano di un articolo, pubblicato sul The Indipendent della fine del 2013, in cui l'attuale martirio del popolo siriano cristiano viene giustamente affiancato a quello del genocidio armeno, che si consumò giusto un secolo fa e che vide milioni di vittime sacrificate dalla barbarie islamica. Queste ultime saranno canonizzate dalla Chiesa armena apostolica.
Questa immagine, scattata da un giornalista tedesco e conservata negli archivi del Vaticano, documenta il massacro delle donne cristiane armene nel deserto di Deir ez-Zor - Siria, il 24/04/1915 durante il genocidio da parte dei soldati turchi.
Genocidio armeno e genocidio siriano
Quasi
un secolo dopo il genocidio armeno, questo popolo è ancora massacrato in
Siria
di Robert Fisk
E ora, quasi sotto silenzio nei media, i loro luoghi sacri sono stati profanati
Proprio oltre 30 anni fa, ho tirato fuori dal terreno le
ossa e i crani delle vittime del genocidio armeno su una collina situata al di
sopra del fiume Khabur, in Siria. Erano persone giovani – i denti non erano
deteriorati – ed essi erano soltanto alcuni del milione e mezzo di armeni
massacrati durante il primo Olocausto del ventesimo secolo, la distruzione di
un popolo, deliberata, pianificata dai turchi Ottomani nel 1915.
Era difficile trovare queste ossa perché il fiume Khabur – a
nord della città siriana di Deir ez-Zour – era cambiato. Erano così tanti i
corpi ammucchiati nella sua corrente, che le acque andavano a est. Il fiume
aveva alterato il suo corso. Però gli amici armeni che erano con me hanno
presso i resti umani e li hanno sistemati nella cripta della grande chiesa
armena di Deir ez Zour dedicata alla memoria di quegli armeni che erano stati
uccisi – si vergogni lo stato turco “moderno” che nega ancora l’Olocausto – in
quell’omicidio di massa su scala industriale.
E ora, quasi non citati sui media, questi campi di
uccisioni di massa sono diventati i campi delle uccisioni di massa di una nuova
guerra. Sopra le ossa dei morti armeni si sta combattendo il conflitto siriano.
E i sopravvissuti, discendenti dei cristiani armeni, che hanno trovato rifugio
nelle vecchie terre siriane, sono stati costretti a fuggire di nuovo – in
Libano, in Europa, in America. Proprio la chiesa dove le ossa degli armeni
assassinati hanno trovato il loro presunto luogo finale di riposo, è stata
danneggiata durante la nuova guerra, sebbene nessuno conosca i colpevoli di
questa azione.
Ieri ho telefonato al Vescovo Armasi Nalbandian di Damasco
che mi ha detto che, mentre la chiesa a Deir ez-Zour era davvero stata
danneggiata, la cripta era rimasta intatta. La chiesa stessa, ha detto, era
meno importante del ricordo del genocidio armeno – ed è questo ricordo
che potrebbe essere distrutto. Ha ragione. Ma la chiesa – un edificio non
bellissimo, devo dire – è tuttavia un testimone, un monumento che ricorda
l’Olocausto degli armeni, e ogni pezzetto è sacro quanto il monumento Yad
Vashem alle vittime dell’Olocausto in Israele. E sebbene lo stato israeliano,
con una infamia equivalente a quella dei turchi, sostenga che il genocidio
armeno non è stato un genocidio, gli israeliani stessi usano la parola Shoah
-Olocausto – per le uccisioni degli armeni.
Ad Aleppo, una chiesa armena è stata danneggiata
dal Libero esercito siriano, i ribelli “buoni” che combattono il regime di
Bashar al-Assad, finanziati e armati dagli americani e anche dagli arabi
sunniti del Golfo.
Però a Raqqa, la sola capitale regionale che è stata del
tutto conquistata dall’opposizione in Siria, i combattenti Salafiti hanno
distrutto la Chiesa cattolica dei Martiri e hanno incendiato i suoi arredi.
E – Dio ci risparmi il pensiero – molte centinaia di
combattenti turchi, discendenti degli stessi turchi che hanno tentato di
distruggere la razza armena nel 1915, si sono ora uniti ai combattenti
affiliati ad al-Qa’ida che hanno attaccato la chiesa armena. La croce in cima
alla torre campanaria è stata distrutta per essere sostituita con la bandiera
dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante.
E non è tutto. L’11 novembre, quando il mondo rendeva
omaggio ai morti della Grande Guerra, che non aveva dato agli armeni lo stato
che si meritavano, una bomba da mortaio è caduta fuori dalla Scuola Nazionale
armena dei Sacri Traduttori, a Damasco,* e altre due sono cadute su degli
scuolabus, provocando la morte di due scolari armeni: Hovahannes Atokanian e
Vanessa Bedros. Il giorno dopo, i passeggeri armeni di un autobus che
viaggiava da Beirut ad Aleppo, sono stati derubati sotto la minaccia delle
armi. Due giorni dopo, Kevork Bogasian è stato ucciso da una bomba di mortaio
ad Aleppo. Il bilancio delle vittime armene in Siria è soltanto di
65, ma suppongo che potremmo calcolarlo in 1.500.065. Più di cento armeni sono
stati rapiti. Gli armeni, naturalmente, come molti altri cristiani in Siria,
non appoggiano la rivoluzione contro il regime di Assad, anche se non
potrebbero certo essere chiamati sostenitori di Assad.
Fra due anni commemoreranno il centesimo anniversario del
loro Olocausto. Ho incontrato molti sopravvissuti, oramai tutti morti. Però lo
stato turco, con il suo appoggio all’attuale rivoluzione in Siria, celebrerà la
sua vittoria a Gallipoli in quello stesso anno (1915), una battaglia
eroica in cui Mustafa Kemal Ataturk ha salvato il suo paese dall’occupazione
alleata. Anche gli armeni hanno combattuto in quella battaglia – con l’uniforme
dell’esercito turco, naturalmente – ma scommetterò quanti dollari volete che
nel 2015 essi non saranno ricordati dallo stato turco che doveva così presto
distruggere le loro famiglie.
Fonte: Blog OraproSiria, 7.2.2014
* * * * * * * * * *
Ecco l'articolo originario in inglese:
Nearly a
century after the Armenian genocide, these people are still being slaughtered
in Syria
And now, almost unmentioned
in the media, their holy places are also being desecrated
Robert Fisk
The Armenian St. Kevork Church (Saint George) is seen in the northern Syrian city of Aleppo, on October 30, 2012, after it was burnt during fighting between rebel fighters and Syrian government forces
Just over 30 years ago, I dug the bones and skulls of
Armenian genocide victims out of a hillside above the Khabur River in Syria.
They were young people – the teeth were not decayed – and they were just a few
of the million-and-a-half Armenian Christians slaughtered in the first
Holocaust of the 20th century, the deliberate, planned mass destruction of a
people by the Ottoman Turks in 1915.
It was difficult to find
these bones because the Khabur River – north of the Syrian city of Deir ez-Zour
– had changed. So many were the bodies heaped in its flow that the waters moved
to the east. The very river had altered its course. But Armenian friends who
were with me took the remains and placed them in the crypt of the great
Armenian church at Deir ez-Zour, which is dedicated to the memory of those
Armenians who were killed – and shame upon the “modern” Turkish state
which still denies this Holocaust – in that industrial mass murder.
And now, almost unmentioned in the
media, these ghastly killing fields have become the killing fields of a new
war. Upon the bones of the dead Armenians, the Syrian conflict is being fought.
And the descendants of the Armenian Christian survivors who found sanctuary in
the old Syrian lands have been forced to flee again – to Lebanon, to Europe, to
America. The very church in which the bones of the murdered Armenians found
their supposedly final resting place has been damaged in the new war, although
no one knows the culprits.
Yesterday, I called Bishop Armash
Nalbandian of Damascus, who told me that while the church at Deir ez-Zour was
indeed damaged, the shrine remained untouched. The church itself, he said, was
less important than the memory of the Armenian genocide – and it is this memory
which might be destroyed. He is right. But the church – not a very beautiful
building, I have to say – is nonetheless a witness, a memorial to the Holocaust
of Armenians every bit as sacred as the Yad Vashem memorial to the victims of
the Jewish Holocaust in Israel. And although the Israeli state, with a shame
equal to the Turks, claims that the Armenian genocide was not a genocide,
Israelis themselves use the word Shoah – Holocaust – for the Armenian
killings.
In Aleppo, an Armenian church has
been vandalised by the Free Syrian Army, the “good” rebels fighting Bashar
al-Assad’s regime, funded and armed by the Americans as well as the Gulf Sunni
Arabs. But in Raqqa, the only regional capital to be totally captured by the
opposition in Syria, Salafist fighters trashed the Armenian Catholic Church of the
Martyrs and set fire to its furnishings. And – God spare us the thought – many
hundreds of Turkish fighters, descendants of the same Turks who tried to
destroy the Armenian race in 1915, have now joined the al-Qa’ida-affiliated
fighters who attacked the Armenian church. The cross on top of the clock tower
was destroyed, to be replaced by the flag of the Islamic State of Iraq and the
Levant.
Nor is that all. On 11 November,
when the world honoured the dead of the Great War, which did not give the
Armenians the state they deserved, a mortar shell fell outside the Holy
Translators Armenian National School in Damascus and two other shells fell on
school buses. Hovhannes Atokanian and Vanessa Bedros, both Armenian
schoolchildren, died. A day later, a bus load of Armenians travelling from
Beirut to Aleppo were robbed at gunpoint. Two days later, Kevork Bogasian was
killed by a mortar shell in Aleppo. The Armenian death toll in Syria is a mere
65; but I suppose we might make that 1,500,065. More than a hundred Armenians
have been kidnapped. The Armenians, of course, like many other Christians in
Syria, do not support the revolution against the Assad regime – although they
could hardly be called Assad supporters.
Two years from now, they will
commemorate the 100th anniversary of their Holocaust. I have met many
survivors, all now dead. But the Turkish state, supporting the present
revolution in Syria, will be memorialising its victory at Gallipoli that same
year, a heroic battle in which Mustafa Kemal Ataturk saved his country from
Allied occupation. Armenians also fought in that battle – in the uniform of the
Turkish army, of course – but I will wager as many dollars as you want that
they will not be remembered in 2015 by the Turkish state which was so soon to
destroy their families.
Hitchhikers’
guide to bad old Iran
While we all bask in the glow of happy relations with Iran, it might be well to read – in four months’ time, unless their publishers have the common sense to bring it forward – a remarkable book by Shane Bauer, Josh Fattal and Sarah Shourd.
They – and you may not remember this
– were the hitchhikers who “strayed” into Iran in 2009 from Iraqi Kurdistan.
Sarah (pictured below with Shane) was released first and she called me on the
phone to talk about her fiancé, Shane, and to ask if The Independent could help
secure the two men’s release. We published some of Shane’s journalism – I made
a point of telling the Iranian ambassador in Beirut to read it – and, with or
without The Independent’s help, they were both released. I was delighted.
They had been arrested during the
presidency of the lunatic Ahmadinejad, and it’s clear from their book that they
were lured over the border by Iranian frontier guards. One of them eventually
emailed Sarah that this was the case.
But their incarceration, their
vicious solitary confinement – a form of torture if ever there was one – and
their relations, not just with their fellow condemned prisoners but with their
guards, is a remarkable story.
Sarah quickly worked out, back in
freedom, that the US government was not their natural friend; there are some
sharp words about the “peacemaker” Dennis Ross. A good book – which I
rarely say – and it’s called A Sliver of Light. A Fisk read.
Nessun commento:
Posta un commento