Sante Messe in rito antico in Puglia

sabato 4 ottobre 2014

"Francíscus pauper et húmilis, cælum dives ingréditur, hymnis cæléstibus honorátur" (Allel.) - SANCTI FRANCISCI ASSISIENSIS



Innocenzo III avrebbe, si dice, visto in sogno un povero, i piedi nudi ed i fianchi cinti da un’"umile corda", che, con le sue spalle possenti, sosteneva il grandioso, ma caduco edificio del Patriarchium del Laterano (FF 603, 1063-1064, 1342, 1460, 2139).
Questo sogno fu una profezia ed un simbolo. In un secolo di violenze e di ambizioni, allorché la società cristiana aveva dimenticato il discorso evangelico delle Beatitudini, e che l’orgoglio feudale aveva corrotto perfino l’atmosfera del chiostro e del santuario, Francesco, il povero di Assisi, lo stigmatizzato, si levò in mezzo a folle cristiane, per annunciare loro nuovamente il Vangelo del Regno e predicare semplicemente il Cristo crocifisso.
In questa risiede la grandezza e la cattolicità dell’opera del figlio di Pietro Bernardone, e tutto il carattere soprannaturale della sua missione. Prima di lui, numerose sette di eretici, in Francia soprattutto, erano sorte per rimproverare alla Chiesa il suo fasto mondano e le sue ricchezze. Per riformare il clero, esse volevano operare una rivoluzione insanguinata, allo scopo di portarla con la forza a quello stato di povertà evangelica in cui si erano trovati Pietro e Paolo allorché erano nelle prigioni di Nerone.
Questa missione, essendo illegittima e contraria ai voleri di Dio, non approdò a niente. Quella di san Francesco, al contrario, ci riuscì; in luogo di proclamare la rivoluzione contro la sua madre Chiesa, egli cominciò con l’offrire in se stesso quell’esempio di conversione di distacco dalle vanità secolari che erano allora universalmente reclamate non solo dagli eretici ma pure dai fedeli.
Per riformarsi, la Chiesa non aveva bisogna di nulla prendere al di fuori: essa aveva in se stessa tutti i principi direttivi, tutte le forze necessarie per vivere di una vita potente e divina che sfida i tempi. È per questo che, nel XIII sec., senza il concorso di principi né di pseudo-predicatori, ma col semplice esempio ed alla sola parola evangelica di Francesco, il popolo cristiano fu riformato ed una corrente potentissima di spiritualità mistica si aprì nella Chiesa.
Ai tempi nuovi, ai nuovi bisogni, occorrevano dei nuovi rimedi.
Nei secoli passati dell’Alto Medioevo, esistevano l’alto clero, le potenti abbazie benedettine, il feudo, ma la plebe od il popolo, per dir così, non esistevano, e su di esso pesava un lungo codice di doveri, senza che una lista di diritti vi corrispondesse. A quest’antica società, formata di aristocrazia ecclesiastica e laica che parlava e scriveva ancora nella lingua di Virgilio e di Leone Magno, satura di filosofia greca e di teologia patristica, erano familiari i simboli apocalittici dell’essenza di Dio, della sua unità e della sua Trinità, dipinti nelle absidi delle basiliche.
Ma i tempi erano cambiati. Alla fine dell’XI sec., nei regesta e nelle cronache, intendiamo come il mormorio di una nuova vita che invade la terra. È il popolo, questi sono i minores dei nostri comuni, che, essendo emancipati dai nobili – i maiores – affermano anche i loro diritti e pensano che il sistema feudale scomparendo, l’avvenire è ormai per la democrazia.
A questo popolo italiano ancora giovane, semplice e capriccioso, bisognava dunque parlare un nuovo linguaggio spirituale, più adatto alla sua intelligenza.
Per salire alla contemplazione giovannea della divinità, era assolutamente necessario fare affidamento su l’umanità ed è allora che San Francesco, a San Damiano, a Greccio ed a La Verna, popolarizzò il culto della santa umanità del Redentore, che d’ora in poi appassionerà la famiglia cattolica e giungerà sino al punto culminante delle grandi rivelazioni di Paray-le-Monial.
Ecco il merito, la novità, il carattere, del movimento francescano primitivo, come si rifletté sulla letteratura, sull’arte, sull’insegnamento delle università, sulla vita comunale, tanto che san Francesco può essere considerato come il rappresentante provvidenziale della riforma ecclesiastica nel XIII sec. ed il punto di partenza di un’epoca nuova nella storia della Chiesa.
Diciamo: dalla Chiesa, perché questa è un’altra caratteristica della missione del Poverello di Assisi. La sua riforma non è stata effettuata per mezzo di forze estranee, come volevano gli eretici, ma nel seno della Chiesa cattolica, e per mezzo di colui che personificava la testa e il cuore della famiglia di Cristo. Il cardinale Ugolino, divenuto Gregorio IX, divenne amico e confidente del Poverello, e che lo doveva canonizzare un giorno, fu messo a suo fianco, dobbiamo crederlo, per Provvidenza divina, affinché portasse aiuto alla semplicità di Francesco, e così l’autorità papale stessa dirigesse fin dalla sua nascita, e canalizzasse nelle arterie della Chiesa, questa potente corrente di vita nuova e mistica evangelica restaurata dal Santo.


José Jiménez Aranda, Penitenti nella Basilica inferiore di S. Francesco in Assisi, 1874, Museo del Prado, Madrid

Francesco morì la sera di sabato, 3 ottobre 1226, come si è ricordato nel giorno della vigiliae fu canonizzato tre anni dopo da papa Gregorio IX, che volle erigere sulla sua tomba un notevole mausoleo ricco di arte e di pietà, per testimoniare la grandezza trascendente della figura del suo santo amico.
Il principale santuario dedicato a Francesco nella Roma cristiana è senz’altro la chiesa di San Francesco a Ripa. Essa sorge nella parte meridionale del quartiere di Trastevere, sul luogo in cui esisteva un ospizio-ospedale – annesso ad una chiesa dedicata a san Biagio (San Biagio de Hospitale) e ad un monastero benedettino – nel quale il Poverello risiedé nel 1219 ed al quale venne dedicata pochi anni dopo, quando passò ai francescani (1229) per interessamento di Jacopa (o Giacoma) Frangipane de’ Settesoli (frate Jacopa, come la chiamava san Francesco), la quale aveva più volte aiutato a Roma il Santo assisiate ed assistito sino alla morte. Nel 1231 l’ospizio fu trasformato in convento e la chiesa fu riedificata e divenne questa la prima sede dei Francescani a Roma (M. Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vatican, Roma 18912, pp. 666-667; C. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 253). Deve il suo nome alla vicinanza con il Porto di Ripa Grande, i cui resti sono oggi visibili dal Ponte Sublicio e da Lungotevere Testaccio.
Un’altra chiesa è quella delle Santissime Stimmate di San Francesco, nel rione Pigna, un tempo intitolata ai Santi Quaranta Martiri de calcarario e dedicata al Santo di Assisi nel ‘700 (Ibidem, pp. 425-426).
Un’altra è denominata San Francesco d’Assisi a Monte Mario ed è situata nel borgo clementino (M. Armellini, op. cit., pp. 842-843).
Una quarta chiesa è stata dedicata al Santo di Assisi nel 2001: San Francesco d’Assisi ad Acilia.
Una lode speciale fu data a Francesco dai nostri padri: questa fu il titolo di vir catholicus et totus apostolicus. In effetti, la sua regola inizia con una solenne promessa di obbedienza al papa Onorio III. Inoltre, perché l’azione riformatrice del Poverello apparisse per quello che era realmente, un’azione riformatrice della Chiesa stessa, Francesco ricevette fin dalla prim’ora, su ordine del Papa, la tonsura clericale e più tardi fu – pare – rivestito del diaconato, sentendosi indegno del sacerdozio (cfr. FF 470, 1063, 1186). A tal riguardo va ricordato che Francesco aveva accolto fin dall’inizio della sua missione frati sacerdoti (come ad es. frate Silvestro, FF 696, 1433) e che il Cardinale di San Paolo, Giovanni Colonna, ottenne per il poverello di Assisi e gli undici la tonsura, come si legge nella Leggenda dei tre Compagni (FF 1460 e 1461) e negli Atti dell’Anonimo Perugino (FF 1528), appunto perché fossero aggregati al clero per rendere più agevole la predicazione del Serafico Padre e dei suoi frati nelle chiese. Non è da escludere che lo stesso Vescovo d’Assisi, che lo aveva preso in tutela, gli avesse affidato un sacerdote a vigilare ed a sostenere il gruppo.
Non è, dunque, improbabile che, per facilitare il compito, lo stesso vescovo, o addirittura il Papa, avessero ordinato diacono il Poverello d’Assisi. Scrive infatti il Celano nella sua Vita prima a proposito del Natale del 1223 di Greccio: «Induitur sanctus Dei leviticis ornamentis, quia levita erat, et voce sonora sanctum Evangelium cantat …», «Francesco [il santo di Dio] si veste da levita, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo …» (FF 470 cit.).
È probabile che, quando si era recato in Egitto, nel 1219, fosse già diacono, poiché non portò con sé armi, stante il divieto per i sacri ministri di indossare armi di sorta.
La tonsura fu comunque un atto di totale abbandono alla Chiesa ed un dichiarato distacco dai legami dal mondo; insomma Francesco e i suoi undici frati dovevano vivere senza troppi stretti legami con le famiglie e considerarsi chierici a tutti gli effetti. Il Santo di Assisi, comunque, racconta il Celano nella sua Vita seconda, voleva che la chierica gli fosse fatta piccola, diffidando a tale scopo il barbiere dal fargliela grande: «Cave, ne mihi magnam coronam facias! Volo enim, quod fratres mei simplices partem habeant in capite meo» «Bada di non farmi una corona troppo larga! Perché voglio che i miei frati semplici abbiano parte del mio capo» (FF 779).



Colantonio, S. Francesco consegna la Regola ai SS. Antonio da Padova e Chiara, 1445-46, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

Filippino Lippi ed assistenti, S. Francesco in gloria, 1504 circa, Kress Collection, Memphis Brooks Museum of Art, Memphis

Giacomo e Giulio Francia, SS. Girolamo, Margherita di Pisidia e Francesco d'Assisi, 1518, Museo del Prado, Madrid


Moretto da Brescia, S. Margherita d'Antiochia di Pisidia tra i SS. Girolamo e Francesco, 1530 circa, Chiesa di S. Francesco d'Assisi, Brescia


Moretto da Brescia, Madonna in gloria col Bambino tra i SS. Caterina d'Alessandria e Chiara, Girolamo, Bernardino da Siena, Nicola da Bari, Francesco d'Assisi e Giuseppe, c.d. Pala di Londra, 1540 circa, National Gallery, Lodnra

Carlo Cerasa, Madonna con Bambino e SS. Giuseppe, Francesco e Carlo Borromeo, Chiesa di S. Caterina, Bergamo


Francisco de Zurbarán, S. Francesco in meditazione dinanzi al Crocifisso, XVII sec.


Francisco de Zurbarán, S. Francesco in meditazione dinanzi al Crocifisso, 1650-55, Galería Caylus, Madrid


Guido Reni, Vergine con il Bambino in gloria e SS. Patroni di Bologna (Petronio, Ignazio di Loyola, Procolo, Francesco d'Assisi, Francesco Saverio, Domenico e Floriano), c.d. Pallione del voto della peste, detta anche semplicemente Pala della peste, 1630, Pinacoteca Nazionale, Bologna


Pieter Paul Rubens e suo ambito, S. Francesco e la Vergine fermano i fulmini del Cristo sul mondo peccatore, 1635, Musée Royal des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles


Pieter Paul Rubens, S. Francesco, 1635, Musée des Beaux-Arts de Strasbourg, Strasburgo

Anonimo italiano, S. Francesco d'Assisi, 1615-35, Museu Nacional d'Art de Catalunya, Barcellona

Juan Martín Cabezalero, Passaggio della vita di S. Francesco, XVII sec., Museo del Prado, Madrid


Juan Van Der Hamen, Apparizione dell’Immacolata Concezione a S. Francesco d’Assisi, 1630

Jacob van Oost il Vecchio, Sacra Famiglia con S. Francesco, 1665


Giovanni Battista Trotti detto Il Malosso, Madonna col Bambino in gloria tra i SS. Ambrogio e Francesco, 1591

Giulio Cesare Procaccini, Madonna col Bambino ed angeli tra i SS. Francesco e Domenico, 1612 circa

Domenichino, Madonna col Bambino e S. Francesco, 1621-25 circa

Domenico Piola, Madonna col Bambino e S. Francesco, XVII sec.

Vincenzo Manenti, SS. Giovanni Battista e Francesco, 1635-40 circa


Antonio Carnicero Mancio, Apparizione della Vergine col Bambino a S. Francesco, 1788-89, Museo del Prado, Madrid

Benito Mercadé y Fábregas, Traslazione del corpo di S. Francesco, 1866, Museo del Prado, Madrid

Francesco Podesti, S. Francesco, 1860-80 circa, chiesa di S. Giovanni Battista, Isola di Brescia

Albert Chevallier Tayler, S. Francesco, 1895-98, collezione privata

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