Interessante riflessione, ripresa in lingua inglese dall'immancabile e lodabile blog Rorate caeli:
IL PAPA È
SOLO IL VICARIO
Strategie di sopravvivenza in
tempi di “eclissi del Papato” secondo il pensiero di padre Calmel
di Cristiana de Magistris
Quando, negli anni del Concilio Vaticano II e dell’immediato
post-Concilio, venti rivoluzionari soffiavano sulla Chiesa di Cristo, un
teologo domenicano, padre Roger-Thomas Calmel, levò il suo vessillo
contro-rivoluzionario e, con la sua penna e con la sua parola, fece sentire la
sua voce che invitava i fedeli alla resistenza nella fedeltà inflessibile alla
Tradizione di sempre con un atteggiamento spirituale di pace e finanche di
gioia nella prova.
Il messaggio di padre Calmel non ha mai cessato di essere attuale.
Ma torna di particolare interesse quando – ed è il nostro caso – su verità
“sempre, ovunque e da tutti” affermate inizia ad aleggiare il soffio funesto
del dubbio, a partire dai vertici della gerarchia cattolica.
Padre Calmel, spirito profetico come pochi negli ultimi 50 anni,
aveva previsto questa tragica possibilità ed aveva messo in guardia i fedeli
fornendo loro le armi per rimanere fedeli alla Chiesa di sempre ed evitare in
tal modo la tentazione del sedevacantismo o quella ancor più funesta della
disperazione.
Poiché si tratta di una crisi dell’autorità, dal momento che gli
errori vengono propugnati da chi avrebbe il compito di condannarli, il punto di
partenza, fondamentale ed imprescindibile, è comprendere a fondo fin dove
arrivi il potere dell’Autorità, a partire dal suo vertice, il Papa.
Padre Calmel precisa anzitutto che il Capo della Chiesa è uno
solo, Nostro Signore Gesù Cristo, che “è sempre
infallibile, sempre senza peccato, sempre santo […]. È lui il solo Capo, perché
tutti gli altri, compreso il più alto, non hanno autorità se non da Lui e per
Lui”. Salendo al cielo, questo Capo invisibile ha lasciato alla sua Chiesa un
Capo visibile come suo Vicario, il Papa, “che solo gode della giurisdizione
suprema”. “Se però il Papa è il Vicario di Gesù, […],
egli è soltanto il Vicario: vicens regens, tiene il posto di Gesù Cristo, ma resta altro
da Lui”. Evidentemente il Papa ha prerogative del tutto eccezionali, custodendo
i mezzi della grazia, i sacramenti, e la Verità rivelata. Gode, in certi casi
ben circoscritti e determinati, dell’infallibilità. Per il resto, “può mancare
in molti casi”. La storia della Chiesa – a parte un manipolo di
Papi santi e un numero ridotto di papi indegni – è piena di Papi mediocri e
manchevoli. Ciò non deve né spaventare né sorprendere. Al contrario, è proprio
nella debolezza, e talvolta anche nell’indegnità, dei papi che risalta la
signoria del nostro Salvatore, il Quale rimane il solo Capo della Chiesa, sulla
quale esercita il suo governo “tenendo in mano anche i Papi insufficienti e
contenendo la loro insufficienza in limiti invalicabili”.
Ora, avverte padre Calmel, perché questa fiducia nel Capo
invisibile della Chiesa sia così profonda da superare tutte le possibili
deficienze del suo Vicario in terra, occorre che la nostra vita spirituale “sia
riferita a Gesù Cristo e non al Papa; che la nostra vita interiore, la quale
abbraccia – non serve dirlo – anche il Papa e la gerarchia, sia fondata non
sulla gerarchia e sul Papa, ma sul divino Pontefice […] dal Quale il Vicario
visibile supremo dipende ancor più degli altri sacerdoti”.
E ciò per una ragione a tutti evidente e quanto mai elementare: “La
Chiesa – scrive
quest’illustre figlio di san Domenico – non
è il corpo mistico del Papa. La Chiesa, col Papa, è il corpo mistico di Cristo.
Quando la vita interiore dei cristiani è sempre più orientata a Gesù Cristo,
essi non cadono nella disperazione, anche quando soffrono fino all’agonia delle
manchevolezze d’un papa, sia egli un Onorio I o i papi antagonisti della fine
del Medio Evo; sia egli, nel caso limite, un papa che manca secondo le nuove
possibilità offerte dal modernismo”. Quand’anche un papa giungesse
al limite estremo di cambiare la Fede “o per accecamento o per spirito di
chimera o per un’illusione mortale” (tra le tante offerte dal modernismo),
ebbene “il papa che arrivasse a questo punto non toglierebbe al Signore
Gesù il suo governo infallibile, che tiene in mano anche lui, papa sviato, e
gli impedisce di impegnare fino alla perversione della fede l’autorità ricevuta
dall’alto”.
Ma anche in questi sventurati casi, la vita interiore dei
cristiani non può escludere il Papa, senza con ciò cessare di essere cristiana.
Un’autentica vita interiore, centrata necessariamente su Gesù Cristo, include
sempre il suo Vicario e l’obbedienza a lui dovuta, ma “questa obbedienza, lungi
dall’essere incondizionata, è sempre praticata alla luce della fede teologale e
della legge naturale”.
E qui entra in gioco lo spinoso problema dell’obbedienza al
Vicario di Cristo. Spinoso, nota ancora una volta padre Calmel, solo per chi
ignori o voglia ignorare gli articoli della Fede cattolica riguardanti il Sommo
Pontefice. Occorre anzitutto ricordare che ogni cristiano vive “per
mezzo di Gesù Cristo e per Gesù Cristo, grazie alla sua Chiesa, che è governata
dal Papa, al quale obbediamo in tutto ciò che è di sua competenza. Non viviamo
affatto per mezzo e per il Papa, quasi ci avesse lui acquistato la redenzione
eterna; ecco perché l’obbedienza cristiana non può né sempre né in tutto
identificare il papa con Gesù Cristo”.
Un cristiano che voglia incondizionatamente esser gradito al Papa,
in tutto e sempre “è necessariamente abbandonato al rispetto
umano” e si “espone a molte superficialità e complicità”.
È pur vero, riconosce il teologo domenicano, che si è spesso predicato
un’obbedienza al Vicario di Cristo che ha più il lezzo del servilismo che il
profumo della virtù, talvolta per far carriera, o per preparare la propria
testa al cappello cardinalizio, o per dare lustro al proprio Ordine o alla
propria Congregazione. Ma, notiamo bene, “né Dio né il servizio del Papa
hanno bisogno della nostra menzogna: Deus
non eget nostro mendacio”. Occorre sempre ricordare la
subordinazione dell’obbedienza alla Verità e dell’autorità alla Tradizione. Il
Papa, come tutti gli uomini di Chiesa, non può usare legittimamente della sua
autorità se non per definire o chiarire verità che sono sempre state insegnate.
Se si allontanasse da questo sentiero, cesserebbe il dovere della nostra
obbedienza e varrebbe il monito di san Pietro: “Bisogna obbedire a Dio invece
che agli uomini” (At 5,29)[1].
Il Papa – in quanto papa – non è sempre infallibile e – come uomo
– non è mai impeccabile. “Non bisogna scandalizzarsi se prove, talvolta
molto crudeli, sopraggiungono alla Chiesa proprio da parte del suo capo
visibile. Non bisogna scandalizzarsi se, benché soggetti al Papa, non possiamo
tuttavia seguirlo ciecamente, incondizionatamente, in tutto e sempre”.
Ma che fare allora se una situazione di tal genere divenisse la triste e
sventurata realtà? In tal caso bisogna ancor più fortemente orientare la
propria vita interiore all’unico Redentore e Signore del mondo, nutrendosi
della Tradizione apostolica, con i suoi dogmi, del suo immortale Messale e del
Catechismo, oltre che della preghiera e della penitenza.
D’altro canto, la Rivelazione non ha mai insegnato che il Vicario
di Cristo è immune dall’infliggere alla Chiesa prove di tal genere. Ed il modernismo,
imperante da cinquant’anni, certamente è un terreno fertile per farle
germogliare. Ma, se ciò avvenisse – come pare stia avvenendo –, benché una
sorta di smarrimento e di vertigine assalga l’anima dei fedeli, bisogna
ricordare che la Chiesa è la Sposa di Cristo ed è Lui che – nonostante gli
umani cedimenti – la guida nella sua ineffabile e spesso a noi incomprensibile
provvidenza. Padre Calmel paragona lo stato della nostra vita interiore
sopraffatta da una simile prova alla preghiera del Signore Gesù nel Getsemani,
quando disse agli apostoli mentre avanzava la soldataglia: Sinite usque huc (Lc 22,51). “È come se il Signore dicesse:
Lo scandalo può arrivare fino a questo punto; ma lasciate e, secondo la mia
raccomandazione, vegliate e pregate… Col mio consenso a bere il calice, vi ho
meritato ogni grazia, mentre eravate addormentati e mi avete lasciato solo; vi
ho ottenuto in particolare una grazia di forza soprannaturale, che sia a misura
di tutte le prove, anche della prova che può venire alla Santa Chiesa da parte
del Papa. Io vi ho reso capaci di sfuggire a questa vertigine”.
L’anima cristiana che fondi la propria vita interiore sulla
Tradizione perenne non ha da temere, anche in quella che padre Calmel ritiene
la peggiore delle prove per la Chiesa: il tradimento del suo Vicario.
Con l’ottimismo proprio delle anime sante, pur riconoscendo
l’immane tragedia che attanaglia la Sposa di Cristo, egli ritiene tuttavia una
grazia vivere in questi tempi di prova, nei quali la sofferenza più grande dei
figli della Chiesa è esattamente quella di non poter seguire il Papa come
desidererebbero. “Noi siamo figli docili del Papa, ma ci
rifiutiamo di entrare in complicità con le direttive papali che inducono al
peccato”. Il cardinal Caietano non esita ad affermare che “Bisogna
resistere al Papa che pubblicamente distrugge la Chiesa”. Si tratta, in questi
casi, di una sorta di “eclissi del Papato”. Questa prova però, nota padre
Calmel, non potrà essere “né totale né troppo lunga” e –
soprattutto – “noi abbiamo la grazia di santificarci”
in questa eclissi nella quale la Chiesa resta la Sposa di Cristo, nonostante
tutto. Com’era sua abitudine, elevava lo sguardo verso il Cielo e diceva: “Abbiamo
la grazia di soffrire e di resistere senza farne una tragedia. La Vergine Santa
ci difende”.
Dunque, che cosa fare? I veri figli della Chiesa, quanto più
desiderano rivedere la loro Madre rivestita del suo glorioso splendore, a
partire dal suo Capo visibile, tanto più devono mettere la loro vita, con la
grazia di Dio e conservando la Tradizione, sul solco dei Santi. “Allora
il Signore Gesù finirà con l’accordare al gregge il pastore di cui esso si sarà
sforzato di rendersi degno. All’insufficienza o alla defezione del Capo non
aggiungiamo la nostra negligenza personale. Che la Tradizione apostolica viva
almeno nel cuore dei fedeli anche se, sul momento, languisce nel cuore e nelle
decisioni di chi ne è il responsabile a livello di Chiesa. Allora certamente il
Signore ci userà misericordia”. Quella vera.
[1] Il 15 aprile 2010, Benedetto XVI, commentando
questo passo degli Atti, nell’omelia ha detto: “San Pietro sta davanti alla
suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire, ma
Dio sta al di sopra di questa istituzione e Dio gli ha dato un altro
“ordinamento”: deve obbedire a Dio. L’obbedienza a Dio è la libertà,
l’obbedienza a Dio gli dà la libertà di opporsi all’istituzione”.
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