Pubblico volentieri un interessante
saggio di Cristina Siccardi, la quale ricorda come solo la Chiesa, nella
storia, si sia mostrata pienamente indipendente rispetto all’autorità civile
per quanto concerne anche la materia matrimoniale. La studiosa cattolica
esamina, in effetti, un caso poco noto, che mostra come la pretesa superiorità
morale del luteranesimo sia davvero infondata.
La dottrina di Lutero, in fondo,
snaturava, tra l’altro, la concezione stessa del matrimonio, intesa come unione
di un uomo ed una donna, negandone la natura sacramentale e la necessaria unità
(v. R. G. de Haro, Matrimonio & famiglia nei documenti del
Magistero. Corso di teologia matrimoniale, Milano 20002, p. 58).
Ricorda, a tal riguardo, l’autorevole Dictionnaire
de Theologie catholique, che Lutero giunse persino ad ammettere, sulla base
delle Scritture, la poligamia (Cfr. G. Le
Bras, Mariage (La
doctrine au temps chez les Théologiens et les Canonistes depuis l’an mille),
in (a cura e sotto la direzione di) A.
Vacant-E. Mangenot-E. Amann, Dictionnaire de théologie
catholique, contenant l’exposé des doctrines de la théologie catholique, leurs
preuves et leur histoire, IX, t. II, Paris 1927, coll. 2123-2317, partic. col.
2226). Egli, in effetti, acconsentì a che il suo protettore, il langravio
Filippo I d’Assia, detto il Magnanimo
o l’Altezzoso, si sposasse con una seconda
moglie (con discrezione, per evitare
lo scandalo). Questi, invero, che aveva aderito al luteranesimo dal 1521, era
già maritato con Cristina di Sassonia (figlia del Duca di Sassonia) sin dall’11
dicembre 1523 e dalla quale aveva avuto dieci figli, allorché sposò
morganaticamente – su permesso dei luterani e della stessa prima moglie! – il 4
marzo 1540 la diciasettenne Margarethe von der Saale, di cui si era invaghito e dalla quale ebbe
nove figli, soddisfacendo così – con due mogli contemporaneamente – i propri
vizi.
Filippo d'Assia, 1534-39 circa |
Matthäus Merian, Filippo d'Assia, XVI sec. |
Margarethe von der Saale |
Poche settimane più tardi, tuttavia, l’intera
vicenda venne resa pubblica dalla sorella di Filippo, Elisabetta, causando un’impressione
negativa in tutta l’area tedesca: alcuni alleati del langravio si rifiutarono
di continuare a servirlo e lo stesso Lutero, che l’aveva autorizzato a compiere
il passo della bigamia, da quel voltagabbana che era, si rifiutò di confermare
il proprio coinvolgimento nella questione, con la scusa che il suo era stato un
consiglio reso all’interno del confessionale [sic!].
* * * * * * * *
«Io non mi lascerò dominare da nulla»
di Cristina Siccardi
La coscienza di ogni individuo che segue i principi del Creatore è quella
che segue la Verità, portatrice di libertà (Gv 8, 32); la «libertà di coscienza» di ogni individuo che segue i
propri voleri e i propri piaceri è quella che rende la vita avviluppata di
problemi e di infelicità. Tuttavia l’individuo, anche cristiano, si ribella e
vuole imporre la sua volontà, sfidando Dio e corrompendo, di peccato in
peccato, la sua splendente innocenza battesimale.
C’è
chi, pur conducendo una vita licenziosa, vuole a tutti i costi vedere
legittimati i propri atti dissoluti. Esistono casi eclatanti nella storia, come quello di Enrico VIII, la
cui scelta di divorziare da Caterina d’Aragona per contrarre nuovo matrimonio
con Anna Bolena originò uno scisma all’interno della Chiesa.
Tuttavia
un fatto similare avvenne anche nel Protestantesimo stesso; mentre quest’ultimo, però, si piegò alle voglie di
Filippo I d’Assia, la Santa Sede di Roma non si piegò a quelle di Enrico VIII.
Fu così che il Parlamento inglese approvò gli atti che sancirono la frattura
con Roma nella primavera del 1534. In particolare l’Act of
Supremacy stabilì che il Re è «l’unico Capo Supremo della
Chiesa d’Inghilterra» e il Treasons Act dello
stesso anno rese alto tradimento, punibile con la morte, il rifiuto di
riconoscere il Sovrano come tale: molti martiri persero la vita sul patibolo
per tale ragione, fra questi san Tommaso Moro.
Alcuni
anni prima di tali fatti storici, il Langravio Filippo I d’Assia, dopo poche settimane dal suo matrimonio con la
malaticcia e poco piacente Cristina di Sassonia, che probabilmente abusava
anche di alcool, commise adulterio e nel 1526 iniziò a considerare l’ammissibilità
della bigamia. Scrisse quindi a Martin Lutero per chiedergli la sua opinione in
merito, portando come precedente la pratica della poligamia tra i patriarchi
dell’Antico Testamento.
Lutero
rispose che per un cristiano non era sufficiente considerare gli atti dei
patriarchi, ma che, come per i patriarchi, era necessaria una speciale sanzione
divina.Poiché nel caso
specifico tale sanzione non esisteva, l’eresiarca gli raccomandò di non
incorrere in un matrimonio poligamo. Ma Filippo non abbandonò il suo progetto,
né tantomeno uno stile di vita basato sul libertinaggio che, per anni, gli
impedì di accostarsi alla comunione luterana (memoria dell’ultima cena di
Cristo), dove non avviene la transustanziazione, poiché Lutero la negò.
Entrò
quindi in scena Melantone con il caso di Enrico VIII: il riformatore propose
che le “difficoltà” del Re venissero risolte prendendo una seconda moglie,
piuttosto che divorziando dalla prima. Proposta che garbò molto al langravio, avvalorata da alcune affermazioni
dello stesso Lutero, contenute nei suoi sermoni sulla Genesi. Tale soluzione
parve a Filippo I l’unico “medicinale misericordioso” per curare la sua
coscienza malata di vizi e di peccati. Egli quindi pensò di sposare la figlia
di una dama di compagnia di sua sorella, Margarethe von der Saale, la quale non
voleva a lui unirsi se non con l’approvazione dei teologi di Wittenberg,
approvazione che arrivò sotto le minacce dello stesso langravio d’Assia a
Rotenburg an der Fulda, dove, il 4 marzo 1540, Filippo e Margarethe vennero uniti
in matrimonio. La vicenda, comunque, fu di enorme scandalo per tutta la
Germania, tanto che alcuni alleati del langravio smisero di servirlo e Lutero
si rifiutò di confermare il proprio coinvolgimento nella questione.
Come
non ricondurre tali vicende alle proposte avanzate all’interno del Sinodo
straordinario sulla famiglia conclusosi da poco? L’uomo contemporaneo, tronfio del suo progresso
scientifico, culturale, tecnologico e teologico, ripropone gli stessi temi di
mezzo millennio fa per andare incontro alle coscienze esigenti non di Verità,
ma di soggettiva libertà delle persone: “diritti” per le proprie incontrollate
passioni.
«Chi viene a trovarsi in queste ed in altre situazioni del genere,
in cui le norme canoniche chiaramente non coincidono con la realtà umana quale
si prospetta ad una coscienza deformata, ha diritto all’aiuto ed alla
comprensione fraterna ed intelligente del prossimo. Ciò significa non solo trattarli
come dei fuorilegge, ma anche aiutarli a giudicare la loro situazione e l’eventuale
dissidio fra la norma, da una parte, e l’imperativo della coscienza, dall’altra.
In definitiva, si tratta di prestar loro l’attenzione che meritano, facendo
sentire inoltre la propria partecipazione alla loro fiducia nell’amore di Dio,
che tutto abbraccia e di tutto finisce per avere ragione. Ciò significa anche
non impedir loro senza motivo di accostarsi ai sacramenti. Poiché le attuali
norme sembrano non consentirlo e non è possibile trovare una via d’uscita
neanche ricorrendo all’epicheia, si dovrebbe cercare di riformare queste
prescrizioni».
Questo non è un brano tratto dalle discussioni del Sinodo sulla
famiglia; non è neppure il passo di un’intervista rilasciata dal
Cardinale Kasper e nemmeno una considerazione di Papa Francesco. Questa è una citazione tratta da un libro di Viktor Steininger
pubblicato in Germania nel 1968 e tradotto in Italia, l’anno
seguente, con il titolo Divorzio anche per chi accetta
il Vangelo? Paradossi dell’indissolubilità matrimoniale (Herder-Morcelliana,
pp. 174-175).
Lo
stratagemma della Misericordia, privata della Giustizia (Dio è sia Misericordia che Giustizia),
muterebbe non solo la pastorale nei confronti dei peccatori adulteri o
omosessuali, ma si relazionerebbe a quell’auspicato «sviluppo del dogma»
sbandierato dai teologi novatori che aprirono la loro breccia nel Concilio
Vaticano II e le cui conseguenze, cariche di zolfo, oggi i cattolici sono
costretti a respirare. Sono in molti, nel clero, a scalpitare per “soccorrere”
le necessità spirituali dei fedeli.
Ma
sono così sicuri di voler soccorrere spingendo le loro anime sempre più nelle
sabbie mobili del peccato mortale? E quale misericordia userebbero per Nostro Signore? L’anima, quando
riceve la Comunione, diventa Tempio di Dio. Rimembrano ancora i custodi del depositum fidei e coloro che odono più le loro
teorie degli imperativi del Signore, ciò che scrive san Paolo nella prima
lettera ai Corinzi?
«“Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma
io non mi lascerò dominare da nulla […] il corpo poi non è per l’impudicizia,
ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il
Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri
corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò
membra di una prostituta? Non sia mai! […] non sapete che il vostro corpo è
tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non
appartiene a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate
dunque Dio nel vostro corpo!» (1 Cor. 6, 12-20).
Se
tale insegnamento stride alle coscienze nutrite di libertà soggettive e non
oggettive, non è un problema di san Paolo, né di quelli a lui fedeli che continuano tenacemente e con perseveranza a
non essere né adulteri, né profanatori del Sacramento della Comunione. La
Chiesa si è sempre prodigata con carità verso il peccatore, ma ha sempre
combattuto contro il peccato, nemico delle anime. Come né il langravio Filippo
I d’Assia, né Enrico VIII potranno mai diventare modelli di vita matrimoniale,
così nessun tipo di concessione al peccato potrà mutare la rotta di coloro che
sono coscienti di essere stati comprati a caro prezzo.
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