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La fede
non si decide ai voti
Il cardinale Burke contro la “manipolazione” informativa
sul Sinodo. E molto netto sul resto
Piace poco o nulla al mondo, il cardinale Raymond Leo Burke.
E, se possibile, piace ancora meno alla chiesa che piace al mondo. D’altra
parte, questo americano di sessantasei anni di Richland Center, Wisconsin, ha
fatto di tutto per riuscire cattolicamente nell’intento di ustionare le
coscienze cristiane troppo inclini alla tiepidezza. Partecipa alle marce per la
vita, dice che non va data la comunione ai politici che sostengono leggi
abortiste, denuncia il rapido progredire dell’agenda omosessualista, fa sapere
a Papa Francesco che la difesa dei principi non negoziabili non è una moda sottoposta
agli umori dei pontefici, sostiene la messa in rito tradizionale. Recentemente
ha firmato il libro collettivo “Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e
comunione nella Chiesa cattolica”, scritto in aperta polemica con le misericordiose
aperture del cardinale Walter Kasper su famiglia e comunione ai divorziati
risposati. Nulla di strano, quindi, se il rimpasto curiale pensato da Bergoglio
prevede che, da prefetto della Segnatura Apostolica, ora venga esiliato alla
carica di cardinale patrono del Sovrano Ordine di Malta. Ma intanto, al Sinodo
sulla famiglia, questo finissimo canonista figlio dell’America rurale ha
assunto il ruolo di oppositore, verrebbe da dire di katechon, al
cospetto della svolta attribuita, senza smentite, alla mens papale. Come
recita l’antica “Bibbia poliglotta” aperta sul leggìo del suo studio alla pagina
dell’Ecclesiaste: “Ogni cosa ha il suo tempo (…) c’è un tempo per tacere e un
tempo per parlare”.
D. Cosa
si vede oltre la cortina mediatica che avvolge il Sinodo?
R.
Emerge una tendenza preoccupante perché alcuni sostengono la possibilità di
adottare una prassi che si discosta dalla verità della fede. Anche se dovrebbe
essere evidente che non si può procedere in questo senso, molti incoraggiano
per esempio pericolose aperture sulla questione della comunione concessa ai
divorziati risposati. Non vedo come si possa conciliare il concetto
irreformabile dell’indissolubilità del matrimonio con la possibilità di ammettere
alla comunione chi vive una situazione irregolare. Qui si mette direttamente in
discussione ciò che ci ha detto Nostro Signore quando insegnava che chi
divorzia da sua moglie e sposa un’altra donna commette adulterio.
D. Secondo
i riformatori questo insegnamento è diventato troppo duro.
R.
Dimenticano che il Signore assicura l’aiuto della grazia a coloro che sono
chiamati a vivere il matrimonio. Questo non significa che non ci saranno
difficoltà e sofferenze, ma che ci sarà sempre un aiuto divino per affrontarle
ed essere fedeli sino alla fine.
D. Sembra
che la sua sia una posizione minoritaria…
R.
Qualche giorno fa ho visto una trasmissione in cui il cardinale Kasper ha detto
che si sta camminando nella direzione giusta verso le aperture. In poche
parole, i 5.700.000 italiani che hanno seguito quella trasmissione, hanno
ricavato l’idea che tutto il Sinodo marci su quella linea, che la chiesa sia
sul punto di mutare la sua dottrina sul matrimonio. Ma questo, semplicemente,
non è possibile. Molti vescovi intervengono per dire che non si possono
ammettere cambiamenti.
D. Però non emerge dal briefing
quotidiano della Sala stampa vaticana. Lo ha lamentato anche il cardinale Müller.
R.
Io non so come sia concepito il briefing, ma mi pare che qualcosa non funzioni
bene se l’informazione viene manipolata in modo da dare rilievo solo a una tesi
invece che riportare fedelmente le varie posizioni esposte. Questo mi preoccupa
molto perché un numero consistente di vescovi non accetta le idee di apertura,
ma pochi lo sanno. Si parla solo della necessità che la chiesa si apra alle
istanze del mondo enunciata a febbraio dal cardinale Kasper. In realtà, la sua
tesi sui temi della famiglia e su una nuova disciplina per la comunione ai divorziati
risposati non è nuova, è già stata discussa trent’anni fa. Poi da febbraio ha
ripreso vigore ed è stata colpevolmente lasciata crescere. Ma tutto questo deve
finire perché provoca un grave danno per la fede. Vescovi e sacerdoti mi dicono
che ora tanti divorziati risposati chiedono di essere ammessi alla comunione
poiché lo vuole Papa Francesco. In realtà, prendo atto che, invece, finora non
si è espresso sulla questione.
D. Però
sembra evidente che il cardinale Kasper e quanti sono sulla sua linea parlino
con il sostegno del Papa.
R.
Questo sì. Il Papa ha nominato il cardinale Kasper al Sinodo e ha lasciato che
il dibattito proseguisse su questi binari. Ma, come ha detto un altro
cardinale, il Papa non si è ancora pronunciato. Io sto aspettando un suo
pronunciamento, che può essere solo in continuità con l’insegnamento dato dalla
chiesa in tutta la sua storia. Un insegnamento che non è mai mutato perché non
può mutare.
D. Alcuni
prelati che sostengono la dottrina tradizionale dicono che se il Papa dovesse
portare dei cambiamenti li accetterebbero. Non è una contraddizione?
R.
Sì, è una contraddizione, perché il Pontefice è il Vicario di Cristo sulla
terra e perciò il primo servitore della verità della fede. Conoscendo
l’insegnamento di Cristo, non vedo come si possa deviare da quell’insegnamento
con una dichiarazione dottrinale o con una prassi pastorale che ignorino la verità.
D. L’accento
posto dal Pontefice sulla misericordia come la più importante, se non l’unica,
idea guida della chiesa, non contribuisce a sostenere l’illusione che si possa
praticare una pastorale sganciata dalla dottrina?
R.
Si diffonde l’idea che possa esistere una chiesa misericordiosa che non rispetta
la verità. Ma mi offende nel profondo l’idea che, fino a oggi, i vescovi e i
sacerdoti non sarebbero stati misericordiosi. Io sono cresciuto in una zona
rurale degli Stati Uniti e ricordo che, quando ero bambino, nella nostra
parrocchia c’era una coppia di una fattoria vicina alla nostra che veniva in
chiesa a messa, ma non faceva mai la comunione. Crescendo, chiesi il perché a
mio papà e lui, con naturalezza, mi spiegò che vivevano in una condizione irregolare
e accettavano di non accedere alla comunione. Il parroco era molto gentile con
loro, molto misericordioso e applicava la sua misericordia nell’operare perché
la coppia tornasse a una vita consona alla fede cattolica. Senza verità non può
esserci vera misericordia. I miei genitori mi hanno sempre insegnato che, se
noi amiamo i peccatori, dobbiamo odiare il peccato e dobbiamo fare di tutto per
strappare i peccatori dal male nel quale vivono.
D. Nel
suo studio c’è una statua del Sacro Cuore, nella sua cappella, sopra l’altare,
c’è un’altra immagine del Cuore di Gesù, il suo motto episcopale è “Secundum
Cor Tuum”. Allora, un vescovo può tenere unite misericordia e dottrina…
R.
Sì, è presso la fonte inesauribile e incessante della verità e della carità,
cioè dal glorioso trapassato Cuore di Gesù, che il sacerdote trova la sapienza
e la forza di guidare il gregge secondo la verità e in carità. Il Curato di Ars
definiva il sacerdote come l’amore dal Sacro Cuore di Gesù. Il sacerdote unito
al Sacro Cuore non soccomberà alla tentazione di dire al gregge parole diverse
da quelle di Cristo indefettibilmente trasmesseci nella chiesa, non cadrà nella
tentazione di sostituire alle parole della sana dottrina un linguaggio confuso
e facilmente erroneo.
D. Ma
i riformatori sostengono che la carità, per la chiesa, consista nel rincorrere
il mondo.
R.
Questo è il cardine dei ragionamenti di chi vuole mutare la dottrina o la
disciplina. Mi preoccupa molto. Si dice che i tempi sono tanto cambiati, che
non si può più parlare di diritto naturale, dell’indissolubilità del
matrimonio… Ma l’uomo non è cambiato, continua a essere come Dio l’ha voluto.
Certo, il mondo si è secolarizzato, ma questo è un motivo in più per dire in
modo chiaro e forte la verità. E’ nostro dovere, ma per farlo, come ha
insegnato san Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae, bisogna chiamare
le cose con il loro nome, non possiamo usare un linguaggio quanto meno ambiguo
per piacere al mondo.
D. La
chiarezza non sembra essere una priorità dei riformatori se, per esempio, non
si sentono in contraddizione quando sostengono che i divorziati risposati
possono accedere alla comunione a condizione di riconoscere l’indissolubilità
del matrimonio.
R.
Se uno ribadisce sinceramente l’indissolubilità del matrimonio può solo
rettificare lo stato irregolare nel quale si trova o astenersi dalla comunione.
Non ci sono vie di mezzo.
D. Neanche
quella del cosiddetto “divorzio ortodosso”?
R.
La prassi ortodossa dell’economia o del secondo o terzo matrimonio penitenziale
è storicamente e attualmente molto complessa. In ogni caso, la chiesa
cattolica, che sa di questa prassi da secoli, non l’ha mai adottata, in virtù
delle parole del Signore ricordate nel Vangelo secondo san Matteo (19, 9).
D. Non
pensa che, se si dovesse concedere questa apertura, ne seguiranno tante altre?
R.
Certamente. Ora si dice che questo verrà concesso solo in alcuni casi. Ma chi
conosce un po’ gli uomini sa che, quando si cede in un caso, si cede in tutti
gli altri. Se verrà ammessa come lecita l’unione tra divorziati risposati,
verranno aperte le porte a tutte le unioni che non sono secondo la legge di Dio
perché sarà stato eliminato il baluardo concettuale che preserva la buona
dottrina e la buona pastorale che ne discende.
D. I riformatori parlano spesso
di un Gesù disposto a tollerare il peccato per poter andare incontro agli
uomini. Ma era così?
R.
Un Gesù simile è un’invenzione che non ha riscontro nei Vangeli. Basti pensare
allo scontro con il mondo nel Vangelo di san Giovanni. Gesù è stato il più
grande oppositore del suo tempo e lo è anche al tempo di oggi. Penso a quanto
disse alla donna sorpresa in flagrante adulterio: “Neanch’io ti condanno; va’ e
d’ora in poi non peccare più” (Gv 8, 11).
D. Ammettere
alla comunione i divorziati risposati mina il sacramento del matrimonio, ma anche
quello dell’eucaristia. Non le sembra una deriva che tocca il cuore della
chiesa?
R.
Nella Prima Lettera ai Corinzi, al capitolo 11, san Paolo insegna che chi
riceve l’eucaristia in stato di peccato mangia la propria condanna. Accedere
all’eucaristia significa essere in comunione con Cristo, essere conformi a lui.
Molti oppongono l’idea che l’eucaristia non è il sacramento dei perfetti, ma
questo è un falso argomento. Nessun uomo è perfetto e l’eucaristia è il
sacramento di coloro che stanno combattendo per essere perfetti, secondo quando
chiede Gesù stesso: di esserlo come il Nostro Padre che è in cielo (Mt 5, 48).
Anche chi combatte per raggiungere la perfezione pecca, certo, e se è in stato
di peccato mortale non può comunicarsi. Per poterlo fare deve confessare il suo
peccato con pentimento e con il proposito di non commetterlo più: questo vale
per tutti, compresi i divorziati risposati.
D. Oggi,
la partecipazione all’eucaristia non viene quasi più vista come un atto
sacramentale, ma come una pratica sociale. Non significa più comunione con Dio,
ma accettazione da parte di una comunità. Non sta qui la radice del problema?
R. È
vero, si sta diffondendo sempre di più questa idea protestante. E non vale solo
per i divorziati risposati. Si sente spesso dire che, in momenti particolari
come la prima comunione, la cresima dei figli o in occasione dei matrimoni,
anche i non cattolici possono essere ammessi all’eucaristia. Ma questo, ancora
una volta, è contro la fede, è contro la verità stessa dell’eucaristia.
D. Invece
che un dibattito su questi temi, che cosa dovrebbe produrre il Sinodo.
R.
Il Sinodo non è un’assemblea democratica dove i vescovi si radunano per
cambiare la dottrina cattolica a seconda della maggioranza. Io vorrei che
diventasse l’occasione per dare il sostegno dei pastori a tutte le famiglie che
intendono vivere al meglio la loro fede e la loro vocazione, per sostenere
quegli uomini e quelle donne che, pur tra molte difficoltà, non vogliono
staccarsi da ciò che insegna il Vangelo. Questo dovrebbe fare un Sinodo sulla
famiglia, invece che perdersi in inutili discussioni su argomenti che non
possono essere discussi nel tentativo di cambiare verità che non possono essere
cambiate. A mio avviso, sarebbe stato meglio togliere questi temi dal tavolo
perché non sono disponibili. Si parli piuttosto di come aiutare i fedeli a
vivere la verità del matrimonio. Si parli della formazione dei ragazzi e dei
giovani che arrivano al matrimonio senza conoscere gli elementi fondamentali
della fede e poi cadono alle prime difficoltà.
D. I
riformatori non pensano a quei cattolici che hanno tenuto insieme la loro
famiglia anche in situazioni drammatiche rinunciando a rifarsi una vita?
R.
Tante persone che hanno fatto questa fatica mi chiedono ora se hanno sbagliato
tutto. Chiedono se hanno buttato via la loro vita tra inutili sacrifici. Non è
accettabile tutto questo, è un tradimento.
D. Non
pensa che la crisi della morale sia legata alla crisi liturgica?
R.
Certamente. Nel post Concilio si è verificata una caduta della vita di fede e
della disciplina ecclesiale evidenziata specialmente dalla crisi della
liturgia. La liturgia è diventata un’attività antropocentrica, ha finito per
rispecchiare le idee dell’uomo invece che il diritto di Dio di essere adorato
come Lui stesso chiede. Da qui, discende anche nel campo morale l’attenzione
quasi esclusiva ai bisogni e ai desideri degli uomini, invece che a quanto il
Creatore ha scritto nei cuori delle creature. La lex orandi è sempre
legata alla lex credendi. Se l’uomo non prega bene, allora non crede
bene e quindi non si comporta bene. Quando vado a celebrare la messa
tradizionale, per esempio, vedo tante belle famiglie giovani, con tanti
bambini. Non credo che queste famiglie non abbiano problemi, ma è evidente che
hanno più forza per affrontarli. Tutto questo vorrà pur dire qualcosa. La
liturgia è l’espressione più perfetta, più completa della nostra vita in Cristo
e quando tutto questo diminuisce o viene tradito ogni aspetto della vita dei
fedeli viene ferito.
D. Che
cosa può dire un pastore al cattolico che si sente smarrito davanti a questi
venti di cambiamento?
R.
I fedeli devono prendere coraggio perché il Signore non abbandonerà mai la sua
chiesa. Pensiamo a come il Signore ha placato il mare in tempesta e le sue
parole ai discepoli: “Perché avete paura, gente di poca fede?” (Mt 8, 26). Se
questo periodo di confusione sembra mettere a rischio la loro fede, devono solo
impegnarsi con più forza in una vita veramente cattolica. Ma mi rendo conto che
vivere di questi tempi dà una grande sofferenza.
D. Riesce
difficile non pensare a un castigo.
R.
Questo lo penso prima di tutto per me stesso. Se io sto soffrendo adesso per la
situazione della chiesa, penso che il Signore mi sta dicendo che ho bisogno di
una purificazione. E penso anche che, se la sofferenza è così diffusa, ciò
significa che c’è una purificazione di cui tutta la chiesa ha bisogno. Ma ciò
non dipende da un Dio che aspetta solo di punirci, dipende dai nostri peccati.
Se in qualche modo abbiamo tradito la dottrina, la morale o la liturgia, segue
inevitabilmente una sofferenza che ci purifica per riportarci sulla via
stretta.
Fonte: Il Foglio, 14.10.2014
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