Nella festa dei Santi Angeli Custodi pubblico volentieri quest'articolo del prof. De Mattei.
Gabriel Tyr, L'Ange gardien, 1855, Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay |
Antonio Sibella, Angeli custodi, 1890, museo diocesano, Milano |
Henri Decaisne, L’Angelo custode, 1835-36, Musée du Louvre, Parigi |
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Hermann Kern, Time for a Light Snack, 1904 |
Pasticcio Kasper
Le fonti filosofiche degli errori “bergogliani”.
Per loro il cristianesimo è storia ma non giustizia
di Roberto de Mattei
Papa Francesco ha abbracciato il Papa emerito Benedetto XVI prima della messa per gli anziani che si è celebrata in piazza San Pietro domenica scorsa (AP Photo / Gregorio Borgia) |
Il prossimo Sinodo dei
Vescovi è preceduto da un frastuono mediatico che gli attribuisce un
significato storico superiore alla sua portata ecclesiologica di mera assemblea
consultiva della Chiesa. Qualcuno si lamenta per la guerra teologica che il
Sinodo annuncia, ma la storia di tutte le adunanze episcopali della Chiesa
(tale è il significato etimologico del termine sinodo e del suo sinonimo
concilio) è fatta di conflitti teologici e di aspri dibattiti sugli errori e
sulle scissioni che hanno minacciato la comunità cristiana fin dal suo sorgere.
Oggi il tema della comunione ai divorziati è solo
il vettore di una discussione che verte su concetti dottrinali più complessi,
come quello di natura umana e di legge naturale. Questo dibattito sembra
tradurre, sul piano antropologico, le speculazioni trinitarie e cristologiche
che scossero la Chiesa dal Concilio di Nicea (325) a quello di Calcedonia
(451).
Allora si discusse per determinare la natura della
Santissima Trinità, che è un unico Dio in tre Persone, e per definire in Gesù
Cristo la Persona del Verbo, che sussiste in due nature, la divina e la umana.
L’adozione, da parte del Concilio di Nicea, del termine greco homoousios, che in latino fu tradotto conconsubstantialis e, dopo il Concilio di Calcedonia, con
le parole “della stessa natura” della sostanza divina, per affermare la
perfetta uguaglianza del Verbo e del Padre, segna una data memorabile nella
storia del cristianesimo e conclude un’epoca di smarrimento, di confusione, di
dramma di coscienze analoga a quella in cui siamo immersi.
In quegli anni la Chiesa era divisa tra la “destra”
di sant’Atanasio e la “sinistra” dei seguaci di Ario (la definizione è dello
storico dei concili Karl Joseph von Hefele). Tra i due poli ondeggiava il terzo
partito dei semi-ariani, divisi a loro volte in varie fazioni. All’homoousios niceno, che vuol dire “della stessa
sostanza”, venne contrapposto il termine homoiousios, che significa “di sostanza simile”.
Non si trattava di una questione di lana caprina. La differenza tra queste due
parole, in apparenza infima, cela un abisso: da una parte l’identità con Dio,
dall’altra una certa analogia o rassomiglianza, che fa di Gesù Cristo un
semplice uomo.
La migliore ricostruzione storica di questo periodo
resta quella del cardinale John Henry Newman ne Gli ariani del IV secolo (tr. It. Jaca Book, Milano 1981), un
approfondito studio che mette in luce le responsabilità del clero e il coraggio
del “popolino” nel mantenere la fede ortodossa. Il diacono Atanasio, campione dell’ortodossia,
eletto vescovo, fu costretto per ben cinque volte ad abbandonare la sua diocesi
per percorrere la via dell’esilio.
Nel 357 papa Liberio lo scomunicò e due anni dopo i
concili di Rimini e di Seleucia, che costituivano una sorta di grande concilio
ecumenico rappresentante l’Occidente e l’Oriente, abbandonarono il termine
“consustanziale” di Nicea e stabilirono una equivoca via media, tra
sant’Atanasio e gli ariani . Fu allora che san Girolamo coniò l’espressione
secondo cui “il mondo gemette e si accorse con stupore di essere diventato
ariano”.
Atanasio e i difensori della fede ortodossa vennero
accusati di impuntarsi sulle parole e di essere litigiosi e intolleranti. Le
stesse accuse vengono oggi rivolte verso chi, dentro e fuori l’aula sinodale,
vuole levare una voce di intransigente fermezza nel difendere la dottrina della
Chiesa sul matrimonio cristiano, come i cinque cardinali (Burke, Brandmüller,
Caffarra, De Paolis e Müller), che, dopo essersi espressi singolarmente, hanno
riunito i loro interventi in difesa della famiglia in un libro che è ormai
diventato un manifesto, Permanere nella verità di
Cristo: Matrimonio e Comunione nella Chiesa cattolica, appena dato
alle stampe dalle edizioni Cantagalli di Siena. Allo stesso Cantagalli si deve
la pubblicazione di un altro testo fondamentale, Divorziati “risposati” . La prassi della Chiesa primitive del
gesuita Henri Couzel.
I commentatori del “Corriere della Sera” e de “la
Repubblica” si sono stracciati le vesti per la “rissa teologica” in corso. Lo
stesso Papa Francesco, il 18 settembre, ha raccomandato ai vescovi di nuova
nomina di “non sprecare energie per contrapporsi e scontrarsi”,
dimenticando di essersi assunto personalmente la responsabilità dello scontro,
nel momento in cui ha voluto affidare al cardinale Walter Kasper il compito di
aprire le danze sinodali.
Come ha notato Sandro Magister, è stato proprio il
cardinal Kasper, con la sua relazione del 20 febbraio 2014, resa nota da “Il
Foglio”, ad aprire le ostilità e ad innescare il dibattito dottrinale,
divenendo così, al di là delle sue intenzioni, il portabandiera di un partito.
La formula più volte ribadita dal cardinale tedesco, secondo cui ciò che deve
mutare non è la dottrina sull’indissolubilità matrimoniale, ma la pastorale
verso i divorziati risposati, ha in sé una portata dirompente, ed è
l’espressione di una concezione teologica inquinata nelle sue fondamenta.
Per comprendere il pensiero di Kasper bisogna
risalire a una delle sue prime opere, e forse la principale,L’assoluto nella storia
nell’ultima filosofia di Schelling, pubblicata nel 1965 e tradotta
da Jaca Book nel 1986. Walter Kasper appartiene infatti a quella scuola di
Tubinga che, come egli scrive in questo studio, “ha avviato un rinnovamento
della teologia e dell’intero cattolicesimo tedesco nell’incontro con Schelling
ed Hegel” (p. 53). La metafisica è quella di Friedrich Schelling
(1775-1854), “gigante solitario” (p. 90), dal cui carattere gnostico
e panteista il teologo tedesco tenta invano di liberarsi.
Nella sua ultima opera, Philosophie der Offenbarung (Filosofia della rivelazione), del 1854, Schelling
contrappone al cristianesimo dogmatico quello della storia. “Schelling –
commenta Kasper – non concepisce in modo statico,
metafisico e sovratemporale il rapporto tra naturale e soprannaturale, bensì in
modo dinamico e storico. L’essenziale della rivelazione Cristiana è proprio
questo, che essa è storia” (p. 206).
Anche per Kasper il cristianesimo, prima di essere
dottrina è storia, o “prassi”. Nella sua opera più nota,Gesù il Cristo (Queriniana, Brescia 1974), egli
sviluppa una cristologia in chiave storica che dipende dallaFilosofia della rivelazione dell’idealista tedesco. La concezione
trinitaria di Schelling è quella degli eretici sabelliani e modalisti,
precursori dell’arianesimo. Le tre Persone divine sono ridotte a tre “modi di
sussistenza” di un’unica persona-natura (modalismo), mentre l’essenza della
Trinità si risolve nel suo manifestarsi al mondo. Cristo non è intermediario
tra Dio e l’uomo, ma la realizzazione storica della divinità nel processo
trinitario.
Coerente con la cristologia è l’ecclesiologia di
Kasper. La Chiesa è innanzitutto “pneuma”, “sacramento dello Spirito”, definizione che, per il
cardinal tedesco, “corregge” quella giuridica di Pio XII nella Mystici Corporis (La Chiesa luogo dello spirito,
Queriniana, Brescia 1980, p. 91). Il campo di azione dello Spirito Santo non
coincide infatti, come vuole la Tradizione, con quello della Chiesa cattolica
romana, ma si estende ad una più vasta realtà ecumenica, la “Chiesa di Cristo”
di cui la Chiesa cattolica è parte.
Per Kasper il Decreto del Vaticano II
sull’ecumenismo spinge a riconoscere che l’unica chiesa di Cristo non si limita
a quella cattolica, ma è divisa in chiese e comunità ecclesiali separate (ivi,
p. 94). La chiesa cattolica è “dove non c’è alcun vangelo selettivo”, ma tutto si
dilata in maniera inclusiva, nel tempo e nello spazio (Chiesa cattolica- Essenza,
realtà, missione, Queriniana,
Brescia 2012, p. 289). La missione della Chiesa è di “uscire da sé stessa”
per riacquistare una dimensione che la renda veramente universale. Eugenio
Scalfari, che si atteggia a terzo Papa, dopo quello emerito e quello regnante,
pur ignaro di teologia, attribuisce la medesima concezione a papa Francesco,
affermando che per lui la Chiesa missionaria è quella che “deve uscire da sé e andare nel
mondo”, realizzando il cristianesimo nella storia (“La Repubblica”,
21 settembre 2014).
Queste tesi si riflettono nella teologia morale di
Kasper, secondo cui l’esperienza dell’incontro con Cristo dissolve la legge, o
meglio la legge è un impaccio di cui l’uomo deve liberarsi per incontrare la
misericordia di Cristo. Schelling nella sua filosofia panteista assorbe in Dio
il male. Kasper assorbe il male nel mistero della Croce, in cui vede la
negazione della metafisica tradizionale e della legge naturale che ad essa
consegue. “Il passaggio dalla filosofia negativa alla filosofia positiva è
per Schelling nello stesso tempo passaggio dalla legge al vangelo”
(L’assoluto
nella storia, p. 178), scrive il cardinale tedesco, che vede a sua
volta il passaggio dalla legge al vangelo nel primato della prassi pastorale
sull’astratta dottrina.
Sotto quest’aspetto, la dottrina morale del
cardinal Kasper è, almeno implicitamente, antinomista. L’antinomismo è un
termine coniato da Lutero contro un suo oppositore di sinistra, Johann Agricola
(1494-1566), ma risale alle eresie antiche e medioevali per indicare il rifiuto
dell’Antico Testamento e della sua legge, sentito come mera costrizione e
vincolo, in antitesi al Nuovo Testamento, cioè alla nuova economia della Grazia
e della libertà. Più generalmente si intende come antinomismo il rifiuto della
legge naturale e morale che ha la sua radice nel rifiuto dell’idea di natura.
Per gli antinomisti cristiani non c’è legge perché non c’è una oggettiva d
universale natura umana. La conseguenza è l’evaporazione del senso del peccato,
la negazione degli assoluti morali, la Rivoluzione sessuale all’interno della
Chiesa.
Si comprende in questa prospettiva come il cardinal
Kasper nel suo recente libro apparso in tedesco nel 2012 e poi tradotto in
italiano per i tipi della Queriniana nel 2013, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo – Chiave della
vita, si proponga di rompere il tradizionale equilibrio tra
giustizia e misericordia, facendo di quest’ultima, contro la tradizione,
l’attributo principale di Dio. Ma, come ha osservato padre Serafino Lanzetta in
un’eccellente analisi del suo volume, pubblicata da www.chiesa, “la misericordia perfeziona e
compie la giustizia ma non l’annulla; la presuppone, altrimenti non avrebbe in
sé ragion d’essere”. La scomparsa della giustizia e della legge
rende incomprensibile il concetto di peccato e il mistero del male, a meno di
non reintegrarli in una prospettiva teosofica e gnostica.
Ritroviamo quest’errore nel postulato luterano
della “sola misericordia”. Abolita la mediazione della ragione e della natura,
per Lutero l’unica via per risalire a Dio è la “fede fiduciale”, che ha il suo
preambolo non nella ragione metafisica, da cui deve essere totalmente
svincolata, ma in un sentimento di disperazione profonda, che ha a sua volta il
proprio oggetto nella “misericordia” di Dio, invece che nelle verità da Lui
rivelate.
Questo principio, come ha dimostrato Silvana Seidel
Menchi in Erasmo in Italia 1520-1580 (Bollati
Boringhieri, Torino 1987), si sviluppa nella letteratura ereticale del
sedicesimo secolo grazie anche all’influenza del trattato di Erasmo, De immensa Dei misericordia (1524), che spalancava agli “uomini di buona volontà”
le porte del cielo (ivi, pp.
143-167). Nelle sétte di derivazione erasmiana e luterana che costituiscono
l’estrema sinistra della riforma protestante riaffiorano inoltre gli errori
antitrinitari del IV secolo: arianesimo, modalismo, sabellianesimo, fondati sul
rifiuto o sul travisamento dell’idea di natura.
L’unico percorso penitenziale possibile per
conoscere l’abbraccio della Misericordia divina è il rifiuto del peccato in cui
siamo immersi e il riconoscimento di una legge divina da osservare e da amare.
Questa legge è radicata nella natura umana ed è incisa nel cuore di ogni uomo “dal dito stesso del Creatore”
(Rm2,
14-15). Essa costituisce il criterio di giudizio supremo di ogni azione e delle
vicende umane nel loro complesso, ovvero della storia.
Il termine natura non è astratto. La natura umana è
l’essenza dell’uomo, ciò che egli è prima di essere una persona. L’uomo è una
persona, titolare di diritti inalienabili, perché ha un’anima. E ha un’anima
perché, a differenza di qualsiasi altro vivente, ha una natura razionale.
Naturale non è ciò che nasce dagli istinti e dai desideri dell’uomo, ma ciò che
corrisponde alle regole della ragione, che deve a suo volta conformarsi a un
ordine oggettivo e immutabile di princìpi. La legge naturale è una legge razionale
e immutabile, perché immutabile, in quanto spirituale, è la natura dell’uomo.
Tutti gli individui della stessa natura agiranno o dovranno agire nella stessa
maniera, perché la legge naturale è iscritta nella natura non di questo o
quell’uomo, ma nella natura umana considerata in sé stessa, nella sua
permanenza e nella sua stabilità.
Il cardinale Kasper non crede nell’esistenza di una
legge naturale universale e assoluta e nell’Instrumentum laboris, il documento ufficiale del
Vaticano che prepara il Sinodo di Ottobre, questo ripudio della legge naturale
traspare con evidenza, anche se presentato in chiave sociologica, più che
teologica. “Il concetto di ‘legge naturale’ risulta essere come tale oggi nei
diversi contesti culturali, assai problematico, se non addirittura
incomprensibile” (n. 21) – si dice – anche perché “oggi, non solo in Occidente, ma
progressivamente in ogni parte della terra, la ricerca scientifica rappresenta
una seria sfida al concetto di natura. L’evoluzione, la biologia e le neuroscienze,
confrontandosi con l’idea tradizionale di legge naturale, giungono a concludere
che essa non è da considerarsi ‘scientifica’” (n. 22).
Alla legge naturale viene contrapposto, secondo il
programma kasperiano, lo spirito del Vangelo, di cui occorre comunicare i
valori “in modo comprensibile all’uomo di oggi”. Si rende
perciò necessario “dare una enfasi decisamente maggiore al ruolo della Parola di Dio
quale strumento privilegiato nella concezione della vita coniugale e familiare.
Si raccomanda maggiore riferimento al mondo biblico, ai suoi linguaggi e forme
narrative. In tal senso, degna di rilievo è la proposta di tematizzare e
approfondire il concetto, di ispirazione biblica, di “ordine della creazione”,
come possibilità di rileggere in modo esistenzialmente più significativo la
“legge naturale” (…) Si raccomanda anche l’attenzione al mondo giovanile da
assumere come interlocutore diretto, anche su questi temi” (n. 30).
Le inevitabili conseguenze di questa nuova
concezione della morale, di cui dovranno discutere i padri sinodali, sono
tratte da Vito Mancuso, su “La Repubblica” del 18 settembre. La legge naturale
“è
un peso troppo gravoso da portare”; occorre perciò puntare a “un profondo percorso di
rinnovamento in materia di etica sessuale” che dovrebbe portare
alle “seguenti
necessarie aperture: sì alla contraccezione; sì ai rapporti prematrimoniali; sì
al riconoscimento delle coppie omosessuali”.
Di fronte a questo catastrofico itinerario verso
l’immoralismo, come meravigliarsi che cinque cardinali abbiano pubblicato un
libro in difesa della morale tradizionale e che altri cardinali, vescovi e
teologi, si siano associati a questa posizione? Contro chi invoca una nuova
disciplina dottrinale e pastorale, ha scritto il cardinale Pell, si eleva “una barriera insormontabile”,
basata su “la quasi completa unanimità su questo punto di cui la storia
cattolica dà prova da duemila anni” (Prefazione a Juan Pérez-Soba,
Stephen Kampowski, Oltre la proposta di Kasper,
Cantagalli, Siena 2014, p. 7).
C’è da sperare che il confronto sia libero e
trasparente, senza l’imposizione dall’alto di regole che falsino il gioco. La
posta non è una semplice divergenza di opinioni, ma il chiarimento sulla
missione della Chiesa. C’è da augurarsi inoltre che i presuli fedeli alla Tradizione
non si facciano intimidire e che siano capaci di sopportare con pazienza le
violenze mediatiche e le censure ecclesiali, anche ingiuste e pesanti, che
dovessero subire. “La canzone migliore continua ad essere la nostra” (p.
8), scrive ancora il cardinal Pell e Atanasio rimane un modello, nel nostro
tempo, per tutti coloro che non si ritraggono dalla giusta battaglia in difesa
della verità.
Fonte: Il Foglio, 1.10.2014
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