Interessante contributo di don Nicola Bux sull'ecumenismo, asseritamente cattolico, del "priore" laico di Bose, Enzo Bianchi.
* * * * * * *
Il
papa non lo sa, ma a Bose preparano la sua fine
Il
servizio pubblicato lo scorso 3 novembre in www.chiesa ha suscitato la
prevedibile irritazione dei due personaggi in oggetto:
Ma
ha anche dato spunto a ulteriori critiche al progetto ecumenico coltivato da
entrambi e in particolare dal priore di Bose, fresco di nomina papale a
consultore del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.
L’autore
della seguente nota è sacerdote della diocesi di Bari, docente di liturgia e
consultore della congregazione per il culto divino e della congregazione per le
cause dei santi.
*
L’ECUMENISMO
NON CATTOLICO DI ENZO BIANCHI
di
Nicola Bux
La
“decostruzione del papato nella sua forma attuale” – come ha fatto notare
Sandro Magister – è cara al priore di Bose, secondo cui non c’è più da sperare
nell’unità tra le grandi Chiese tradizionali, in quanto la loro divisione su
chi abbia il primato sarebbe proprio ciò che impedisce l’unità dei cristiani
oggi:
“Nell’Evangelo c’è scritto che i discepoli incominciarono a litigare per sapere chi fosse il primo. Mi sembra che questo litigio sia continuato nella storia della Chiesa e costituisca ancora uno dei nodi centrali della questione dell’unità. Si ignora che ogni tradizione è limitata e parziale e che solo tutti insieme è possibile giungere alla piena verità” (E. Bianchi, Ricominciare, Marietti, Genova, 1999, p 73-74).
In realtà, Gesù risolse la discussione pre-pasquale tra i discepoli stabilendo egli stesso il primato di Simone-Cefa.
Inoltre,
chi è veramente cattolico sa che non esistono “Chiese tradizionali” ma l’unica
Chiesa che quei cristiani autonomamente costituitisi in Chiese e comunità tra
il primo e secondo millennio devono giungere a riconoscere presente nella
tradizione apostolica condivisa con Roma e da lei suggellata.
Bianchi,
quindi, dissimula un’idea relativista dell’unità della Chiesa; né nasconde di
condividere la visione di Jean-Marie Tillard, secondo cui la Chiesa è fatta
solo dall’insieme di “Chiese sorelle”. Per evidenziare l’erroneità di tale
concetto, la congregazione per la dottrina della fede ha emesso il 30 giugno
2000 una nota:
Inoltre,
Bianchi invoca il fatto che il papa non debba decidere nulla da solo, ma poi
vorrebbe attribuire a lui il potere “di ridare unità alla Chiesa” (Ricominciare,
pp. 72-73).
Invece,
il teologo ecumenico Max Thurian ha descritto così le conseguenze ecumeniche
del Credo comune alle confessioni cristiane:
“L’unità visibile dei cristiani non potrà esser compiuta che nel riconoscimento delle celebrazioni eucaristiche e dei ministeri che strutturano la Chiesa, nella successione apostolica e in comunione col vescovo di Roma. […] Per la Chiesa cattolica, la pienezza dell’apostolicità si trova nella successione dei vescovi dopo gli apostoli e nella loro comunione grazie al ministero di Pietro proseguito dal vescovo di Roma” (Avvenire, 29 giugno 1997).
Per
Bianchi, al contrario, il riconoscimento del primato papale è il reale
impedimento all’unità della Chiesa.
Non
so se papa Francesco conosceva tutto questo, quando lo scorso 22 luglio ha nominato il priore di Bose consultore del
dicastero ecumenico della Santa Sede.
Le
idee di Enzo Bianchi esprimono quell’“ermeneutica della discontinuità e della
rottura” che costituisce il filo rosso dell’edizione bolognese, in più volumi,
dei Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta, sulla quale a detta
delle autorità vaticane “permangono le riserve di carattere dottrinale”.
A
questo, l’arcivescovo Agostino Marchetto ha puntualmente e in modo documentato
fatto il contrappunto. E il papa lo ha definito “il miglior interprete del
concilio Vaticano II”.
Dunque,
non dovrebbero esservi dubbi su chi non la conta giusta.
Nessun commento:
Posta un commento