L’autunno avanzato, la caduta delle foglie ingiallite, il lungo ciclo di domeniche dopo la Pentecoste, accompagnato da quel sentimento di melanconica stanchezza che ne compenetra l’ultimo periodo, ricordano all’anima i pensieri solenni dell’eternità e del mondo dell’oltretomba, a cui i giorni e gli anni che passano ci avvicinano. Il Veggente di Patmos ci fa per così dire anticipare la chiusura di questo lungo ciclo, dove è simboleggiata la dura vita della Chiesa militante: oggi solleva per noi un po’ il velo e ci mostra la Chiesa trionfante in tutto lo splendore della sua gloria.
All’inizio di questo periodo liturgico che va dalla Pentecoste all’Avvento, si annunciava che lo Spirito Paraclito avrebbe glorificato Gesù: Ille me clarificabit. Oggi si vede che ha tenuto fede alla sua promessa, spargendo sul corpo mistico del Salvatore una così grande santità che è stata il germe di una sì grande gloria.
Una festa collettiva di tutti i martiri, in relazione col trionfo pasquale del Redentore, appare in Siria fin dal IV sec.: in effetti, secondo la testimonianza di san Efrem, si celebrava in questo stesso giorno presso i siriaci una memoria di tutti i Martiri dell’universo (così ricorda D. Bickell, Sancti Ephræmi Syri carmina Nisibena, 6, Leipzig 1866, p. 23). Le solennità pasquali sembravano aver ricordato un po’ ovunque una commemorazione dei martiri. Il martirologio di Nicomedia degli anni intorno al 365 annuncia il venerdì di Pasqua una «memoria di tutti i confessori» (B. Mariani, Breviarium syriacum, Coll. Rerum ecclesiasticarum documenta, Series minor 3, Roma 1956, p. 34), memoria che è sempre iscritta il medesimo giorno nel calendario siriano (V. Grumel, La Chronologie, in P. Lemerle (a cura di), Traité d’études byzantines, tomo 1, Bibliothèque byzantine, Paris 1958, p. 338).
All’inizio di questo periodo liturgico che va dalla Pentecoste all’Avvento, si annunciava che lo Spirito Paraclito avrebbe glorificato Gesù: Ille me clarificabit. Oggi si vede che ha tenuto fede alla sua promessa, spargendo sul corpo mistico del Salvatore una così grande santità che è stata il germe di una sì grande gloria.
Una festa collettiva di tutti i martiri, in relazione col trionfo pasquale del Redentore, appare in Siria fin dal IV sec.: in effetti, secondo la testimonianza di san Efrem, si celebrava in questo stesso giorno presso i siriaci una memoria di tutti i Martiri dell’universo (così ricorda D. Bickell, Sancti Ephræmi Syri carmina Nisibena, 6, Leipzig 1866, p. 23). Le solennità pasquali sembravano aver ricordato un po’ ovunque una commemorazione dei martiri. Il martirologio di Nicomedia degli anni intorno al 365 annuncia il venerdì di Pasqua una «memoria di tutti i confessori» (B. Mariani, Breviarium syriacum, Coll. Rerum ecclesiasticarum documenta, Series minor 3, Roma 1956, p. 34), memoria che è sempre iscritta il medesimo giorno nel calendario siriano (V. Grumel, La Chronologie, in P. Lemerle (a cura di), Traité d’études byzantines, tomo 1, Bibliothèque byzantine, Paris 1958, p. 338).
I bizantini la celebravano, al contrario,
la domenica dopo la Pentecoste, detta Domenica di Tutti i Santi. La festa risaliva almeno all’inizio del V sec. La scelta di tale giorno
aveva un profondo significato teologico, volendo esprimere l’idea che la
santità è opera dello Spirito Santo. Detta festività era già nota a san
Giovanni Crisostomo, il quale la conosceva come festa di tutti i Martiri e
parlava di Εγκώμιον
εις
τους
αγίους
πάντας,
του
εν
όλω
των
κόσμω
μαρτυρήσαντες. In tale circostanza, infatti, vi
pronunciò un sermone in onore di «tutti i santi martiri del mondo» (cfr. San
Giovanni Crisostomo, Laudatio SS. Omnium qui Martyrum toto terrarum orbe sunt passi, in PG 50, col. 705C-712).
Nel VII sec., pure certe Chiese d’Occidente, e
senza dubbio la stessa Chiesa romana per un breve periodo, avevano fatto dello
stesso giorno la Dominica in natale Sanctorum (Cfr. per
quanto riguarda la Gallia, v. il Messale di Bobbio dell’VIII sec., in PL
72, col. 524).
Vi si leggeva
un passo dell’Apocalisse: Vidi turbam
magnam ed anche il Vangelo delle Beatitudini. Per Roma, in
particolare, si ha la testimonianza dell’Epistolario
di Würzburg (in G. Morin, Le plus ancient Comes ou lectionnaire de l’Eglise romaine, in
Revue bénédictine, 27 (1910), p. 58).
Dom G. Morin pensa che questa festa potrebbe essere stata introdotta a Roma nel
corso del VI sec. ed abolita da papa san Gregorio Magno con un certo numero di
altre usanze greche.
Nella settimana dopo la Pentecoste, tuttavia, un’antica
tradizione imponeva ai Romani il digiuno solenne dei Quattro Tempi con la grande veglia domenicale a San Pietro. Era
impossibile, dopo la stanchezza di quella notte, celebrare ancora, nella mattinata,
la solennità di tutti i Santi. Si rinunciò dunque all’uso bizantino e bisognò
accontentarsi della festa del 13 maggio in onore dei martiri, un tempo
istituita da Bonifacio IV (608-615).
Questi, infatti, domandò all’imperatore Foca (602-610) «il tempio che si chiama
Pantheon, nel quale egli fece la
Chiesa della beata Maria sempre Vergine e di tutti i martiri» (L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, Coll.
Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, tomo 1, Paris 1886, p.
317), che consacrò il 13 maggio
609 o 610 al culto cristiano, dedicando l’antico tempio pagano, dov’erano
venerati tutti gli dèi, alla Vergine Maria ed a tutti i Martiri, facendovi
riporre le ossa di numerosi martiri prelevati dalle catacombe e lì trasportate
su ben ventotto carri.
L’anniversario di questa dedicazione fu iscritta, da allora, nei
sacramentari, al 13 maggio, ma il lezionario precisa che semper in die dominico celebratur ipsa sollemnitas (Th. Klauser, Das
römische Capitulare Evangeliorum, Coll. Liturgiegeschichtliche
Quellen und Forschungen 28, Münster in Westf, 1935, n. 132, p. 73).
Già nel 645, cioè una trentina di anni dopo la
dedicazione, però, la stazione del
venerdì di Pasqua, prevista dal Messale romano, era ad sanctam Mariam ad Martyres (Ibidem, n. 97, p. 24). Questo a riprova dell’antichità del culto di quella
chiesa.
Tuttavia il pensiero di una solennità collettiva
di tutti i santi, e non semplicemente dei martiri, guadagnava sempre più campo.
Mentre in Oriente gli Iconoclasti distruggevano immagini e reliquie, ed in
Italia, in pieno Latium, i cimiteri dei martiri
giacevano nell’abbandono a causa delle continue incursioni dei longobardi nella
campagna romana, Gregorio III (731-741)
istituì, nella basilica vaticana, una speciale commemorazione quotidiana dei Santi di cui le diverse
chiese della cattolicità celebravano il natale ed eresse, a tale scopo, in San Pietro, un
oratorio espiatorio in onore, appunto, di tutti i Santi, Martiri e Confessori,
«in honorem
Salvatoris sanctæqua ejus Genitricis reliquias,
sanctorumque apostolorum vel omnium sanctorum martyrum ac confessorum,
perfectorumque justorum toto in orbe terrarum requiescentium» (Vita Operaque, Notitia
historica in S. Gregorium papam III, in PL 89, col. 563A), cioè «in onore del
Salvatore, della sua santa Madre, di tutti gli apostoli, dei martiri e di tutti
i giusti pervenuti alla perfezione, che si sono addormentati sulla terra
intera», ordinando ai
monaci dei tre monasteri officianti la basilica di recarvisi ogni sera, dopo i
Vespri, per celebrare un breve ufficio votivo in loro onore (L. Duchesne, op. cit., p. 421).
Allorché Roma celebrava da molto tempo una festa collettiva dei
martiri nel tempo pasquale in accordo con numerose chiese, dalla Siria all’Irlanda,
ecco che intorno all’anno 800 una nuova festa di Tutti i Santi cominciò a diffondersi
in Inghilterra e nell’Impero carolingio (Si troveranno tutte i riferimenti che comporta
lo studio delle origini della festa del 1° novembre nel commentario storico del
Martyrologium romanum redatto da H. Delehaye
e pubblicato come Propylaeum ad Acta
Sanctorum decembris, Bruxelles 1940, pp. 488-489). Come però Roma venne a celebrare alle calende di
novembre la festa di tutti i Santi, non è del tutto chiaro, come si dirà.
Un sinodo di Riesbach
(concilium Rispacense), presieduto dal vescovo Arnone di Salisburgo, la incluse
tra le feste non lavorative (nell’anno 798?) (MGH, Concilia, 2, pars 1,
p. 197); Alcuino di York la qualificò sollemnitas sanctissima,
precisando che essa doveva essere preceduta da un digiuno di tre giorni. È
innegabile che quello che era l’ascoltatissimo consigliere di Carlo Magno prese
a cuore la diffusione di questa festa. Se si presta fede ad Adone di Vienne, l’imperatore
Ludovico il Pio (814-840), nell’834, avrebbe fissato la celebrazione di Tutti i
Santi per tutti i suoi Stati il 1° novembre su domanda del papa Gregorio IV (827-844)
e con il consenso dei vescovi (non è, tuttavia, assolutamente certo che l’iniziativa venisse
dal Papa anziché dallo stesso imperatore. Cfr. sul punto Michael Kunzler, Die Liturgie der Kirche, Paderborn 1995,
trad. it. di Liborio Asciutto, La liturgia della Chiesa2,
Milano 2003, p. 591, il quale ritiene che fu il papa a spingere l’imperatore
Ludovico il Pio ad estendere la festa, nell’838, a tutto l’impero).
Evidentemente,
Adone ha dalla sua di essere un contemporaneo della decisione che ricorda, ma
il suo spirito fabulistico ci mantiene sulla riserva, atteso che alcun altro
documento dell’epoca fa allusione a tale provvedimento.
Ad ogni modo è
certo che la nuova solennità si diffuse assai rapidamente nel corso del IX sec.
È, dunque, verosimile che essa raggiungesse alcune chiese di Roma, se non la
loro totalità, a quell’epoca. Il Codice
Barberini 637 attesta, infatti, la sua celebrazione nel X sec. nell’Urbe o
suoi dintorni. Essa si presentava immediatamente come una festa solenne, poiché
dotata di una vigilia al 31 ottobre, che fu soppressa solo nel
1955, e che aveva sino alla nostra epoca carattere penitenziale.
È certo,
dunque, che l’antichità cristiana aveva inserito una commemorazione dei martiri
e di tutti i santi nel tempo pasquale. Era chiaro il collegamento tra questo
periodo e la festa dei santi come inizialmente fissata. Ma cosa poté portare a
fare la scelta del 1° novembre per questa festa?
Non si potranno
che formulare delle ipotesi. È certo che il 1° novembre contrassegnava, tanto a
Roma quanto nei Paesi franchi o anglosassoni, l’inizio dell’inverno: Hiemis tempore, id est a kalendis novembris
usque ad Pascha, recitava la Regola di san Benedetto nel cap. VIII, e,
presso i Celti era un giorno di festa. «Bisogna concluderne che Ognissanti fu
istituita per cristianizzare delle cerimonie care agli Anglosassoni o ai
Franchi? Sebbene quest’idea non ripugna, occorrerebbe avere un principio di
prova per sostenerla» (così riporta Jules
Léon Baudot – Léon Chaussin, Vies des Saints et des
Bienheureux selon l’ordre du calendrier avec l’historique des fêtes par les RR.
PP. Bénédictins de Paris, tomo XI, Paris 1954, p. 21, trad. mia). L’autore
di quest’osservazione, J. Dubois,
aggiunge: «È curioso osservare che in Gallia si aveva tentato, dal VI all’VIII
sec., di mettere una festa dei santi al 1° novembre assegnandole dei personaggi
il cui anniversario era sconosciuto: san Benigno di Digione, san Ludro di
Déols, san Maturino di Larchant, sant’Austremonio dell’Alvernia,
san Vigore di Bayeux, ecc.» (ibidem). Cfr. sulle tradizioni religiose della Gallia
relative al 1° novembre, v. E. Renardet, Vie et croyances des Gaulois avant la conquête romaine, Paris 1975,
pp. 186-187.
A noi è
sufficiente aver percepito nella solennità di Tutti i Santi l’espressione più
completa del culto collettivo dei martiri, che le traslazioni delle reliquie
aveva messo in onore tra l’VIII ed il IX sec.
Allorché il
culto delle reliquie poteva suscitare delle forme aberranti della religione e
condurre alla superstizione, i papi hanno costantemente sottolineato a Roma l’esigenza
spirituale di questo culto ed il suo orientamento essenzialmente cristologico.
Il Cristo, del resto, non è il martyrum
maximus præsul, secondo la magnifica espressione di un’iscrizione di san
Lorenzo in Lucina contemporanea di Adriano I (O. Marruchi, Basiliques et églises de Rome, Paris 1902, tomo 3, p. 408)?
La Chiesa
celebra gli anniversari dei martiri offrendo il sacrificio eucaristico de quo martyrium sumpsit omne principium
(J. Deshusses, Le Sacramentaire grégorien, Coll. Spicilegium Friburgense, 16,
Fribourg/Suisse, 1971, n. 245, p. 151. Il formulario data all’VIII sec.). L’ufficio che essa canta presso le
loro reliquie glorifica il Padre di tutte le meraviglie che ha compiute in loro
il Figlio nello Spirito Santo.
Secoli dopo, papa Sisto IV aggiunse un’ottava
alla festa.
Gli altri giorni, la liturgia celebre la memoria
di uno o di più santi in particolare. Oggi, al contrario, il Signore multiplicavit gentem et magnificavit lætitiam, secondo la parola di
Isaia; perciò la glorificazione del Cristo e della Chiesa in questo giorno è completa.
Lo
Spirito del Signore, come una misteriosa unzione di olio aromatico di cui parla
il Salmista, si è sparsa su tutto il corpo mistico del Cristo, santificando
tutti i suoi membri umili che siano, e preparandoli, per tale mezzo, ad una
gloria sublime. Sono gli Apostoli, i martiri, i membri della gerarchia
ecclesiastica, il laicato cattolico, i laboriosi operai, fino ai poveri schiavi
su cui sono scesi il Paraclito, che li ha innalzati ad una santità eroica.
Questo è il bel pensiero espresso in questo giorno dall’antifona di ingresso. La celebrazione annuale di Tutti i
Santi invita, dunque, i cristiani a fissare i loro occhi, al di là dei loro
umili resti, sul mondo invisibile in cui essi sono entrati seguendo la strada
tracciata dalle Beatitudini. Per riferimenti adoperati, rinviamo a Pierre
Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran
et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse,
1977, pp. 103-106.
Notiamo oggi l’espressione così profonda con la
quale la liturgia designa la Chiesa militante: il popolo fedele, cioè il popolo che va diritto davanti a sé verso l’eternità,
con gli occhi e la luce della fede. Qual è la ricompensa di questa fede
cattolica cresciuta, e continuamente vissuta, senza la quale nessuno può
arrogarsi legittimamente il titolo di fedele? Fides quid tibi præstat? domanda ancora oggi la Chiesa ai
catecumeni. – E questi rispondono: vitam æternam.
Siamo lieti di riportare oggi, in onore di tutti
i Santi, la bella iscrizione composta da papa Damaso in memoria di tutti i
giusti sepolti nel cimitero di Callisto:
HIC • CONGESTA • IACET • QVAERIS • SI • TVRBA • PIORVM
CORPORA • SANCTORVM • RETINENT • VENERANDA • SEPVLCHRA
SVBLIMES • ANIMAS • RAPVIT • SIBI • REGIA • CAELI
HIC • COMITES • XYSTI • PORTANT • QVI • EX • HOSTE • TROPHAEA
HIC • NVMERVS • PROCERVM • SERVAT • QVI • ALTARIA • CHRISTI
HIC • POSITVS • LONGA • QVI • VIXIT • IN • PACE • SACERDOS
HIC • CONFESSORES • SANCTI • QVOS • GRAECIA • MISIT
HIC • IVVENES • PVERIQVE • SENES • CASTIQVE • NEPOTES
QVIS • MAGE • VIRGINEVM • PLACVIT • RETINERE • PVDOREM
HIC • FATEOR • DAMASVS • VOLVI • MEA • CONDERE • MEMBRA
SED • CINERES • TIMVI • SANCTOS • VEXARE • PIORVM.
Qui, sappi che giace
raccolta una schiera di giusti.
I sepolcri venerandi
conservano i corpi dei Santi,
ma la reggia del cielo
ha rapito a sé le anime elette.
Qui sono i compagni di
Sisto, che innalzano i trofei riportati sul nemico;
Qui il gruppo degli
anziani (Papi), che custodisce gli altari di Cristo;
Qui è deposto il Vescovo
che visse nella lunga pace;
Qui i santi confessori (della fede) inviati
dalla Grecia;
Qui giovani, ragazzi e vegliardi
e le loro caste discendenze,
che vollero conservare
la loro purezza verginale.
Qui, anch’io, Damaso, lo
confesso, avrei voluto che le mie membra riposassero,
ma ebbi timore di
disturbare il riposo delle ceneri sante dei Beati
(San Damaso I, Carmen
XXXIII, De sepulcro suo, in PL 13, col. 407A-408A. Cfr. Antonio Baruffa, Le catacombe di San Callisto. Storia-Archeologia-Fede5,
Città del Vaticano 2004, pp.
83-84; Fabrizio Bisconti - Danilo
Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma. Origini, sviluppo apparati
decorativi, documentazione epigrafica, Regesburg 1998, pp. 175-176).
Quest’iscrizione si
trovava nell’ipogeo dei Pontefici del III sec., nel luogo in cui, con Sisto II,
erano sepolti quattro dei suoi diaconi, decapitati con lui, il Comites Xysti.
Il numerus procerum del quinto verso si
riporta alla serie dei Pontefici sepolti nel cimitero di Callisto, da Zefirino
sino a Milziade (salvo Callisto, Marcellino e Marcello).
Il Sacerdos che passò i suoi giorni
in una lunga pace è generalmente identificato con il papa Milziade, che vide finalmente
la pace della Chiesa sotto Costantino il Grande (Cfr. Henry Preston Vaughan Nunn, Christian Inscriptions, London 1920, p. 41; Mariano Armellini, Le
catacombe romane, Roma 1880, p. 259; Orazio
Marucchi, Éléments d’archéologie
chrétienne2, vol. II, Paris-Rome 1903, p. 146. È stata
anche avanzata la tesi, però, contrariamente a questa generale identificazione,
che riterrebbe essere questo Sacerdos
– termine che indicava propriamente il vescovo – il papa Marco).
I Confessores Sancti quos Græcia
misit
sono certamente i martiri Ippolito, Neone, Maria, Adria, Paolina, ecc., sepolti
nel luogo chiamato l’arenario di Ippolito,
mentre tra gli iuvenes,
castique pueri,
che conservarono intatto il giglio della loro verginità, deve essere contato
dapprima l’accolito Tarcisio e la martire Cecilia, che riposava nelle
vicinanze.
Con umiltà, Damaso
declinò l’onore di essere sepolto in mezzo ai suoi predecessori nell’ipogeo
papale; tuttavia, per essere vicino ai martiri, imitò il gesto del papa Marco e
si fece costruire, a poca distanza, una cripta speciale, dove depose anche il
corpo di sua madre Lorenza e di sua sorella Irene, vergine consacrata a Dio (Si
tratta, per l’esattezza, dei martiri Ippolito,
Adriano, Eusebio, Maria, Marta, Paolina, Valeria e Marcella: cfr. Agostino Amore, Eusebio, Marcella, Ippolito, Adria, Paolina, Neone, Maria. Martana e
Aurelio, in Bibliotheca
Sanctorum, vol. V, Roma 1991, coll. 272-274).
Carlo Saraceni, Il Paradiso, 1598, Metropolitan Museum of Art, New York |
Pieter Pawel Rubens, I SS. intercedono per placare l'ira divina sul mondo, 1618-19, Musée des beaux-arts de Lyon, Lione |
Pedro Atanasio Bocanegra, Vergine col Bambino venerata dagli angeli e dai Santi, 1667-74, Museo de Bellas Artes, Granada |
José de Páez, La gloria del Cielo, 1771-72, Mission Carmel, Diocese of Monterey, Monterey |
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