La più
antica attestazione della Dedicazione della Basilica del Santo Salvatore appare
in un manoscritto di Beda della regione di Geata, che H. Quentin ritiene
risalente alla fine del X o all’inizio dell’XI sec., in cui si legge: V Id. nov. dedicatio basilicæ Salvatoris domini nostri
Ihesu Christi.
Nel corso
dell’XI sec., essa è stata annunciata dal martirologio di san Pietro e dal
sacramentario di san Lorenzo in Damaso; forse anche dal
martirologio di Santa Maria in Trastevere, che menziona al 10 novembre una dedicatio sancti Johannis ad fontem.
Intorno
all’anno 1100, l’antifonario della messa identificato con Vat. lat.
5319, che è un manoscritto composto di 157 fogli e che si pensa di poter
attribuire (come editore) al Laterano, indica i testi dei canti per la dedicatio
Salvatoris; mentre il passionario del Laterano fornisce le letture dell’ufficio.
Nella seconda metà del XII sec., la celebrazione della dedicazione è attestata
a san Pietro e si svolge al Laterano con grande solennità. È a quest’epoca che
risale la celeberrima festivitas in
Urbe di cui parla il canonico Giovanni detto il Diacono, nella
sua Descriptio lateranensis ecclesiæ (Giovanni
Diacono, Descriptio lateranensis
ecclesiæ, 1, ora in R.
Valentini – G. Zucchetti, Codice Topografico della Città di Roma,
Coll. Fonti per la Storia d’Italia, 3, Roma 1946, p. 332), quando i
vari Ordini Romani notano che in tale circostanza la
chiesa veniva adornata di festoni e che, in quel giorno, il Pontefice, stando
in Roma, celebrava la messa ed i vespri della solennità.
Ricorda,
quindi, il canonico del Laterano l’imago Salvatoris infixa parietibus primum visibilis omni populo Romano
apparuit (ivi, p. 333), datando l’evento al 9 novembre.
Come però e
quando sia sorto quest’anniversario delle encenie del Laterano, ignorate dapprima dalla
classica tradizione liturgica di Roma per ben otto secoli, senza
alcun documento letterario o epigrafico che ne preservasse la traccia, ci
è ancora sconosciuto.
Tenendo
tuttavia conto che esse ricorrono dieci giorni prima di quelle di san Pietro e
di san Paolo, non sembra del tutto da escludere l’ipotesi, che siano state
istituite in relazione alla solennità inaugurale dei due massimi Santuari
Apostolici, al fine di celebrare, entro una stessa quindicina, le dedicazioni
delle tre maggiori basiliche costantiniane di Roma.
Sta il fatto
che, mentre il Geronimiano menziona le dedicazioni delle basiliche romane
restaurate o costruite da Sisto III, quali, ad esempio, santa Maria Maggiore
(il 5 agosto), san Pietro ad vincula (il 1° agosto), i Santi Sisto, Ippolito e
Lorenzo (il 2 novembre), invece omette qualsiasi menzione delle encenie
compiute da papa san Silvestro sulla via Cornelia, sull’Ostiense ed in Lateranis.
Come dunque
si giunse in Roma a stabilire il giorno del 9 novembre per l’anniversario della
dedicazione della basilica del Salvatore? Ci mancano i documenti, e non
possiamo quindi fare che delle ipotesi.
Fu già un
tempo tradizione liturgica in Roma che le varie chiese intitolate al Salvatore
celebrassero quest’oggi cumulativamente la loro dedicazione. Può essere che all’inizio
il 9 novembre ricorresse semplicemente l’anniversario della dedicazione di san
Salvatore in Thermis,
messa pur essa in relazione con Costantino, che ne sarebbe stato il primo fondatore.
Col tempo invece, la dedicatio
Sancti Salvatoris sarebbe
stata estesa a tutte le chiese urbane dedicate al Salvatore, comprendendovi
soprattutto l’augusto tempio del Laterano.
Si trova,
tuttavia, che nell’XI sec. apparve in certe regioni la festa intitolata ad una Passio ymaginis Domini, che è precisamente fissata al 9 novembre (Cfr. A. Olivar (a cura di), Sacramentarium Rivipullense,
Madrid-Barcelona 1964, p. 185. La colletta recita: OSD qui hunc diem
nobis celeberrimum contulisti …). Nel XII sec., la festa era celebrata su
entrambi i versanti dei Pirenei ed in Italia, dove il titolo più completo era: Passio ymaginis Domini Salvatoris o più
semplicemente Salvatoris mundi. Tra i
martirologi, quello di san Ciriaco è senza dubbio il primo a menzionare la
festa sotto il titolo di Miracula
domini Salvatoris, attestante anche che essa era conosciuta a Roma tra il 1024 ed
il 1043.
Questa
notizia apparve in seguito nei manoscritti tardivi di Usuardo, da cui passava
nel Martirologio romano. Baronio ha una lunga nota sulla Commemoratio imaginis Salvatoris. Egli sa
bene che la lettera declamata a Nicea non è di sant’Atanasio d’Alessandria come
si credeva. L’attribuisce, invece, a un vescovo siriano dello stesso nome
(Cfr. Martyrologium romanum... Accesserunt Notationes … auctore Cæsare
Baronio, pp. 552-553).
La festa
commemorava un miracolo riportato in una lettera attribuita a sant’Atanasio:
dei Giudei avevano colpito con una lancia un’immagine del Cristo a Beret (Beirut), in Fenicia (Libano), e da quest’icona ne sarebbe stillato sangue vivo ed acqua. A seguito di
questo miracolo, il vescovo della città avrebbe trasformato la sinagoga dei
giudei in una chiesa, dedicandola a Cristo Salvatore. La lettera in cui si
menzionerebbe il fatto fu letta alla IV sessione del II Concilio di Nicea (1°
ottobre 787) tra le testimonianze portate in favore del culto delle sante Icone (Mansi,
XIII, 23 s.). Nella lunga recensione di questa lettera apocrifa si leggeva che
il vescovo di Beirut prescrisse di celebrare il 9 novembre una festa che doveva
essere osservata non minore
reverentia quam natalis Domini vel Paschalis (Cfr. H. Delehaye, Martyrologium romanum scholis historicis instructum, Brüssel
1940, p. 507). Significativo è che a seguito della pretesa disposizione non si
trovi alcuna menzione di una tale festa nei calendari orientali dell’epoca,
sebbene in questo medesimo giorno, gli Orientali celebrino la
commemorazione dell’immagine prodigiosa del Salvatore profanata dai Giudei a
Beirut.
Sta di
fatto che dal X al XII sec., numerose chiese furono erette sotto il titolo
di San Salvatore. Si comprende, allora, che molte scelsero la
solennità del Domini Salvatoris, il 9
novembre, per la festa del titolare; anzi, si ritenne ugualmente in questo
giorno di fare la dedicazione di alcune di esse.
È così
che, all’inizio dell’XI sec., il calendario di un’abbazia del San
Salvatore, probabilmente quella del Monte Amiata a sud di Siena, annuncia
in questo giorno: S. Salvatoris. Nel XII sec., si videro
apparire in Francia, specialmente in Normandia e nel Nord Europa delle messe in memoriam Salvatoris DNIC, o de Salvatore, o in commemorationem Salvatoris, o in veneratione Domini ac Salvatoris nostri. Ma queste messe non sono mai legate ad un giorno fisso (se
non tra il sabato santo e la Pasqua). Sembra che si possa metterle in relazione
con le rappresentazioni del santo Sepolcro che si moltiplicarono all’epoca dei
crociati.
Fu così
anche al Laterano, in cui si venerava, al centro della conca absidale, la
celebre imago Salvatoris.
Non è da
escludere, pertanto, che questa festa orientale del Salvatore, divenuta
popolare anche tra i Latini ed iscritta perciò nei Martirologi, abbia offerto
il suo spunto alla solennità romana della basilica del Salvatore in Laterano.
Ma anche
senza voler pretendere di far risalire le encenie odierne sino ai tempi di papa
Silvestro, perché non metterle piuttosto in relazione con quelle altre che certamente
celebrò, in Laterano, papa Sergio III (904-911) quando, essendo crollata nell’897
la veneranda basilica Costantiniana, la riparò dalle fondamenta? Questo è l’interrogativo
che si pone il beato card. Schuster (A. I Schuster, Liber Sacramentorum. Note
storiche e liturgiche sul Messale Romano, vol. IX, I Santi nel Mistero della
Redenzione (Le feste dei Santi dalla Dedicazione di San Michele all’Avvento)2,
Torino-Roma, 1932, p. 127).
Al di là
delle ipotesi formulabili, sono tutti problemi che bisogna pel momento lasciare
ancora insoluti. Accontentiamoci per adesso di sapere che la dedicatio Sancti Salvatoris può vantare un’antichità di almeno
otto secoli, antichità quindi abbastanza veneranda.
Il Laterano
entra la prima volta nella storia ecclesiastica nell’anno 313, quando, secondo
quanto riferisce Ottato di Milevi, venne celebrato tra le sue mura, sotto papa
Melchiade o Milziade, un concilio contro i Donatisti: «convenerunt in domum
Faustae in Laterano» (Ottato di
Milevi, De schismate
Donatistarum adversus Parmeniarum libri VII, lib. I, 23, in PL 11, col.
931A). Fu precisamente verso quest’epoca, che Costantino aveva donato alla
Chiesa Romana l’antico palazzo dei Laterani, che era venuto probabilmente in
suo possesso come porzione della dote di sua moglie Fausta, sorella di
Massenzio (sebbene storicamente, nulla attesti che la Fausta citata da Ottato
sia proprio l’imperatrice, giacché, anzi, è assai difficile supporre che la
moglie di Costantino abbia mai posseduto un palazzo a Roma, in quanto sembra
non sia mai tornata in questa città dopo la sua nascita, sebbene non possa
negarsi un certo interesse per l’area, se si pensa che, a poca distanza,
sorgeva il palazzo del Sessorio, residenza romana di sua madre Elena).
A partire da
allora, il Laterano divenne la residenza abituale dei Papi, e come tale, può
essere da noi riguardato come un vivo monumento, anzi una religiosa Reliquia di
quella lunga serie di Pontefici Santi che vi risiedettero durante quasi dieci
secoli. Quanta storia, dunque, quanta poesia, quanta arte tra quelle mura
bimillenarie, e che videro una dinastia pontificia assai più continua che non
qualsiasi altra più lunga dinastia di sovrani!
Fu là, in
Laterano, che, ad insinuazione di papa Silvestro, Costantino trasformò, o
eresse la prima basilica “dedicata” in Roma al Salvatore il 9 novembre del 312,
dunque a sole due settimane di distanza dalla battaglia di ponte Milvio (Va
precisato, tuttavia, che verosimilmente col termine ‘dedica’ deve intendersi
propriamente la semplice cessione dei terreni destinati all’edificazione della
chiesa, mentre la consacrazione vera e propria sarebbe avvenuta nel 318: Cfr.
R. Krautheimer, Three Christian Capitals: Topography and Politics, Berkeley 1983, p. 15).
Ed avvenne
così che le sale termali dell’antico palazzo di Plauzio Laterano, caduto
vittima della crudeltà di Nerone, furono trasformate in battistero cristiano,
dove trionfò appunto quella medesima Croce che Nerone aveva voluto fosse
divelta dalla Città dei sette colli. Il bottino di Nerone divenne dopo tre
secoli la pacifica eredità dei successori di san Pietro!!! Paradossi della
storia.
La disputa
se il Laterano, e non piuttosto la basilica vaticana, sia la cattedrale di
Roma, non ha senso per gli antichi secoli ai quali ci riferiamo. Sarebbe un
anacronismo parlar di cattedrale a Roma nell’Alto Medioevo, quando col
sistema della liturgia stazionale il Papa officiava, non già una determinata
chiesa, ma tutte quante le basiliche ed i titoli urbani e del suburbio. Egli,
nell’Alto Medioevo, risiedeva in quello che si riteneva fosse stato il palazzo
di Fausta; quando tuttavia doveva celebrare qualche solennità, l’Epifania, il
battesimo pasquale, l’Ascensione, la Pentecoste, le sacre Ordinazioni, le
incoronazioni dei re, allora era sempre in san Pietro dove si adunava la
stazione, perché era lì che, nel battistero, si conservava la cattedra di san
Pietro. Era perciò in quel luogo che il Papa doveva iniziare il suo
pontificato; era ancor lì che lo doveva chiudere con la sua sepoltura.
Solo più
tardi, col declinare del sistema liturgico stazionale e con lo
svilupparsi dell’esteriore potenza del pontificato, prevalse il concetto
fondato sullo stato di fatto che, essendo il Laterano la residenza pontificia,
ne fosse perciò anche la cattedrale in confronto con gli altri titoli dell’Urbe.
Questo concetto venne formandosi a poco a poco; e si affermò in tutto il suo
possente splendore verso l’VIII sec., quando l’episcopium divenne anche la sede del governo, ed
il successore di Silvestro raccolse indiscutibilmente nelle sue mani la duplice
eredità di Pietro insieme a quella di Costantino.
Di fronte
alle varie giurisdizioni monastiche, capitolari o vescovili che vennero allora
a disputarsi i vari santuari dell’Urbe, la basilica del Salvatore assorse all’altezza
di simbolo dell’universale autorità pontificia.
Perciò, non
bastò più che dei semplici monaci o dei chierici celebrassero le divine lodi in
quel sacro recinto.
Come sugli
altari dei Principi degli Apostoli, Pietro e Paolo, già da più secoli i
presbiteri dei vicini titoli, si davano quotidianamente il turno per la messa
solenne, cosi adesso per l’altare del Laterano non altri vennero designati a
fungere da celebranti ebdomadari nella cattedrale del Papa che gli stessi
vescovi suburbicari. Il primo nucleo del collegio cardinalizio attorno al
Pontefice, in tal modo era costituito.
Ed eccoci
giunti alla famosa iscrizione in versi leonini, incisi sull’epistilio
del portico del Laterano:
DOGMATE •
PAPALI • DATVR • AC • SIMVL • IMPERIALI
QUOD • SIM •
CVNCTARVM • MATER • CAPUT • ECCLESIARUM
HINC •
SALVATORIS • CAELESTIA • REGNA • DATORIS
NOMINE •
SANXERUNT • CVM • CVNCTA • PERACTA • FVERVNT
QVAESUMUS •
EX • TOTO • CONVERSI • SVPPLICE • VOTO
NOSTRA •
QVOD • HAEC • AEDES • TIBI • CHRISTE • SIT • INCLYTA • SEDES
Per diritto
papale ed insieme imperiale,
è stabilito
che io sia la Madre di tutte le Chiese.
Quando l’intero
edificio fu terminato,
vollero
intitolarmi al Divin Salvatore, elargitore del regno celeste.
A nostra
volta, con umile voto a Te rivolti,
ti
preghiamo, o Cristo,
perché Tu
di questo tempio faccia la Tua inclita sede.
NICOLAVS • ANGELI • FECIT • HOC • OPVS.
Nella
cattedra posta nell’emiciclo della tribuna si leggeva questo tetrastico in
versi leonini, opera del XII sec.:
HAEC • EST • PAPALIS • SEDES • ET • PONTIFICALIS
PRAESIDET • ET • XPI (CHRISTI) • DE • IVRE • VICARIVS • ISTI
ET • QVIA •
IVRE • DATVR • SEDES • ROMANA • VOCATVR
NEC •
DEBET • VERE • NISI • SOLVS • PAPA • SEDERE
ET • QVIA
• SVBLIMIS • ALII • SVBDVNTVR • IN • IMIS
Questo è il
trono papale e pontificale,
dal quale
presiede, di diritto, il Vicario di Cristo.
Si chiama
sede di Roma, quale stabilita dal diritto;
sulla quale
perciò non può assidersi altri che il Papa.
Poiché
questo è il più alto trono della terra,
tutti gli
altri gli sono inferiori ed a lui debbono essere sottomessi.
Cattedrale
Pontificia e Madre di tutte le Chiese, la basilica del Salvatore dalla fede del
mondo cattolico è stata sublimata alla dignità di simbolo dell’autorità
pontificia.
Lo affermava
già Dante nei suoi versi:
Veggendo
Roma e l’ardüa sua opra,
stupefaciensi,
quando Laterano
a le cose
mortali andò di sopra (Par.
XXXI, 34-36).
La liturgia
poi ha consacrato anch’essa questa fede dalla famiglia cattolica, con lo
splendore dei suoi riti: di modo che, le odierne encenie lateranensi, da Pio X sono state
equiparate di grado alle maggiori solennità del ciclo festivo, col rito cioè di
doppio di seconda classe per tutta la Chiesa latina.
E così la
liturgia ha risolto praticamente in favore della basilica del Salvatore la
questione agitata già col tempio vaticano, a quale dei due spetti cioè la
dignità di sede cattedrale pontificia.
Inchiniamoci
pertanto a baciare la soglia di questa sacra aula del Salvatore, nella quale
all’indomani della vittoria Costantiniana ad
saxa rubra, primo brillò agli occhi dei Romani stupefatti il labaro gemmato
e sfavillante del trionfatore: ΕΝ • ΤΟΥΤΩ • ΝΙΚΑ, In hoc vinces. E qui davvero il
Pontificato Romano, per lungo corso di secoli alternando lotte e trionfi,
giorni di umiliazione e di lieta vittoria, ΕΝ
ΤΟΥΤΩ, nell’unico segno della Croce, ha combattuto ed ha vinto il mondo,
senza che mai le potenze dell’Inferno, le portae
inferi, siano riuscite a prevalere contro la Chiesa.
Abbiamo già
detto che la festa non è antica; quindi neppure il formulario
della messa, la quale, tranne le collette, la si prende interamente dal 13
maggio per la dedicazione del Pantheon.
Nell’antica
liturgia Romana, le encenie erano regolarmente considerate come feste in onore
dei Santi ai quali il tempio era dedicato, e dei quali perciò si celebrava
anche l’ufficio. Ecco quindi le ricorrenze dei santi Filippo e Giacomo (1
maggio), di san Pietro in Vincoli (1 agosto), di santa Maria Maggiore (5
agosto), di san Michele (29 settembre), di santa Cecilia (22 novembre), ecc.,
che in origine non ricordavano altro che le encenie delle rispettive basiliche
a Roma. Se l’odierna festa fosse antica, invece del Comune Dedicationis Ecclesiae, noi
oggi avremmo certamente una bella messa – quella magari di Cristo Re - in onore
del Divin Salvatore. Invece la basilica Lateranense, quando ha voluto conseguire
la propria festa titolare, ha dovuto adottare quella della Trasfigurazione,
istituita soltanto sotto Callisto III.
Nessun commento:
Posta un commento