Ancora sul martirio della giovane coppia pakistana avvenuto lo scorso 4 novembre. Avevamo riferito la testimonianza del figlio della coppia, miracolosamente
– è il caso di dire – scampato all’uccisione, secondo la quale i suoi genitori
sarebbero stati malmenati, legati ad un trattore e, condotti al forno per
mattoni, ivi gettati vivi.
Oggi apprendiamo altri particolari del glorioso martirio di questo veri
neo-atleti e testimoni di Cristo.
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Pakistan. Mentre bruciavano vivi due cristiani, la polizia c’era ma
stava a guardare. «Proteggono i reali colpevoli»
di Leone Grotti
Secondo nuove ricostruzioni dell’omicidio di Shehzad e Shama, sono
stati diversi imam a fomentare la folla di musulmani dalle moschee. Testimoni:
«Avevano gli occhi iniettati di sangue»
La polizia c’era. Ma
non ha fatto niente. Quando una folla di centinaia di musulmani ha bruciato vivi i
coniugi cristiani Shehzad Masih e la moglie Shama Bibi le forze dell’ordine
erano presenti sul luogo ma si sono rifiutate di intervenire per fermare
l’omicidio.
IL VILLAGGIO ODIATO. È quanto emerge da nuove ricostruzioni effettuate
da British Pakistani Christians.
Secondo l’associazione, le vittime erano state schiavizzate dal
datore di lavoro Mohammed Yousuf Gujjar, nella sua fabbrica di mattoni nel
villaggio Chak 59, ed erano malviste dalla popolazione musulmana locale perché
originarie del vicino villaggio cristiano Clarkabad. Nonostante l’alta
disoccupazione, il villaggio è odiato e invidiato perché ha l’elettricità, un
ufficio postale, una banca e una scuola.
«CONVERTITEVI
ALL’ISLAM». I genitori di quattro figli,
uno dei quali dato in adozione a uno zio per l’estrema povertà della coppia,
erano andati a lavorare in fabbrica insieme ai cinque fratelli di Shehzad e
alle rispettive famiglie. Le violenze sono cominciate quando nel villaggio e in
quelli confinanti è circolata la voce secondo cui la donna avrebbe bruciato pagine
del Corano. Un gruppo di estremisti ha allora affrontato la coppia, ordinando
loro di pentirsi e di convertirsi all’islam. Shehzad e Shama hanno rifiutato e
hanno pianificato la fuga, ma non sono potuti scappare a causa dei soldi che
ancora dovevano al proprietario della fabbrica. Per impedire che fuggissero, il
proprietario ha imprigionato Shama.
IMAM ESTREMISTI. Secondo le ultime notizie, la mattina del 4
novembre all’alba una piccola folla si è riunita davanti alla casa della coppia
per vendicarsi per la presunta blasfemia. Una guardia della fabbrica ha chiesto
a Shehzad di andare a consolare Shama nella stanza dov’era rinchiusa. Nelle ore
successive, alcuni lavoratori della fabbrica hanno chiesto manforte nei
villaggi vicini. Gli imam, attraverso gli altoparlanti delle moschee, hanno
incitato una folla di centinaia di musulmani a vendicarsi della blasfemia.
«OCCHI INIETTATI DI
SANGUE». Arrivati alla fabbrica,
hanno preso la coppia e l’hanno picchiata con asce e bastoni. «Avevano gli
occhi iniettati di sangue», secondo un cristiano che ha assistito alla scena.
Poi li hanno attaccati con una corda a un trattore e trascinati lungo una
strada piena di pietre e sassi, mentre la folla continuava a colpirli. Arrivati
davanti ai forni della fabbrica, li hanno cosparsi di benzina e gettati nella
fornace. Shehzad era sicuramente ancora vivo, forse la moglie era già morta per
le violenze. La polizia ha assistito a tutta la scena ma si è rifiutata di fermare
la folla.
INDAGINI SOSPETTE. Nonostante l’arresto di 44 indagati e la promessa del premier Nawaz Sharif di non avere «alcuna pietà» per questo «crimine inaccettabile», la polizia si è comportata in modo strano. Non ha permesso ai familiari delle vittime di sporgere denuncia, ma l’ha fatto in modo autonomo scrivendo nel rapporto i nomi della coppia in modo sbagliato. Si è anche rifiutata di inserire nel rapporto le testimonianze dirette di chi ha assistito alla barbarie.
Ha infine impedito che la comunità cristiana organizzasse un grande funerale, per timore di manifestazioni, e ha seppellito i pochi resti (foto a sinistra) di Shehzad e Shama in fretta e furia. Secondo un giornalista pachistano, la polizia sta cercando di «proteggere i reali colpevoli».
Fonte: Tempi, 13.11.2014
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