Oggi,
memoria liturgica tradizionale dei SS. Zaccaria ed Elisabetta, genitori del Precursore, su segnalazione, ben volentieri rilancio sul blog questo magistrale
intervento del card. Brandmüller tenuto lo scorso 25 ottobre a Norcia.
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ALL’EUROPA IN CRISI SERVE UNA «RIVOLUZIONE» CATTOLICA. IL CARDINALE
BRANDMÜLLER SPIEGA PERCHÉ
Pubblichiamo
lo splendido intervento del cardinale Walter Brandmüller, presidente emerito
del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, alla giornata di commemorazione
del 50° anniversario della proclamazione di san Benedetto patrono d’Europa, che
si è tenuta sabato 25 ottobre a Norcia. Intervento sul tema «Il contributo
della Chiesa al futuro dell’Europa».
di Walter
Brandmüller
Da quando -
avviato dai grandi europeisti e cattolici Adenauer, De Gasperi e Schumann - si
è messo in moto il processo di unificazione europea, nelle conferenze, nelle
pubblicazioni e così via, si evocano le radici cristiane dell’Europa, di
quell’Europa la cui identità spirituale e culturale, cresciuta in questi due
millenni, risale a un’eredità garantita dai nomi Atene, Gerusalemme e Roma. Di
Mecca e Medina non si parlerà nel presente contesto.
Ma non è di
questo che ci occuperemo oggi. Il nostro sguardo si volge piuttosto verso il
futuro e domandiamo: che contributo può dare la Chiesa cattolica - che ci ha
trasmesso questa eredità e continua a tramandarla ancora oggi - per plasmare
l’Europa del futuro, affinché diventi degna dell’uomo, umana e quindi anche
corrispondente alla volontà del Creatore?
Non
dimentichiamo, poi, che la Chiesa non è solo annunciatrice del Vangelo di Gesù
Cristo, ma si è sempre compresa anche come custode del patrimonio spirituale
naturale, del vero, del buono e del bello. La grazia presuppone la natura.
Perciò, ancor prima dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, il contributo
della Chiesa al futuro dell’Europa consiste nel ripristino - per così dire -
delle basi naturali della vita umana, della società umana.
LA REALTÀ
SOCIALE ATTUALE
Per comprendere che si tratta di una
necessità vitale è sufficiente uno sguardo anche solo superficiale alla realtà
sociale attuale. Essa mostra, in tempi preindustriali, inaridimenti morali
inimmaginabili.
Possiamo
citare qualche esempio. La vita e la salute della popolazione vengono messe in
pericolo attraverso la produzione e la distribuzione di generi alimentari
avariati. Imprenditori edili utilizzano materiali scadenti con il rischio che
gli edifici crollino. Operatori economici causano, attraverso speculazioni
sconsiderate, il caos dei mercati finanziari. Bambini vengono rapiti, mutilati,
uccisi, per commerciare i loro organi in tutto il mondo. Dietro a discutibili
ricerche di biotecnologia si nascondono grandi interessi finanziari. A ciò si
aggiunge il decennale scandalo dell’aborto, al quale corrisponde in maniera
sempre crescente l’eutanasia. E qui mi fermo.
Tutte queste
cose, che fanno ormai parte del quotidiano e quindi vengono sempre meno
percepite, sono indizi di una decadenza dell’umanità e della cultura - un
ritorno alla barbarie - di dimensioni quasi impensabili. É possibile - ed è
questa una domanda inquietante - è possibile costruire su queste basi un’Europa
in cui valga la pena vivere? Un’Europa che possiamo augurare alle generazioni
future?
LA LEGGE
MORALE NATURALE
È dunque arrivata l’ora della
Chiesa, dei cattolici.
Al centro
c’è in primo luogo la legge morale naturale, della quale la Chiesa cattolica si
considera e si dimostra da sempre protagonista. La legge morale naturale non è
affatto una specialità cattolica, una norma che esiste solo per i cattolici.
Per questo l’annuncio etico dei pontefici si rivolge “a tutti gli uomini di
buona volontà”, giacché le norme e i principi indicati non risultano solo dalla
rivelazione biblica, bensì dall’essenza dell’uomo e del inondo, dalla loro
natura. È in questo senso che parliamo anche di legge naturale. Contro di essa
si solleva naturalmente l’energica protesta della scuola giuspositivista, che
vuole riconoscere come diritto soltanto ciò che è stato dichiarato norma e
legge da una autorità legislativa legittimata, qualunque essa sia.
Così, però,
si spiana la strada a un relativismo incontrollabile del diritto, le cui
conseguenze non possono che far fallire detta teoria.
Il dilemma
del giuspositivismo diventa eclatante se si prendono per esempio i processi di
Norimberga. Non può esservi alcun dubbio sul fatto che il violento regime
nazionalsocialista sia giunto al potere in maniera legale. Gli organi
costituzionali da esso creati avevano pertanto un potere anche legislativo
-legittimo. Dunque, le leggi da essi promulgate, che vietavano i cosiddetti
matrimoni misti, che ordinavano la sterilizzazione forzata dì persone affette
da presunte tare ereditarie e l’uccisione di persone con disabilità mentale, e
tante altre ancora, secondo il giuspositivismo erano indubbiamente norma vigente.
Era dunque
legittimo processare e punire quanti avevano applicato quelle leggi? O erano
solo vittime innocenti di una giustizia vendicativa delle potenze vincitrici?
In sintesi, lo spunto giuspositivista porta fuori strada e conduce al caos.
Quel che
rimane è la legge morale naturale, che risulta dall’ordine metafisico che abita
l’intero creato ed è riconoscibile con la ragione. È ciò che la Chiesa ha
annunciato sin dalle sue origini, e che è stato sviluppato e spiegato dalla
filosofia e dalla teologia scolastica- t l’unica base solida della vita morale
individuale e sociale.
Non era
possibile non aspettarsi che la Chiesa, annunciando questa legge morale,
riscontrasse una forte opposizione da parte dei diversi sistemi filosofici
dell’epoca moderna, e nemmeno in futuro le cose cambieranno.
Bisogna però
ricordare che, così come la natura umana è la stessa nello spazio e nel tempo,
se la vita individuale e sociale deve funzionare, anche l’agire morale
dell’uomo deve orientarsi a principi e norme che attraversano lo spazio e il
tempo, risultanti dalla natura-persona dell’uomo.
Nell’enciclica Veritatis splendor Papa
Giovanni Paolo Il osserva a tale proposito: “solo nell’obbedienza alle norme
morali universali l’uomo trova piena conferma della sua unicità di persona e
possibilità di vera crescita morale [...]. Queste norme costituiscono, infatti,
il fondamento incrollabile e la solida garanzia di una giusta e pacifica
convivenza umana, e quindi di una vera democrazia” (n. 96).
“Così, solo
una morale che riconosce delle norme valide sempre e per tutti, senza alcuna
eccezione, può garantire il fondamento etico della convivenza sociale, sia
nazionale che internazionale” (n. 97).
Si tratta
qui di un complesso di principi e di norme che - è bene ripeterlo - esisteva
già molto prima di qualunque legislazione, poiché è radicato nell’ordine
dell’essere stesso, e al quale ogni legislazione deve misurarsi se vuole
avanzare la pretesa di essere giusta. Già Graziano affermava: “Ius autem dictum, quia iustum est”,
ovvero “è diritto ciò che è giusto”, e non il contrario: “è giusto ciò che è
diritto”.
LA VERITÀ
Se il primo contributo che la Chiesa
può dare è il riferimento alla fondamentale importanza della legge naturale per
il futuro dell’Europa, il secondo consiste nel far comprendere’ alla società
che cosa significa per lei la verità.
Che la sola
menzione di questo termine susciterà una tempesta di obiezioni, lo accettiamo
tranquillamente. Pilato ha trovato molti successori sia nell’antichità, sia più
recenti. E non c’è fine alle definizioni della verità.
Tuttavia: le
- chiamiamole - correnti di pensiero filosofico ostili alla verità - poiché di
sistemi non si può certo parlare - che si sono fatte sentire soprattutto a
partire dal tardo XVII secolo, dovranno pure accettare che si domandi loro
quali frutti sociali, culturali e politici ha dato la loro dimenticanza della
verità.
Ci sono
anzitutto gli utilitaristi come Thomas Hobbes, John Stewart Mill o Auguste
Conte, per i quali iI criterio decisivo dell’azione umana è la sua utilità,
ovvero il successo. Un esempio classico di utilitarismo applicato è il sommo
sacerdote Caifa, che, tra le altre cose, giustifica la condanna a morte di Gesù
dicendo che è meglio che muoia una persona sola piuttosto che soffra l’intero popolo.
Che le accuse che vengono rivolte siano vere o meno non ha nessuna importanza
per l’utilitarista.
Poi c’è il
pragmatismo - prodotto tipicamente americano del XIX secolo -, il quale insegna
che la verità non ha un significato proprio, ma risulta dall’utilità di un
pensiero per affrontare le questioni pratiche. Il criterio della verità è la
fattibilità. Qui va ricordato Ponzio Pilato, che crea pace e ordine a
Gerusalemme, cede al popolo, libera l’idolo della folla Barabba e fa
crocifiggere Gesù. Anche lui non si pone la questione della verità.
Ancor più
radicale è il relativismo, che annuncia con enfasi che una verità assoluta,
completa, e quindi anche norme morali generalmente valide, non esistono, che
non possono esistere, poiché ogni riconoscimento dipende dalle circostanze
individuali o storico-culturali, che sono in costante mutamento. Chi invece
afferma di aver riconosciuto la verità, e così soggetto eo ipso al giudizio di
condanna e alla dura intolleranza dei relativisti, che però, assolutizzando il
loro relativismo in questo modo, lo portano all’assurdo.
Non dovrebbe
essere troppo sbagliata la constatazione che le cause delle grandi catastrofi
politico-culturali del XX secolo, come anche dei fenomeni attuali di decadenza
appena citati, risiedono - forse anche in maniera prevalente - in questo
atteggiamento mentale molto diffuso, per il quale la verità non è rilevante.
Occorre
quindi porre grande enfasi sulla riscoperta dell’importanza della verità per il
nostro pensiero e la nostra azione. Le domande decisive non devono essere “a
che serve” o “è fattibile?”, bensì: “è vero?”, “corrisponde a verità?”. Porre
questi interrogativi anche solo in relazione alla vita ecclesiale
significherebbe dare un primo contributo a ciò che Benedetto XVI ha definito “liberazione
dalle forme di mondanità” e che Papa Francesco esige.
La risposta
presuppone necessariamente l’esistenza e la riconoscibilità di una verità
sovrasoggettiva. Senza di essa, la comunicazione tra le persone o le comunità è
impossibile. Senza di essa si giunge all’atomizzazione della società, nella
quale poi i singoli “atomi”, ovvero le persone, stanno l’uno accanto o contro
l’altro, il che non può che produrre il bellum
omnium contra omnes e il homo homini lupus di Thomas Hobbes.
Le suddette
correnti di pensiero dell’utilitarismo e del pragmatismo non vanno però
rifiutate solo per le loro devastanti conseguenze pratiche, ma devono essere
considerate insostenibili anche, e ancor più, per le loro contraddizioni
interne. La verità della ragione, che nessuno mette in dubbio, sarebbe assurda
senza l’esistenza e la riconoscibilità della verità. A che cosa servirebbe la
ragione? Solo per dimostrare che la verità non esiste? Senza verità la ragione
è inconsistente e quindi inutile.
In modo
analogo, il fatto che esistono occhi e orecchie presuppone anche l’esistenza di
forme e di colori, o di suoni e di rumori, se non vogliamo considerare gli
occhi e le orecchie solo degli inutili capricci dell’evoluzione. Similmente,
anche il relativismo porta se stesso all’assurdo. Se tutti hanno una verità
individuale, è inevitabile che tante di queste verità si scontrino, si
contraddicano. Ma poiché nel relativismo non esiste un criterio vincolante per
il vero e il falso, ovvero il bene e il male, la conseguenza non può che essere
la paralisi totale o il caos. Il relativismo si dimostra - anche per altre
ragioni - una strada sbagliata del pensiero.
Di fatto
esiste però l’esperienza diretta della verità, che viene confermata dalla
realtà. La verità di una teoria medica viene confermata quando la sua
applicazione porta alla guarigione. Se - tanto per indicare un altro esempio -
è possibile, attraverso calcoli tisici-matematici, fare atterrare gli
astronauti in un determinato quadrante della superficie lunare, è solo perché
le leggi della fisica sulle quali poggia l’impresa e i calcoli che si basano su
di esse sono veri. Poter toccare con mano, come in questi casi, l’adaequatio intellectus et rei,
è un’esperienza intellettuale straordinaria!
A
prescindere dal fatto che né la ragione umana, né l’universo possono essere
spiegati da se stessi, ma solo come realtà creata, la cosa più sorprendente in
ciò è la perfetta armonia, l’intrecciarsi, il riferimento reciproco del pensare
e dell’essere, della verità e della realtà. Ciò però rimanda inevitabilmente a
un’istanza che sovrasta e abbraccia tutto il pensare e l’essere, ovvero il Creator Spiritus.
LA
TRASCENDENZA DI DIO
Se finora si
è parlato dell’importanza fondamentale per il futuro dell’Europa - e del mondo
- di una riscoperta della legge morale naturale e della verità, il riferimento
appena fatto al Creatore del mondo e dell’uomo solleva il tema decisivo per
antonomasia, ovvero “Dio”.
Proprio come
la vita umana non può riuscire senza la legge morale naturale e il radicamento
nella verità, così anche l’esistenza del inondo e dell’uomo non può essere
concepita senza Dio. Si tratta dunque di rendere consapevole la società europea
di oggi e di domani dei suo fondamentale riferimento trascendente.
Un
individuo, una società, che non riconosce o che addirittura nega volutamente
questo rapporto essenziale con la trascendenza, si preclude la dimensione
decisiva dell’esistenza umana. Il fatto che a questo sia collegata, per
principio, una rinuncia a ciò che è vero, buono, bello e santo, appare evidente
se si tiene conto che la fonte di tutto il verum, bonum, pulchrum e sacrum finiti è il
Creatore infinito ed eterno di ogni essere.
In sostanza,
il contributo decisivo della Chiesa al futuro dell’Europa consiste nel tenere
aperto l’accesso alla trascendenza.
IL METODO: “HUMANUM”
Forse adesso
qualcuno si stupirà che, pur spiegando il contributo della Chiesa al futuro
dell’Europa, finora non è stata detta una sola parola sulla fede cristiana, la
rivelazione e il Vangelo, quando in fondo la nuova evangelizzazione del nostro
continente è una grande preoccupazione della Chiesa.
Che non c’è
stata nessuna omissione ce lo dice Papa Benedetto XVI quando parla di un
“cortile dei gentili”, alludendo allo spazio davanti all’antico tempio di
Gerusalemme nel quale poteva entrare anche chi non era ebreo.
Prima ancora
di qualsiasi annuncio del Vangelo, infatti, la Chiesa comprende se stessa anche
come avvocata dell’uomo, dell’humanum.
Per questo considera come suo compito anche la riparazione delle fondamenta
umane. Si muove dunque in uno spazio pre-religioso e perciò può parlare con
ogni interlocutore che sia privo di pregiudizi e aperto a un dibattito
razionale. In tal anodo si possono creare i presupposti per l’annuncio e
l’accoglimento del Vangelo. Cercando di riportare nella coscienza della società
la legge morale naturale, l’importanza della verità e il riferimento a Dio del
mondo e dell’uomo, essa prepara il terreno inaridito e avvelenato dalle
ideologie del XX secolo per la semina del Vangelo.
LA FORZA DELL’ARGOMENTAZIONE
La domanda
che si pone ora, però, è se un tale sforzo è destinato ad aver successo. Di
certo c’è che la misura dell’influenza esercitata dalla Chiesa su una società
che s’intende laica è determinata prima di tutto dal numero dei fedeli e dal
loro peso sociale e politico. La Chiesa ha solo l’influenza e il potere che la
società è disposta a concederle, Ciò però significa anche - e vorrei qui aprire
una parentesi - che i fenomeni negativi nella storia più recente dell’Europa
non sono nati dalla attuazione di principi cristiani, ma piuttosto
dall’allontanamento da essi. t bene ricordare anche che i politici di oggi e di
domani, diversamente da quelli del tardo XIX secolo e del periodo dopo la
seconda guerra mondiale, non dispongono più di un braccio politico come quello
rappresentato dai partiti cristiani del passato. A ciò sì aggiunge poi che i
media, che determinano l’opinione pubblica, fatte sempre più rare eccezioni, si
trovano in mani che certamente non sono disposte ad aiutare la missione della
Chiesa.
Che
possibilità hanno, dunque, la Chiesa e i cattolici di dare il contributo appena
descritto al futuro dell’Europa?
Resta loro
solo la forza dell’argomentazione. E questa argomentazione - a prescindere da
tutto il resto - è una domanda, per di più utopistica: che aspetto potrebbe
avere questa Europa, che genere di società potrebbe nascere, che cultura
verrebbe creata, se l’Europa del domani, almeno nei suoi strati pensanti, si
decidesse a porre alla base del modellamento di questo continente, che si sta
sempre più unificando, la Magna
Charta della comprensione cattolica dell’uomo e del mondo?
Significherebbe
soltanto che sarebbero la legge naturale secondo la comprensione classica, il
decalogo dell’Antico Testamento e il discorso della montagna del Nuovo
Testamento a costituire il metro sul quale misurare le norme per la vita sia
privata sia sociale. Non c’è alcun dubbio che una tale società sarebbe di gran
lunga più umana di quella dove il potere del più forte riesce a spianare la
strada allo sconfinato egoismo dell’individuo, dove il più debole non ha alcuna
possibilità, e dove il danaro, il potere e il piacere sono considerati gli
obiettivi massimi della vita.
Se, d’altro
canto, all’intoccabilità della persona, alla responsabilità del singolo per il
tutto, al rispetto verso il creatore e le creature, alla dignità del matrimonio
e della famiglia, si attribuisse il “rango di costituzione”, certamente non ne
conseguirebbe il paradiso in terra. Tuttavia, su queste fondamenta, nonostante
la fragilità delle realizzazioni terrene, potrebbe nascere una società molto
più umana rispetto a quella in cui viviamo oggi. Si tratta di un’utopia come
quella della “pace perpetua” di Kant? Come dimostra l’utopia marxista di una
società priva dì classi, le utopie dispiegano la propria forza, che nel caso di
Marx è distruttiva. Allora perché anche l’utopia di un’Europa cristiana non
dovrebbe dare prova della sua dinamica modellante, costruttiva?
Intanto
l’Europa può guardare indietro a un secolo di catastrofi, nate come ultime
conseguenze delle ideologie nazionalsocialista e marxista, il cui errore, così
ostile all’uomo, si è dimostrato in maniera tanto perentoria. Nella tragica
situazione storico-culturale attuale, si pone in effetti la domanda se questa
Europa scossa dalle crisi non voglia tirare fuori la curiosità e il coraggio
per osare l’ “esperimento cattolico”.
Tale domanda
è un appello a tutte le persone che, per la loro preparazione e posizione
sociale, possono influenzare la formazione di una coscienza pubblica che
perlomeno non si chiuda al messaggio cristiano. Ciò significa che ognuno di
noi, nel proprio ambito di vita, deve sostenere questo obiettivo con
consapevolezza e tenacia.
Fonte: Il Timone, 1.11.2014
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