La solennità di questo grande apostolo delle Indie cade a proposito a due giorni di distanza da quella di sant’Andrea, poiché essa dimostra la potente vitalità della Chiesa che, in tutti i tempi, con le opere, le parole ed i miracoli, è sempre uguale a se stessa, sempre giovane, sempre bella, sempre divina.
Nel 1541-42, san Francesco
Saverio, il cui nome per esteso era Francisco de Jasso Azpilcueta Atondo y Aznares de Javier, fu mandato nelle Indie; dal 1549 al 1551 il suo campo di azione fu il
Giappone. Percorse un numero incalcolabile di regioni, sempre a piedi e spesso
a piedi nudi. Portò la fede al Giappone ed in sei altri regni. Convertì
centinaia di migliaia di infedeli al Cristo. Addirittura egli stesso riferiva
che in un solo giorno battezzò circa diecimila persone ed addirittura per il
tanto battezzare giungeva a stancarsi le braccia. In una lettera del gennaio
1544, indirizzata ai Compagni residenti in Roma, scriveva infatti: «Tanta è grande la moltitudine di coloro che si
convertono alla fede di Cristo, che molto spesso mi accade di avere le braccia
stanche battezzare [...] vi sono giorni in cui
battezzo tutto un villaggio» (San Francesco Saverio, Lettera n. 20, Ai
Compagni residenti in Roma, Cochín, 15 gennaio 1544, § 8, in Francesco Saverio, Dalle terre dove
sorge il sole. Lettere e documenti dall’Oriente – 1535-1552, con introduzione,
trad. e note di Adriana Caboni, e con
Prefazione di Francesco Scorza
Barcellona, Roma 2002, p. 111-112). Ed un anno dopo: «Quanto
alle notizie di questi luoghi dell’India,
vi faccio sapere che in un regno dove vado Dio nostro Signore ha indotto molta
gente a farsi cristiana e di conseguenza in un mese ho battezzato più di
diecimila persone [...]. Finito di battezzare
la gente, ordino di demolire le case dove custodivano i loro idoli e, dopo che
son divenuti cristiani, faccio in modo che rompano in minutissimi pezzi le
immagini degli idoli. Non finirei mai di scrivere la grande consolazione che
prova la mia anima nel vedere distruggere gl’idoli per mano di coloro che erano
idolatri. [...] Finito di fare ciò in un villaggio, vado in un altro e
in questo modo cammino di luogo in luogo facendo cristiani, e ciò con molte
consolazioni, assai più grandi di quelle che potrei scrivervi per lettera o
spiegarvi di persona» (Id., Lettera n. 48, Ai Compagni residenti in Roma, Cochín,
27 gennaio 1545, § 2, ivi, pp. 166-167).
Nella sola India,
rigenerò nelle acque del battesimo pure principi potenti e gli stessi re. E
malgrado tutte le grandi opere che aveva compiuto per Dio, era così umile che
scriveva sempre in ginocchio al suo Superiore, sant’Ignazio (Cfr. Id., Lettera n. 70, Al Padre Ignazio
di Loyola, in Roma, Cochín, 12 gennaio 1549, § 16, ivi, p. 243; Id., Lettera n. 97, Al Padre Ignazio
di Loyola, in Roma, Cochín, 29 gennaio 1552, § 1, ivi, p. 375). Dio
confermò il suo ardore nella diffusione del vangelo con numerosi e magnifici
miracoli (Cfr. Juan Félix Bellido,
Francesco Saverio. Fino agli ultimi confini, trad. it. di Giuseppe Pessa, Roma 1998, pp. 106-107).
Risuscitò alcuni morti, tra cui alcuni che erano stati sepolti il giorno prima
e che ordinò di trarre fuori dal sepolcro (cfr. Albert
J. Herbert (a cura di), I morti risuscitati. Storie vere di 400
miracoli di risurrezione, Tavagnacco, 2010 rist., pp. 165 ss.).
La sua unica passione era di
guadagnare delle anime per il cielo. “Dammi delle anime, o Dio mio”, questa era
la sua preghiera continua.
Alcuni giorni prima di consegnare la sua anima,
Francesco Saverio, già colpito da grave e persistente febbre, entrava in
delirio, rivelando allora la grandezza dell’olocausto che la Provvidenza gli
chiedeva: parlava continuamente della Cina, del suo veemente desiderio di
convertire quell’immenso impero e della gloria che ne sarebbe derivata per Dio
se questo popolo fosse stato attratto alla Santa Chiesa Cattolica.
Le forze fisiche dell’ardente missionario stavano
giungendo ormai al termine. Una febbre altissima lo obbligava a raccogliersi
nella sua improvvisata capanna, dove, abbandonato e soffrendo il freddo, la
fame e ogni genere di privazioni, avrebbe trascorso gli ultimi giorni della sua
esistenza terrena. Soffiava con insistenza il vento freddo del nord e le onde dell’oceano
si infrangevano sempre più violentemente su quella spiaggia di Sanciàn, che
sembrava deserta. Il cielo, coperto di plumbee nuvole, si scuriva rapidamente,
preannunciando una notte lunga e tormentosa. Non molto lontano dalla riva del
mare, si elevava una misera capanna, fatta di alcune tavole di legno tarlato,
la cui copertura di paglia secca era agitata dal vento glaciale. All’interno,
steso su una stuoia, il Santo agonizzava. Il suo corpo esangue ardeva consumato
dalla febbre, ma il suo sguardo profondo e vivo rispecchiava uno spirito di
fuoco, rifletteva l’eternità. Nelle prime ore del mattino del 3 dicembre 1552,
Francesco Saverio spirava dolcemente nel Signore, senza un lamento o una
recriminazione, scorgendo da lontano quella Cina che non era riuscito a conquistare
e che aveva tanto desiderato depositare ai piedi del suo Re, Nostro Signore
Gesù Cristo. Le sue ultime parole furono queste frasi di un canto di gloria,
della parte finale del Te Deum: In te, Domine, speravi. Non
confundar in æternum.
Roma ha dedicato almeno due chiese al grande
missionario ed Apostolo delle Indie.
La
prima, per l’esattezza, è un oratorio, nel rione Pigna, e che risale al XVII
sec. ed è denominato anche Oratorio del Caravita, dal nome del gesuita che lo
fondò nel 1631 (Cfr.
Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal
secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp.
479-480).
La
seconda è una chiesa sorta nel quartiere Ostiense, ed è la Chiesa di San
Francesco Saverio alla Garbatella. Essa è sorta negli anni ‘30 del XX sec. (Cfr. Massimo Alemanno, Le chiese di Roma
moderna, vol. III, Rioni Ripa e Tesaccio e i quartieri del quadrante
sud-est, Roma 2007, pp. 52 ss.).
Un’insigne
reliquia, infine, del braccio destro mummificato del Santo, portata in Italia
nel 1614 su ordine del Preposito generale dei gesuiti Claudio Acquaviva, si
conserva in un prezioso reliquiario nella Chiesa del Gesù a Roma.
Pieter Paul Rubens, I miracoli di san Francesco Saverio, 1617, Kunsthistorisches Museum, Vienna |
Miguel Cabrera, Gloria di S. Francesco Saverio, XVIII sec., Museo Nacional de Arte, Città del Messico |
Mattia Preti, S. Francesco Saverio in gloria, XVII sec. |
Giacomo Cavedoni, S. Francesco Saverio, XVII sec., Museo diocesano, Imola |
Scuola del Murillo, S. Francesco Saverio, XVII sec., collezione privata |
Bartolomé Esteban Murillo, S. Francesco Saverio, 1670 circa, Wadsworth Atheneum, Hartford, Connecticut |
Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccia, Visione e morte di S. Francesco Saverio, 1675 circa, Musei Vaticani, Vaticano |
Manuel Henriques, S. Francesco Saverio, 1640 circa, Diocesi di Coimbra |
S. Francesco Saverio alla corte dell'imperatore del Giappone, XVII sec. |
Francisco Goya, Morte di S. Francesco Saverio, 1775-1780, Museo de Zaragoza, Saragozza, Spagna |
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