mercoledì 3 dicembre 2014

"Hunc dilatándi Evangélii ardórem multitúdine et excelléntia miraculórum Dóminus roborávit" (Lect. VI) - SANCTI FRANCISCI XAVERII






La solennità di questo grande apostolo delle Indie cade a proposito a due giorni di distanza da quella di sant’Andrea, poiché essa dimostra la potente vitalità della Chiesa che, in tutti i tempi, con le opere, le parole ed i miracoli, è sempre uguale a se stessa, sempre giovane, sempre bella, sempre divina.
Nel 1541-42, san Francesco Saverio, il cui nome per esteso era Francisco de Jasso Azpilcueta Atondo y Aznares de Javier, fu mandato nelle Indie; dal 1549 al 1551 il suo campo di azione fu il Giappone. Percorse un numero incalcolabile di regioni, sempre a piedi e spesso a piedi nudi. Portò la fede al Giappone ed in sei altri regni. Convertì centinaia di migliaia di infedeli al Cristo. Addirittura egli stesso riferiva che in un solo giorno battezzò circa diecimila persone ed addirittura per il tanto battezzare giungeva a stancarsi le braccia. In una lettera del gennaio 1544, indirizzata ai Compagni residenti in Roma, scriveva infatti: «Tanta è grande la moltitudine di coloro che si convertono alla fede di Cristo, che molto spesso mi accade di avere le braccia stanche battezzare [...] vi sono giorni in cui battezzo tutto un villaggio» (San Francesco Saverio, Lettera n. 20, Ai Compagni residenti in Roma, Cochín, 15 gennaio 1544, § 8, in Francesco Saverio, Dalle terre dove sorge il sole. Lettere e documenti dall’Oriente – 1535-1552, con introduzione, trad. e note di Adriana Caboni, e con Prefazione di Francesco Scorza Barcellona, Roma 2002, p. 111-112). Ed un anno dopo: «Quanto alle notizie di questi luoghi dell’India, vi faccio sapere che in un regno dove vado Dio nostro Signore ha indotto molta gente a farsi cristiana e di conseguenza in un mese ho battezzato più di diecimila persone [...]. Finito di battezzare la gente, ordino di demolire le case dove custodivano i loro idoli e, dopo che son divenuti cristiani, faccio in modo che rompano in minutissimi pezzi le immagini degli idoli. Non finirei mai di scrivere la grande consolazione che prova la mia anima nel vedere distruggere gl’idoli per mano di coloro che erano idolatri. [...] Finito di fare ciò in un villaggio, vado in un altro e in questo modo cammino di luogo in luogo facendo cristiani, e ciò con molte consolazioni, assai più grandi di quelle che potrei scrivervi per lettera o spiegarvi di persona» (Id., Lettera n. 48, Ai Compagni residenti in Roma, Cochín, 27 gennaio 1545, § 2, ivi, pp. 166-167).
Nella sola India, rigenerò nelle acque del battesimo pure principi potenti e gli stessi re. E malgrado tutte le grandi opere che aveva compiuto per Dio, era così umile che scriveva sempre in ginocchio al suo Superiore, sant’Ignazio (Cfr. Id., Lettera n. 70, Al Padre Ignazio di Loyola, in Roma, Cochín, 12 gennaio 1549, § 16, ivi, p. 243; Id., Lettera n. 97, Al Padre Ignazio di Loyola, in Roma, Cochín, 29 gennaio 1552, § 1, ivi, p. 375). Dio confermò il suo ardore nella diffusione del vangelo con numerosi e magnifici miracoli (Cfr. Juan Félix Bellido, Francesco Saverio. Fino agli ultimi confini, trad. it. di Giuseppe Pessa, Roma 1998, pp. 106-107). Risuscitò alcuni morti, tra cui alcuni che erano stati sepolti il giorno prima e che ordinò di trarre fuori dal sepolcro (cfr. Albert J. Herbert (a cura di), I morti risuscitati. Storie vere di 400 miracoli di risurrezione, Tavagnacco, 2010 rist., pp. 165 ss.).
La sua unica passione era di guadagnare delle anime per il cielo. “Dammi delle anime, o Dio mio”, questa era la sua preghiera continua.
Alcuni giorni prima di consegnare la sua anima, Francesco Saverio, già colpito da grave e persistente febbre, entrava in delirio, rivelando allora la grandezza dell’olocausto che la Provvidenza gli chiedeva: parlava continuamente della Cina, del suo veemente desiderio di convertire quell’immenso impero e della gloria che ne sarebbe derivata per Dio se questo popolo fosse stato attratto alla Santa Chiesa Cattolica.
Le forze fisiche dell’ardente missionario stavano giungendo ormai al termine. Una febbre altissima lo obbligava a raccogliersi nella sua improvvisata capanna, dove, abbandonato e soffrendo il freddo, la fame e ogni genere di privazioni, avrebbe trascorso gli ultimi giorni della sua esistenza terrena. Soffiava con insistenza il vento freddo del nord e le onde dell’oceano si infrangevano sempre più violentemente su quella spiaggia di Sanciàn, che sembrava deserta. Il cielo, coperto di plumbee nuvole, si scuriva rapidamente, preannunciando una notte lunga e tormentosa. Non molto lontano dalla riva del mare, si elevava una misera capanna, fatta di alcune tavole di legno tarlato, la cui copertura di paglia secca era agitata dal vento glaciale. All’interno, steso su una stuoia, il Santo agonizzava. Il suo corpo esangue ardeva consumato dalla febbre, ma il suo sguardo profondo e vivo rispecchiava uno spirito di fuoco, rifletteva l’eternità. Nelle prime ore del mattino del 3 dicembre 1552, Francesco Saverio spirava dolcemente nel Signore, senza un lamento o una recriminazione, scorgendo da lontano quella Cina che non era riuscito a conquistare e che aveva tanto desiderato depositare ai piedi del suo Re, Nostro Signore Gesù Cristo. Le sue ultime parole furono queste frasi di un canto di gloria, della parte finale del Te Deum: In te, Domine, speravi. Non confundar in æternum.
Roma ha dedicato almeno due chiese al grande missionario ed Apostolo delle Indie.
La prima, per l’esattezza, è un oratorio, nel rione Pigna, e che risale al XVII sec. ed è denominato anche Oratorio del Caravita, dal nome del gesuita che lo fondò nel 1631 (Cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 479-480).
La seconda è una chiesa sorta nel quartiere Ostiense, ed è la Chiesa di San Francesco Saverio alla Garbatella. Essa è sorta negli anni ‘30 del XX sec. (Cfr. Massimo Alemanno, Le chiese di Roma moderna, vol. III, Rioni Ripa e Tesaccio e i quartieri del quadrante sud-est, Roma 2007, pp. 52 ss.).
Un’insigne reliquia, infine, del braccio destro mummificato del Santo, portata in Italia nel 1614 su ordine del Preposito generale dei gesuiti Claudio Acquaviva, si conserva in un prezioso reliquiario nella Chiesa del Gesù a Roma.



Pieter Paul Rubens, I miracoli di san Francesco Saverio, 1617, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Miguel Cabrera, Gloria di S. Francesco Saverio, XVIII sec., Museo Nacional de Arte, Città del Messico

Mattia Preti, S. Francesco Saverio in gloria, XVII sec.

Giacomo Cavedoni, S. Francesco Saverio, XVII sec., Museo diocesano, Imola


Scuola del Murillo, S. Francesco Saverio, XVII sec., collezione privata

Bartolomé Esteban Murillo, S. Francesco Saverio, 1670 circa, Wadsworth Atheneum, Hartford, Connecticut

Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccia, Visione e morte di S. Francesco Saverio, 1675 circa, Musei Vaticani, Vaticano

Manuel Henriques, S. Francesco Saverio, 1640 circa, Diocesi di Coimbra

S. Francesco Saverio alla corte dell'imperatore del Giappone, XVII sec. 

Francisco Goya, Morte di S. Francesco Saverio, 1775-1780, Museo de Zaragoza, Saragozza, Spagna

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