Sebbene un po’ datato, sembra doveroso
ricordare l’inizio, il 17 dicembre, delle Antifone maggiori, dette anche “antifone
O” (in quanto iniziano tutte con l’invocazione “O” di meraviglia), risalenti sin dall’epoca
di S. Severino Boezio (che le ricorda) e, comunque, sicuramente sin dall’epoca
di S. Gregorio Magno.
Queste antifone ci accompagneranno sino all’antivigilia
di Natale.
Avvento in musica. Sette antifone tutte da riscoprire
Si cantano una al
giorno, al Magnificat dei vespri. Sono molto antiche e ricchissime di
riferimenti alle profezie del Messia. Le loro iniziali formano un acrostico.
Eccole trascritte, con la chiave di lettura
di Sandro Magister
Da oggi fino all’antivigilia di Natale, al Magnificat dei vespri di rito romano si cantano sette antifone, una per giorno, che cominciano tutte con un’invocazione a Gesù, pur mai chiamato per nome.
Questo settenario è molto antico, risale al tempo di papa Gregorio Magno,
attorno al 600. Le antifone sono in latino e si ispirano a testi dell’Antico
Testamento che annunciano il Messia.
All’inizio di ciascuna antifona, nell’ordine, Gesù è invocato come Sapienza, Signore, Germoglio, Chiave, Astro, Re, Emmanuele. Nell’originale latino: Sapientia, Adonai, Radix, Clavis, Oriens, Rex, Emmanuel.
All’inizio di ciascuna antifona, nell’ordine, Gesù è invocato come Sapienza, Signore, Germoglio, Chiave, Astro, Re, Emmanuele. Nell’originale latino: Sapientia, Adonai, Radix, Clavis, Oriens, Rex, Emmanuel.
Lette a partire dall’ultima, le iniziali
latine di queste parole formano un acrostico: “Ero cras”, cioè: “[Ci] sarò
domani”. Sono l’annuncio del Signore che viene. L’ultima antifona, che completa
l’acrostico, si canta il 23 dicembre. E l’indomani, con i primi vespri,
comincia la festività del Natale.
A trarre queste antifone fuori dall’oblio è
stata, inaspettatamente, “La Civiltà Cattolica ”, la rivista
dei gesuiti di Roma che si stampa con il previo controllo della segreteria di
stato vaticana.
Inusitato anche il posto d’onore dato all’articolo
che illustra le sette antifone, scritto da padre Maurice Gilbert, direttore
della sede di Gerusalemme del Pontificio Istituto Biblico.
L’articolo apre il quaderno prenatalizio della
rivista, dove di solito c’è l’editoriale.
Nell’articolo, padre Gilbert illustra ad una
ad una le antifone. Ne mostra i ricchissimi riferimenti ai testi dell’Antico
Testamento. E fa rimarcare una particolarità: le ultime tre antifone – quelle
del “Ci sarò” dell’acrostico – comprendono alcune espressioni che si spiegano
unicamente alla luce del Nuovo Testamento.
L’antifona “O Oriens” del 21 dicembre include
un chiaro riferimento al cantico di Zaccaria nel capitolo primo del Vangelo di
Luca, il “Benedictus”: “Ci visiterà un sole che sorge dall’alto per risplendere
su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte”.
L’antifona “O Rex” del 22 dicembre include un
passaggio dell’inno a Gesù del capitolo secondo della lettera di Paolo agli
Efesini: “Colui che di due [cioè di ebrei e pagani] ha fatto una cosa sola”.
L’antifona “O Emmanuel” del 23 dicembre si
conclude infine con l’invocazione “Dominus Deus noster”: un’invocazione
esclusivamente cristiana poiché soltanto i seguaci di Gesù riconoscono nell’Emmanuele
il loro Signore Dio.
Ecco dunque qui di seguito i testi integrali
delle sette antifone, in latino e tradotte, con evidenziate le iniziali che
formano l’acrostico “Ero cras” e con tra parentesi i principali riferimenti all’Antico
e al Nuovo Testamento:
I – 17 dicembre
O SAPIENTIA, quae ex ore Altissimi prodiisti, attingens a fine usque ad finem fortiter suaviterque disponens omnia: veni ad docendum nos viam prudentiae.
O Sapienza, che uscisti dalla bocca dell’Altissimo
(Siracide 24, 5), ti estendi da
un estremo all’altro estremo e tutto disponi con forza e dolcezza (Sapienza 8,
1): vieni a insegnarci la via
della saggezza (Proverbi 9, 6).
II – 18 dicembre
O ADONAI, dux domus Israel, qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti, et in Sina legem dedisti: veni ad redimendum nos in brachio extenso.
O Signore (“Adonai” in Esodo 6, 2 Vulgata), guida della casa d’Israele, che sei apparso a Mosè nel fuoco di
fiamma del roveto (Esodo 3, 2) e sul monte Sinai gli hai dato la legge (Esodo
20): vieni a redimerci con
braccio potente (Esodo 15, 12-13).
III – 19 dicembre
O RADIX Jesse, qui stas in signum populorum, super quem continebunt reges os suum, quem gentes deprecabuntur: veni ad liberandum nos, iam noli tardare.
O Germoglio di Iesse, che ti innalzi come segno per i popoli (Isaia 11, 10), tacciono davanti a te i re della terra (Isaia 52, 15) e le nazioni ti invocano: vieni a liberarci, non tardare (Abacuc 2, 3).
IV – 20 dicembre
O CLAVIS David et sceptrum domus Israel, qui aperis, et nemo claudit; claudis, et nemo aperit: veni et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris et umbra mortis.
O Chiave di Davide (Isaia 22, 22) e scettro della casa d’Israele (Genesi 49. 10), che apri e nessuno chiude; chiudi e nessuno apre: vieni e strappa dal carcere l’uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte (Salmo 107, 10.14).
V – 21 dicembre
O ORIENS, splendor lucis aeternae et sol iustitiae: veni et illumina sedentem in tenebris et umbra mortis.
O Astro che sorgi (Zaccaria 3, 8; Geremia 23, 5), splendore della luce eterna (Sapienza 7, 26) e sole di giustizia (Malachia 3, 20): vieni e illumina chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte (Isaia 9, 1; Luca 1, 79).
VI – 22 dicembre
O REX gentium et desideratus earum, lapis angularis qui facis utraque unum: veni et salva hominem quem de limo formasti.
O Re delle genti (Geremia 10, 7) e da esse desiderato (Aggeo 2, 7), pietra angolare (Isaia 28, 16) che fai dei due uno (Efesini 2, 14): vieni, e salva l’uomo che hai formato dalla terra (Genesi 2, 7).
VII – 23 dicembre
O EMMANUEL, rex et legifer noster, expectatio gentium et salvator earum: veni ad salvandum nos, Dominus Deus noster.
O Emmanuele (Isaia 7, 14), re e legislatore
nostro (Isaia 33, 22), speranza e
salvezza dei popoli (Genesi 49, 10; Giovanni 4, 42): vieni a salvarci, o Signore nostro Dio
(Isaia 37, 20).
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La rivista su cui è apparso l’articolo di padre Maurice Gilbert, “Le antifone maggiori dell’Avvento”:
La rivista su cui è apparso l’articolo di padre Maurice Gilbert, “Le antifone maggiori dell’Avvento”:
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POST SCRIPTUM – Domenica 21 dicembre anche Marina Corradi è intervenuta sulle sette antifone maggiori dell’ultima settimana di Avvento. Con questo editoriale su “Avvenire”:
POST SCRIPTUM – Domenica 21 dicembre anche Marina Corradi è intervenuta sulle sette antifone maggiori dell’ultima settimana di Avvento. Con questo editoriale su “Avvenire”:
La promessa a noi vacillanti: “Ci
sarò domani, e sempre”
di Marina Corradi
“Ero cras”, “Ci sarò domani”. Forse questa promessa in latino alla maggioranza dei credenti oggi non dice niente. Ma è una promessa molto antica, risalente ai tempi di Gregorio Magno, e nascosta tra le righe di sette antifone che tradizionalmente accompagnano, nell’ultima settimana di Avvento, il Magnificat ai vespri di rito romano. Un articolo su “
“O Sapientia”, comincia la prima, e le
successive: “O Adonai, O Radix, O Clavis, O Oriens, O Rex, O Emmanuel”.
Germoglio, Chiave, Re, Emmanuele: tutte le antifone iniziano con un’invocazione
a Cristo. Ma capovolgendo l’ordine delle parole e prendendo di ciascuna la
lettera iniziale, emerge l’acronimo “Ero cras”, “Ci sarò domani”. Non è
enigmistica. Ogni antifona è una sintesi di passi dell’Antico e Nuovo
Testamento, un concentrato di fede cristiana che gli antichi fedeli ripetevano
nella penombra dei vespri dell’Avvento, quando la notte calata sulle brevi
giornate d’inverno, rischiarato solo da candele, evocava un’altra ombra, che
incuteva timore. Dalle buie sere che precedono il solstizio, dal colmo dell’oscurità,
nelle chiese si invocava: Germoglio, Sapienza, Re, vieni a liberarci dalla
tenebre. E nella quinta antifona, quella del 21 dicembre – giorno esatto del
solstizio, in cui, toccato il vertice del buio, il sole comincia a risalire in
cielo – si cantava: “O Oriens, splendor lucis aeternae et Sol Iustitiae: veni
et illumina sedentem in tenebris et umbra mortis”; “O astro che sorgi,
splendore di luce eterna e sole di giustizia: vieni, illumina chi giace nelle
tenebre e nell’ombra della morte”. E infine, nascosta nelle iniziali delle
prime parole delle antifone: “Ero cras”. Ci sarò domani, ci sarò sempre: nel
fondo del buio, di generazione in generazione, il ripetersi di una promessa di
luce.
Il segreto – almeno per noi profani – rivelato dal teologo gesuita commuove per la bellezza, la bellezza della forma della antica tradizione cristiana che troppo abbiamo dimenticato. Con quella aderenza profonda alla realtà concreta degli uomini; forse anche noi, in queste giornate così brevi e già alle quattro buie, non ci sentiamo addosso come un’ombra, e l’ansia che il sole si rialzi, che la luce della primavera torni e rassicuri? “Vieni, illumina le tenebre”, chiedevano. “Ci sarò domani, ci sarò sempre”, era la risposta già segretamente scritta nella domanda. E noi? ti viene da domandarti. L’attesa che colma questi antichi canti d’Avvento, ci appartiene ancora? O, sfumata la memoria di un male originario che ci opprime, non percepiamo più davvero il buio che nelle antifone del tempo di Gregorio Magno pare così incombente, tanto che è evidente come quei versi anelano la luce? Non più pienamente coscienti del buio, sappiamo ancora desiderare la luce? La nascita di Cristo, nel colmo dell’inverno, è il venire al mondo di colui che vince la morte. Ce ne ricordiamo pienamente, noi credenti del 2008, pressati negli ipermercati in cui infuria “Jingle bells”, o angosciati dalla crisi e dal vacillare del nostro benessere? Che la promessa antica e segreta delle “antifone O”, l’augurio, ci accompagni nel nostro affannarci della vigilia del Natale. “Ero cras”, ci sarò domani e sempre. E grazie al dotto studioso che ha ricordato a noi credenti analfabeti un segreto tesoro, a illuminare questi giorni di buio.
Il segreto – almeno per noi profani – rivelato dal teologo gesuita commuove per la bellezza, la bellezza della forma della antica tradizione cristiana che troppo abbiamo dimenticato. Con quella aderenza profonda alla realtà concreta degli uomini; forse anche noi, in queste giornate così brevi e già alle quattro buie, non ci sentiamo addosso come un’ombra, e l’ansia che il sole si rialzi, che la luce della primavera torni e rassicuri? “Vieni, illumina le tenebre”, chiedevano. “Ci sarò domani, ci sarò sempre”, era la risposta già segretamente scritta nella domanda. E noi? ti viene da domandarti. L’attesa che colma questi antichi canti d’Avvento, ci appartiene ancora? O, sfumata la memoria di un male originario che ci opprime, non percepiamo più davvero il buio che nelle antifone del tempo di Gregorio Magno pare così incombente, tanto che è evidente come quei versi anelano la luce? Non più pienamente coscienti del buio, sappiamo ancora desiderare la luce? La nascita di Cristo, nel colmo dell’inverno, è il venire al mondo di colui che vince la morte. Ce ne ricordiamo pienamente, noi credenti del 2008, pressati negli ipermercati in cui infuria “Jingle bells”, o angosciati dalla crisi e dal vacillare del nostro benessere? Che la promessa antica e segreta delle “antifone O”, l’augurio, ci accompagni nel nostro affannarci della vigilia del Natale. “Ero cras”, ci sarò domani e sempre. E grazie al dotto studioso che ha ricordato a noi credenti analfabeti un segreto tesoro, a illuminare questi giorni di buio.
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