Interessante
contributo del card. De Paolis rilanciato da Sandro Magister.
Sinodo, verso il
secondo round. La requisitoria del canonista
Il cardinale Velasio
De Paolis riapre il fuoco contro la comunione ai divorziati risposati: “Se
approvata, le conseguenze sarebbero di una gravità inaudita”. Il rebus di papa
Francesco
di Sandro Magister
ROMA, 9 dicembre 2014
– Da oggi è di dominio pubblico la traccia preparatoria del prossimo sinodo dei
vescovi, dedicato, come il precedente, al tema della famiglia:
La traccia – in
latino “lineamenta” – ha come base di partenza la “Relatio” finale del sinodo
dello scorso ottobre, ma poi prosegue riformulandone i vari punti in forma di
domande. Il questionario, per ora diffuso soltanto in italiano, sarà inviato
nei prossimi giorni in più lingue alle conferenze episcopali di tutto il mondo,
che potranno sottoporlo a una cerchia anche amplissima di persone.
A detta del cardinale
Lorenzo Baldisseri, segretario generale del sinodo, la finalità del sondaggio
sarà “l’approfondimento delle questioni affrontate nel dibattito, di tutte, ma
soprattutto di quelle che hanno bisogno di essere discusse in modo più accurato”.
Con ciò, il cardinale
ha alluso alle due questioni che in effetti sono state quelle più controverse,
nel sinodo dello scorso ottobre. Talmente controverse da non aver ottenuto,
nella loro formulazione finale, i due terzi dei voti necessari per l’approvazione.
Sono le questioni che
riguardano la comunione ai divorziati risposati e l’omosessualità.
Dei 62 paragrafi che
componevano la “Relatio”, infatti, i tre dedicati a tali questioni sono i soli
che non sono stati approvati, anche se – per volontà di papa Francesco – sono
stati ugualmente mantenuti nel testo reso pubblico, assieme all’esito delle rispettive
votazioni.
Nel questionario
diffuso oggi, la domanda riguardante la comunione ai divorziati risposati è la
n. 38:
“La pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati necessita di un ulteriore approfondimento, valutando anche la prassi ortodossa e tenendo presente ‘la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti’. Quali le prospettive in cui muoversi? Quali i passi possibili? Quali suggerimenti per ovviare a forme di impedimenti non dovute o non necessarie?”.
Mentre quella
riguardante l’omosessualità è la n. 40:
“Come la comunità cristiana rivolge la sua attenzione pastorale alle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale? Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?”.
Il tema del sinodo,
naturalmente, non si esaurisce in queste due questioni, ma riguarda piuttosto
il destino presente e futuro del matrimonio cristiano in quanto tale. Basti
pensare al generale declino numerico dei matrimoni sia civili che sacramentali,
i quali ultimi stanno calando a picco anche in un paese cattolico come l’Italia,
dove nell’ultimo mezzo secolo sono precipitati da 414.652 (nel 1963) a 111.545
(nel 2013), con un ritmo di decrescita che prelude alla loro scomparsa tra meno
di vent’anni.
Sta di fatto, però,
che la comunione ai divorziati risposati continua ad essere la questione più
dibattuta, perché a dispetto della sua applicazione numericamente molto ristretta
mette comunque in gioco il senso ultimo sia del matrimonio cristiano sia del
sacramento dell’eucaristia, cioè di due colonne portanti del cristianesimo.
Il testo che segue è
una prova di quanto vivacemente questo dibattito prosegua. Ne è autore il cardinale
Velasio De Paolis, 79 anni, missionario scalabriniano, canonista illustre,
presidente emerito della prefettura degli affari economici della Santa Sede.
Già prima del sinodo
dello scorso ottobre De Paolis aveva pubblicamente preso posizione contro le
tesi a favore della comunione ai divorziati risposati, sostenute più di tutti
dal cardinale Walter Kasper.
L’aveva fatto in una
conferenza tenuta il 27 marzo a Perugia, come prolusione inaugurale del nuovo
anno giudiziario del tribunale ecclesiastico dell’Umbria:
La conferenza era
stata poi ripubblicata in Spagna nella rivista “Ius Communionis” (2, 2014, pp.
203-248) e in Italia e negli Stati Uniti nel volume a più voci uscito alla
vigilia del sinodo con gli interventi di altri quattro cardinali anch’essi
critici delle posizioni di Kasper:
Ma ora De Paolis è
tornato sull’argomento prendendo ad oggetto delle sue critiche proprio quel
paragrafo 52 della “Relatio” finale del sinodo dello scorso ottobre riguardante
i pro e i contro la comunione ai divorziati risposati.
A giudizio del
cardinale De Paolis, questo paragrafo non solo è in sé incoerente e
contraddittorio, ma “le novità che si introdurrebbero se fosse approvato
sarebbero di una gravità inaudita”, perché minerebbero le stesse fondamenta del
dogma e della morale cattolica.
Questo è il rimando
al testo integrale della conferenza, tenuta il 26 novembre alla facoltà di
diritto canonico dell’Università San Dámaso di Madrid:
Mentre qui di seguito
è riprodotta la sua sezione finale.
Con l’avvertenza che
le considerazioni di De Paolis contro la comunione ai divorziati risposati egli
le applica anche a tutte le altre situazioni irregolari di convivenza, come
spiega nella prima parte della sua conferenza.
__________
LA PROPOSIZIONE N. 52
DEL SINODO STRAORDINARIO SULLA FAMIGLIA
di Velasio De Paolis
Il tema dell’accesso
ai sacramenti, specialmente all’eucarestia, da parte dei divorziati risposati é
stato oggetto di riflessione nel sinodo straordinario dei vescovi dello scorso
mese di ottobre. A questo fa riferimento la proposizione n. 52 della “Relatio”
finale, che dice:
“Si è riflettuto
sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della
penitenza e dell’eucaristia. Diversi padri sinodali hanno insistito a favore
della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la
partecipazione all’eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo
insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza
non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a
condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e
legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze
ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un
cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo diocesano. Va ancora
approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione
oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che ‘l’imputabilità e la
responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate’ da diversi ‘fattori
psichici oppure sociali’ (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)”.
1. Il senso della
proposizione sinodale
Il testo non ha
raccolto un numero sufficiente di adesioni, cioè i due terzi dei voti, ragione
per cui non è stato approvato dal sinodo; pertanto, non dovrebbe considerarsi
un testo sinodale. Ma bisogna dire subito che è difficile valutare il
significato della votazione. Il testo si compone di varie parti non omogenee,
persino contrapposte, anche con motivazioni inadeguate o non totalmente
appropriate o, perlomeno, incomplete, nel raccordarsi con le fonti dottrinali.
In effetti la
proposta comincia con un dato di cronaca: si è riflettuto sul tema. Poi fa
riferimento a una corrente di padri che sono favorevoli alla disciplina attuale
e ad altri che sono favorevoli a un cambio nella disciplina. Il testo prosegue
spiegando in quali punti dovrebbe cambiare la disciplina attuale, segnalando
anche quale sarebbe la responsabilità che dovrebbe competere al vescovo. Infine
conclude con un avvertimento e un invito a un maggiore approfondimento,
suggerendo anche alcuni elementi per farlo. Pertanto, un eventuale voto
contrario o di approvazione del testo non si sa bene a cosa riferirlo.
2. Limiti della
proposizione
La proposizione si
presenta con una formulazione limitata. Si riferisce a una categoria limitata
di persone che vivono in una situazione di unione irregolare: i divorziati
risposati. Si tratta di una categoria che meriterebbe, secondo la proposizione,
un’attenzione particolare ed eccezionale, motivata dalle situazioni particolari
degne di considerazione che questa categoria potrebbe presentare, come
effettivamente il testo spiega subito dopo.
Non è difficile
trovare in queste parole alcuni elementi significativi della proposta del cardinale
Kasper. Ma abbiamo già avuto occasione di studiare questa proposta e di
verificare che non è stata sostenuta da alcun argomento valido. Del resto
quella proposta era già stata a conoscenza dell’autorità competente, che l’aveva
studiata e respinta, non trovando in essa elementi che la potessero sottrarre a
una valutazione secondo i principi dottrinali dei documenti della Chiesa.
Pertanto, l’ipotesi avanzata nella proposizione sinodale era già stata studiata
e valutata in maniera esplicita e si era arrivati alla conclusione che non
implicava principi eccezionali ma rientrava nella categoria dei principi
generali, dato che, dal punto di vista della gravità morale e in ordine all’accesso
all’eucarestia, l’ipotesi avanzata nella proposta costituisce in tutti i casi
una violazione grave della morale coniugale e della disciplina della Chiesa,
che non può permettere l’accesso all’eucarestia. Per questo motivo i documenti
della Chiesa non fanno mai una distinzione tra le diverse categorie di persone
che convivono in unioni irregolari: le varie tipologie di persone che convivono
irregolarmente non si distinguono per quanto si riferisce alla convivenza
coniugale e all’accesso all’eucarestia.
Inoltre, le
condizioni in virtù delle quali si pretenderebbe una considerazione speciale
per i divorziati risposati possono verificarsi in tutti quelli che si trovano
in situazioni irregolari. E, in alcuni casi, la situazione potrebbe persino
aggravarsi: potrebbe sembrare un premio e un invito a stabilire nuovi vincoli.
Possiamo ancora fare
un’ulteriore considerazione. La proposizione, nel restringere l’ipotesi a una
categoria specifica, riconosce il valore dottrinale e normativo dei documenti
della Chiesa che regolano la materia. E, visto che la proposizione invita a un
approfondimento, si evidenzia una certa perplessità sulla proposta stessa. Su
che cosa può consistere questo approfondimento? Non sul valore dottrinale e
normativo dei documenti, ma sulla possibile eccezione contenuta nella
proposizione. E da dove può sorgere il dubbio se non dal fatto che la
proposizione contiene in sé un’eccezione alle due condizioni essenziali per l’accesso
all’eucarestia, dal momento che si verifica una violazione grave della legge
morale naturale e una situazione personale non idonea per accedere all’eucarestia?
In effetti, anche in
questa categoria dei divorziati risposati si trovano presenti le due condizioni
che impediscono l’accesso all’eucarestia, il che porta l’autorità ecclesiastica
a non poter agire in un altro modo, poiché l’autorità ecclesiastica non può
disporre della legge naturale e divina: il rispetto della legge naturale del
matrimonio e la necessità della grazia santificante.
Le situazioni
descritte potrebbero non consentire la separazione delle due persone che stanno
convivendo in un’unione irregolare, però non richiedono necessariamente la vita
in comune “more uxorio” e la situazione permanente di peccato.
3. Disciplina,
dottrina o magistero?
Osserviamo che la
stesura del testo della proposizione genera equivoci. Si parla di “disciplina
attuale” e di una possibile modifica alla stessa, ma questo suscita qualche
dubbio, che esige un approfondimento. In realtà, la normativa vigente non è
soltanto una “disciplina attuale”, come se si trattasse di una norma meramente
ecclesiastica e non di norme divine, sancite dal magistero, con motivazioni
dottrinali e magisteriali che riguardano i fondamenti stessi della vita
cristiana, della morale coniugale, del senso e rispetto dell’eucarestia e della
validità del sacramento della penitenza. Ci troviamo dinanzi a una disciplina
fondata sul diritto divino. Non si sottolinea abbastanza che i documenti della
Chiesa in questa materia non impongono obblighi da parte dell’autorità, bensì
affermano che l’autorità ecclesiastica non può agire diversamente, perché
questa “disciplina” non può essere modificata nei suoi elementi essenziali. La
Chiesa non può agire diversamente. Non può modificare né la legge naturale né
il rispetto della natura dell’eucarestia, perché è in questione la volontà
divina.
La proposizione,
nella misura nella quale prevede la possibilità di ammettere alla comunione
eucaristica i divorziati risposati costituisce, di fatto, un cambio dottrinale.
E questo contrariamente al fatto che si afferma che non si vuole modificare la
dottrina. D’altra parte, la dottrina, per sua propria natura, non è
modificabile se è oggetto del magistero autentico della Chiesa. Prima di
parlare e di trattare di un’eventuale modifica della disciplina vigente, è
necessario riflettere sulla natura di questa disciplina. Nell’affrontare questa
materia si dovrebbe, in primo luogo, riflettere su questa dottrina e sul suo
grado di fermezza; bisogna studiare bene ciò che può essere modificato e ciò
che non si può modificare. Il dubbio è stato insinuato nella stessa
proposizione quando chiede un approfondimento, che deve essere dottrinale e
previo a qualsiasi decisione.
Possiamo chiederci
anche se è competenza di un sinodo dei vescovi trattare una questione come
questa: il valore della dottrina e della disciplina vigente nella Chiesa, che
si sono formate nel corso dei secoli e sono sancite con interventi del
magistero supremo della Chiesa. Inoltre, chi è competente per modificare il
magistero di altri papi? Questo costituirebbe un precedente pericoloso. D’altra
parte, le novità che si introdurrebbero se fosse approvato il testo della
proposizione sarebbero di una gravità inaudita:
a) la possibilità di
ammettere alla comunione eucaristica con approvazione esplicita della Chiesa
una persona in stato di peccato mortale, con pericolo di sacrilegio e di
profanazione dell’eucarestia;
b) facendo così si
mette in discussione il principio generale della necessità dello stato di
grazia santificante per poter accedere alla comunione eucaristica, specialmente
ora che si è introdotta o si sta introducendo nella Chiesa una prassi
generalizzata di accedere all’eucarestia senza una previa confessione
sacramentale, anche se si ha coscienza di trovarsi in peccato grave, con tutte
le deleterie conseguenze che questa prassi comporta;
c) l’ammissione alla
comunione eucaristica di un fedele che convive “more uxorio” significherebbe
mettere in discussione anche la morale sessuale, fondata particolarmente sul
sesto comandamento;
d) inoltre, in questo
modo si darebbe rilevanza alla convivenza o ad altri vincoli, indebolendo di
fatto il principio della indissolubilità del matrimonio.
4. Le motivazioni
addotte per conservare la disciplina vigente
Riguardo a questo, la
proposizione afferma quanto segue: “Diversi padri sinodali hanno insistito a
favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la
partecipazione all’eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo
insegnamento sul matrimonio indissolubile”.
Il testo non è molto
chiaro e, in ogni caso, è insufficiente perché non pone l’accento sulla
problematica coinvolta. Non si tratta solo di ragioni disciplinari da decidere
d’accordo con la maggioranza, ma di una dottrina e di un magistero indisponibile,
che certamente va oltre le competenze di un sinodo straordinario dei vescovi.
In realtà, in questo problema sono implicate questioni dottrinali di estrema
importanza, alle quali abbiamo fatto riferimento. Si deve specificare che la
ragione prima del divieto di accedere all’eucarestia è, semplicemente, la
condizione nella quale si trova il divorziato che convive maritalmente con un’altra
persona: una condizione di peccato grave oggettivo. Il fatto che questa
condizione sia causata dal divorzio o dall’eventuale nuovo vincolo civile non
ha rilevanza sulla condizione morale che esclude l’eucarestia: trovarsi in uno
stato permanente di violazione della norma morale della Chiesa.
5. Approfondimenti
La proposizione
sostiene quanto segue: “Va ancora approfondita la questione, tenendo ben
presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze
attenuanti, dato che ‘l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono
essere sminuite o annullate’ da diversi ‘fattori psichici oppure sociali’
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)”.
Il testo afferma la
necessità di un approfondimento da un solo punto di vista, abbastanza debole.
Di fatto, si cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, con il quale non è
possibile non essere d’accordo. Il problema sta nel fatto di sapere quanto
incide questo paragrafo del Catechismo della Chiesa Cattolica nella
problematica qui trattata. La prima fonte della moralità è quella oggettiva. Ed
è della moralità oggettiva che stiamo qui trattando.
__________
E COSA NE DICE IL
PAPA?
A proposito della
comunione ai divorziati risposati, papa Francesco ha espresso un’ultima volta
il suo pensiero nell’intervista che ha dato a Elisabetta Piqué sul quotidiano
argentino “La Nación” del 7 dicembre (vedi foto):
“Nel caso dei
divorziati risposati, che facciamo con loro, che porta si può aprire? C’è un’inquietudine
pastorale: allora andiamo a dare loro la comunione? Non è una soluzione dare
loro la comunione. Questo solo non è la soluzione, la soluzione è l’integrazione.
Non sono scomunicati, certo. Però non possono essere padrini di battesimo, non
possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non
possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco qui.
Basta! Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Allora, aprire
un po’ di più le porte”.
Nella stessa
intervista, Francesco ha rivendicato la chiarezza delle proprie formulazioni:
“Uno mi ha detto una
volta: ‘Sì, certo, il discernimento va bene, ma abbiamo bisogno di cose più
chiare’. Gli ho detto: ‘Guardi, ho scritto un’enciclica e un’esortazione
apostolica, di continuo faccio dichiarazioni e tengo omelie, e questo è
magistero. Ciò che sta lì è ciò che penso, non ciò che i media dicono che io
pensi. Vada lì e lo trova ed è ben chiaro’“.
Resta tuttavia il
fatto che quanto detto dal papa in questa intervista a proposito della
comunione ai divorziati risposati si presta ancora una volta a dubbi
interpretativi. Vi si può leggere, infatti, sia un rifiuto della “soluzione” di
dare loro la comunione, sia un assenso a questa stessa soluzione, come parte di
una più complessiva “integrazione” degli stessi soggetti.
Il testo completo, in
più sezioni, dell’intervista a “La Nación”:
Mentre questa è la
sua traduzione in italiano, uscita su “L’Osservatore Romano” in data 10
dicembre:
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