Il martirologio geronimiano, invece, non menziona né il natale di sant’Ambrogio (4 aprile 397)
né la sua ordinazione (7 dicembre 374), ma il suo battesimo (30 novembre): In Mediolano sancti Ambrosii episcopi de
perceptione baptismi. A Milano, le
tre date sono oggetto di una celebrazione, sebbene il 7 dicembre costituisca la
festa principale (C. Marcora,
Il Santorale ambrosiano, Coll. Archivio ambrosiano, 5, Milano 1953. pp.
39, 145, 147).
Il Sacramentario
Gelasiano indica per la data odierna l’Ottava di sant’Ambrogio; ma questa
festa, probabilmente propria alla basilica vaticana, è da molto tempo caduta in
desuetudine.
I martirologi del IX sec. hanno tutti optato, a seguito di Beda, per
il 4 aprile. Se qualche calendario, tra cui quello di Montecassino, fa memoria
di Ambrogio sin dal IX sec., è soprattutto a partire dall’XI che si assiste
allo sviluppo del suo culto.
Le chiese, episcopali o monastiche, si dividono tra il 4 aprile ed il
7 dicembre, con predominanza del 4 aprile nelle ragioni transalpine e del 7
dicembre in Italia.
A
Roma, benché sant’Ambrogio,
secondo una tradizione non tanto attendibile, vi fosse nato, la sua festa non
vi è attestata prima dell’XI sec., in cui essa è celebrata il 7 dicembre,
fondandosi sull’antichissima usanza liturgica
di celebrare solennemente il natale
ordinationis dei vescovi e dei sacerdoti. Essa dovette espandersi nell’Urbe nel
XII sec.
Due antiche
chiese mantengono viva e popolare nell’Urbe la memoria di Ambrogio. Infatti, qui,
egli studiò, preparandosi ad una
carriera politico-amministrativa, e partecipò anche alla vita pubblica della
Città eterna.
Uno di questi
edifici sacri non esiste più. Essa era una chiesetta o un oratorio e si elevava
presso la basilica vaticana, attorno alla quale, nel Medioevo, erano stati
eretti diversi oratori ed ospizi nazionali, segnatamente dei Lombardi, per i
pellegrini che vi affluivano da ogni parte del mondo, e segnatamente le genti
lombarde (Cfr.
Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana,
Roma 18912, p. 742).
Si ritiene che
essa fosse ubicata dove attualmente si troverebbe la c.d. Cappella Gregoriana (Cfr. Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze
1927, p.
172).
L’altro è ancora
in piedi, sotto il titolo di Sant’Ambrogio della Massima (Armellini, op. cit., pp.
564-565; Huelsen, op. cit., pp.
344-345. Su questa chiesa, v. anche Paolo
Siniscalco, Sant’Ambrogio e la Chiesa di Roma, in Luigi Franco Pizzolato – Marco Rizzi (a
cura di), Nec
timeo mori. Atti del Congresso internazionale di studi
ambrosiani nel XVI centenario della morte di Sant’Ambrogio, Milano, 4-11 aprile
1997,
Milano 1998, pp. 141-160), oggi in prossimità del Portico d’Ottavia, e
che si chiamava così verosimilmente perché si elevava vicino il porticus maxima, che,
partendo dal tempio di Ercole, contornava il Campo Marzio, oppure perché prendeva
il nome da una certa Massima, che vi aveva edificato un monastero (monasterium Sanctæ Mariæ de Maxima). Secondo la
tradizione, però, fu la sorella primogenita, Marcellina, che aveva preso il
velo delle vergini consacrate, in San Pietro, il giorno di Natale del 353 (o,
secondo altre cronologie, del 352 o 354), assieme ad una compagna, a fondarvi
il monastero suddetto adiacente all’attuale chiesa, nella propria dimora
paterna. Va chiarito che la Chiesa all’epoca di Ambrogio non aveva monasteri
così come intesi oggi e non imponeva obblighi diversi da quelli imposti ai
cristiani comuni (Ibidem, p. 143).
Il suo antico
nome, secondo il Liber
Pontificalis nella biografia di Leone III, era quello di monastero di Santa Maria quod appellatur Ambrosii (Armellini, op. cit, pp.
564-565; Huelsen, op. cit., p.
344; Siniscalco, op. cit.,
p. 144; L. Duchesne,
Le Liber Pontificalis, Coll. Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et
de Rome, Paris 1892, tomo 2, p. 23. Su questo
monastero, v. G. Ferrari, Early roman monasteries, Coll. Studi
di Antichità Christiana, 23, Città del Vaticano 1957, pp. 199-200) e che era anche dedicata – ma non vi è unanimità di vedute – a santo
Stefano (Così
ritiene Armellini, op. cit,
p. 565. Contra Huelsen, op. cit., p.
344).
L’identificazione
di quest’Ambrogio con il Dottore di Milano, che ebbe certamente a Roma la sua domus
di famiglia – molto illustre ed universalmente conosciuta, poiché i papi stessi
avevano costume di recarvisi – è assai probabile ma non può essere affermata
con sicurezza assoluta. Questa chiesa ed il convento, espropriati a seguito
delle leggi ottocentesche eversive dell’asse ecclesiastico, furono restituiti,
in seguito, ai benedettini. Nei sotterranei della chiesa vi sono i resti di
quella che si ritiene sarebbe stata la casa del Santo Dottore. Nelle vicinanze
di quella, che dovrebbe essere la dimora paterna di Ambrogio, doveva sorgere
quella che sarebbe divenuta, due secoli dopo, la dimora di Gregorio Magno e,
non distante, quella di Benedetto durante il suo soggiorno romano (Così Siniscalco, op. cit., p. 142.
Cfr. anche il testo del benedettino Dom Mayeul de Dreuille, S. Ambrogio della Massima: Casa paterna di S. Ambrogio. XXII
secoli di storia. La più antica casa religiosa a Roma, Parma 1996, p. 19).
Nella messa tradizionale
odierna, domandiamo a Dio che l’intercessione del santo Pontefice Ambrogio –
così pieno di zelo per la salvezza delle anime che, quando governava la Chiesa
di Milano, sembrava che la sua casa non avesse porte, tanto ognuno era libero
di avvicinarsi a lui a suo piacere («Non enim vetabatur quisquam ingredi, aut ei venientem nuntiari mos erat»: Sant’Agostino, Confessionum libri tredecim, lib. VI, cap.
3, in PL 32, col. 720C) - ci assista in tutte le circostanze della
vita, affinché la nostra infedeltà alla grazia non renda mai sterile l’ineffabile
sacramento di eterna salvezza al quale abbiamo partecipato.
La santità di
Ambrogio e l’insigne dignità di cui lo rivestì il Signore hanno realizzato nel
senso più ampio la percezione profetica che Ambrogio, ancora bambino, ebbe
relativamente alla sua grandezza futura. Si racconta, in effetti, che, quando
il Papa Liberio (o altri vescovi) si recava nella dimora romana dove abitava
con sua madre, questa, in compagnia dei suoi tre figli, si prostrava
immediatamente per baciargli la mano. Quando il Pontefice era uscito dalla
casa, Ambrogio presentava, a sua volta, la sua piccola mano di bambino a
Marcellina, all’amica con lei consacrata, ed a sua madre perché la baciassero,
in quanto, diceva, quella sarebbe stata un giorno la mano di un vescovo («... a domestica, sorore vel matre manu osculari, ipse ludens offerebat
dexteram, dicens et sibi id ab ea [altri mss. eis,
ndr.] fieri oportore, siquidem episcopum se futurum esse memorabat»: Paolino di Milano, Vita Sancti
Ambrosii, § 4, 1-2, in PL 14, ed. 1882, col. 30B. Cfr. Siniscalco, op. cit., pp. 143-144). Anni più tardi, nel 382 d.C., Ambrogio sarebbe venuto a Roma. Qui
avrebbe incontrato la vergine compagna di Marcellina e le avrebbe porto la mano
per baciargliela, non più per gioco (Paolino di Milano, op. cit., § 9, in PL 14, col.
32A. Cfr. Siniscalco, op. cit.,
p. 154).
Pierre Subleyras, S. Ambrogio assolve Teodosio, 1745, Galleria Nazionale, Perugia |
Autore anonimo, S. Ambrogio, 1630 circa, museo del Prado, Madrid |
Gaspar de Crayer, S. Ambrogio, 1655 circa, museo del Prado, Madrid |
Carlo Cerasa, S. Ambrogio, XVII sec. |
Mattia Preti, S. Ambrogio, 1670-76, Museo diocesano, Milano |
Giovanni Lomazzi (su disegno di Ippolito Marchetti), Urna d’argento sbalzato con i resti dei diaconi martiri SS. Gervasio, Protasio e di S. Ambrogio, 1897, Cripta, Basilica di S. Ambrogio, Milano |
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