La basilica stazionale
di questo giorno, cioè Santo Stefano al monte Celio, detta Santo Stefano Rotondo, fu iniziata dal papa
Simplicio (468-482), ma fu terminata solo da Giovanni I
(523) e da Felice IV, che ne eseguirono gli ornamenti in mosaico (Su questa chiesa di Santo
Stefano in Cœliomonte o Santo Stefano
Rotondo, cfr. Mariano Armellini, Le
chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana,
Roma 18912, pp. 119-122; Ch. Huelsen, Le
Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 474), come
si leggeva in un’epigrafe.
La festa di santo Stefano, l’indomani del Natale, è assai antica.
Alcun documento, per la verità, menziona il giorno della morte dei
martiri anteriormente alla passione di san Policarpo di Smirne (il 23 febbraio
155 o 156). Quando il culto cristiano s’organizzò nel corso del IV sec. e si
volle commemorare i santi più importanti dell’età apostolica, si decise di
festeggiarli nei giorni che seguono il natale del Cristo.
È così che il martirologio di Nicomedia
evoca santo Stefano, il confessor primus,
caput confessorum il 26
dicembre; gli Apostoli san Giovanni e san Giacomo il 27, Paolo l’Apostolo e
Simone Cefa (Pietro), caput Apostolorum
Domini nostri, il 28.
Da parte sua, il lezionario di
Gerusalemme del 415-417 annuncia Stefano al 26 o al 27; Pietro e Paolo al 28 e
Giacomo e Giovanni al 29.
Il nome di Stefano appare, in questa data, anche nel laterculus del
martirologio
ariano (nell’originale greco del Martirologio siriaco si leggevano, in effetti,
molti nomi di vescovi ariani e probabilmente anche quello dello stesso Ario) le cui origini devono essere riportate agli ultimi vent’anni del IV
sec.
Sembra, in effetti, che, per dare più splendore alla solennità
natalizia, si sia voluto raggruppare attorno alla mangiatoia di Gesù il maggior
numero di santi, e quelli che, in una certa maniera, avevano una relazione
speciale col mistero della sua Incarnazione. San Gregorio di Nissa li menziona
nell’ordine seguente: Stefano, Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo e Basilio (San Gregorio Nisseno, In Laudem fratris Basilii. Oratio funebris qua fratris sui Basilii Magni
Laudes et memoriam concelebrat, in PG 46, col. 790 ss.), mentre altri documenti greci posteriori vi aggiungono Davide, san
Giuseppe ed i Magi.
Tutte le chiese orientali celebrano la
festa di santo Stefano dopo la Natività del Signore, ma esse la ritardano di un
giorno, poiché il 26 dicembre è consacrato alla memoria della santa Madre di
Dio. In maniera assai curiosa, gli Armeni, che non hanno mai adottato la festa
del Natale, commemorano anch’essi santo Stefano il 27 o 28 dicembre a seconda
degli anni (Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican
au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 328-329).
Fin dalla prima metà del V sec., poco dopo la scoperta delle reliquie
del Protomartire, si elevarono a Roma molte basiliche e chiese dedicate al suo
nome. Presso San Pietro ve ne erano due sovente confusi tra loro, Santo Stefano
Katà Galla patricia o Santo Stefano Maggiore,
sulla cui area sorge l’attuale Santo Stefano degli Abissini o dei Mori (Armellini, op.
cit., pp. 750-754; Huelsen,
op. cit., pp. 477-478), e Santo Stefano Katà Barbara patricia o Santo Stefano Minore o degli Ungari (Armellini, op.
cit., pp. 747-748; Huelsen,
op. cit., p. 472); un’altra, venuta alla luce nel 1857, si elevava
su una proprietà di Anicia Demetriade (o Demetria) (398 circa – 440 circa) (nelle fonti è chiamata
Demetria o Demetriade. Il nome Anicia è stato ricostruito dagli storici:
cfr. Anne Kurdok, Demetrias
ancilla Dei. Anicia Demetrias and the problem of the missing patron, in Kate Cooper - Julia Hillner, Religion,
dynasty and patronage in early Christian Rome, 300-900, Cambridge
University Press, 2007, pp. 190-224), ceduta a san
Leone Magno, sulla via Latina e restaurata da Leone III (Armellini, op.
cit., pp. 887-888). Questa
Demetriade, ricordata come santa dalla Chiesa, era nipote nonno del nobile Sesto Claudio Petronio
Probo e figlia del console Flavio Anicio Ermogeniano
Olibrio, amico di sant’Agostino, il quale le donò alcune reliquie del Protomartire.
Ella, preso il velo delle
vergini consacrate, fu la destinataria di una celebre lettera-trattato dell’eretico
Pelagio sulla vita devota, Epistola ad Demetriam (Pelagio,
Epistula Ad Demetriadem, in PL 33, 1099-1120). A lei scrissero
anche i santi Agostino (Cfr. Sant’Agostino
(ed Alipio), Epistula CLXXXVIII, A Juliana, vidua matre Demetriadis, in PL 33, 848C ss.) e
Girolamo (San Girolamo, Epistula CXXX, Ad Demetriadem. De servanda Virginitate, in PL 22, col. 1107A
ss., ora in Id., Le lettere2,
traduzione, introduzione, note e indici di Silvano
Cola (a cura di), vol. IV, Lettere CXVII-CLVII, Roma 1997, pp.
328 ss.). Tornata a Roma fu destinataria di un’anonima Epistula
ad Demetriadem de vera humilitate, scritta,
secondo alcuni, da san Leone I nel 440 o, secondo altre interpretazioni, da
Prospero di Aquitania nel 435, in cui si attaccavano le posizioni di Pelagio sulla base
delle tesi di Agostino (San Leone Magno,
Epistola ad sacram virginem Demetriadem, seu De
humilitate tractatus,
in PL 55, col. 161A ss. Cfr. Anne Kurdok,
op. cit., p. 216.).
Gli scavi effettuati nel
sito della chiesa di Demetriade hanno portato alla luce un’epigrafe con la lode
fatta da san Leone Magno alla vergine benefattrice:
CVM • MVNDVM • LINQVENS • DEMETRIAS • AMNIA • VIRGO
CLAVDERET • EXTREMVM • NON • MORITVRA • DIEM
HAEC • TIBI • PAPA • LEO • VOTORVM • EXTREMA • SVORVM
TRADIDIT • VT • SACRA • SVRGERET • AVLA • DOMVS
MANDATI • COMPLETA • FIDES • SED • GLORIA • MAIOR
INTERIVS • VOTVM • SOLVERE • QVAM • PROPALAM
INDIDERAT • CVLMEN • STEPHANVS • QVI • PRIMVS • IN • ORBE
RAPTVS • MORTE • TRVCI • REGNAT • IN • ARCE • POLI
PRAESVLIS • HANC • IVSSV • TIGRINVS • PRESBYTER • AVLAM
EXCOLIT • INSIGNIS •
MENTE • LABORE • VICENS
Sul sito dell’antica basilica di Demetriade – i cui resti sono
visibili oggi nel parco archeologico delle Tombe di via Latina – è stata
eretta, tra il 1954 ed il 1955, la chiesa parrocchiale di Santo Stefano
protomartire, nel quartiere Tuscolano.
A santo Stefano,
inoltre, era dedicato un oratorio nel battistero del Laterano, fondato forse da papa Ilario, denominato in
seguito Santo Stefano de Schola Cantorum in Laterano (cfr. L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, in Bibliothèque
des Ecoles Françaises d’Athènes, et de Rome, Paris 1886, tomo I, p. 245. Varianti
dei manoscritti 2; Armellini, op. cit., p.
105. Cfr. Huelsen, op. cit., pp.
477 e 479) anche se quest’oratorio dové passare, poi, sotto il
patronato di san Venanzio e dei martiri dalmati.
Nel Medioevo, la pietà dei Pontefici moltiplicò in tutte le parti dell’Urbe
i santuari dedicati a santo Stefano, tanto da contarsene almeno trentacinque,
tra i quali molti monasteri tanto latini quanto orientali. A causa di una tale
popolarità del culto del primo martire, la solennità con la quale si celebrava
la stazione di questo giorno sul Celio non ha dunque nulla di sorprendente.
Il Papa vi si recava a
cavallo, dal Laterano, con i cardinali e la corte, tutti rivestiti di sontuosi
abiti di seta. La gualdrappa del destriero era di prezioso scarlatto ed il
Papa, con la testa cinta dalla tiara, indossava la pænula bianca, abito
di viaggio degli antichi Romani. A Santo Stefano Rotondo, deponeva la corona e
le vesti bianche per assumere i paramenti rossi con i quali celebrava la messa,
al termine della quale rimontava a cavallo ed il corteo faceva ritorno al patriarchium, dove aveva luogo l’abituale
distribuzione delle gratifiche – presbyterium (Ordo
Romanus XII, §§ 6-8, in PL 78, col. 1067-1068A) – ed il pasto rituale
nel triclinium (Ordo Romanus XI, § 24, ivi, col. 1035A).
L’ordo di Pietro
Amelio prescriveva di servirlo con una grande dignità e di invitarvi i
cappellani, gli accoliti, gli uditori ed i penitenzieri, ai quali si
distribuiva anche una provvista di pepe (Ordo Romanus XV, § 13, ivi,
col. 1280C-1281A). In caso di indisposizione del Papa, la messa di questo
giorno doveva essere celebrata dal cardinale prete di San Clemente, poiché
quello di Santo Stefano suppliva di diritto il Pontefice il giorno di Natale.
Nel pomeriggio, i vespri avevano luogo al Laterano, ed il Papa vi prendeva
parte vestito di piviale rosso e mitra in testa.
Il passo degli Atti
degli Apostoli oggi ci descrive in colori drammatici il giudizio di Stefano nel
Sinedrio e la sua lapidazione fuori dalle mura di Gerusalemme. San Luca dové
averne appreso i dettagli direttamente da san Paolo, nell’animo del quale
questa scena atroce rimase incisa di un modo indelebile. Il Protomartire contro
cui si sollevano particolarmente le sinagoghe, che rappresentavano la Diaspora
nella Città santa, cadde vittima del suo zelo per la propaganda universale dell’ideale
evangelico al di là anche delle barriere nazionali d’Israele. Va peraltro
ricordato che in tutta o quasi la storia delle antiche persecuzioni sovente ad
aizzare la ferocia dei persecutori pagani sono gli stessi giudei. Tertulliano,
non a caso, definiva le sinagoghe come «fonti di persecuzione» (Tertulliano, Adversus gnosticos Scorpiace,
cap. 10, § 10, in PL 2, col. 143A; ed. 1878, col. 166A). Stefano, ellenista,
che si rivolgeva direttamente agli ellenisti, agli Alessandrini ed ai Cirenei,
aveva sperato di trovarli meno ostili e meno stretti nella loro concezione
messianica, ma il seme cristiano doveva morire nella terra ed essere innaffiato
col sangue, ed il protomartire cadde vittima dell’aberrazione religiosa del
Sinedrio. L’opera andrà tuttavia avanti, malgrado gli uomini, poiché il più
feroce persecutore di Stefano, in seguito, Saulo, suo malgrado ne raccolse già
il programma nel suo cuore, per farsi in futuro apostolo fino all’estremi
confini del mondo.
Stefano non è semplicemente
un martire, è uno dei più insigni personaggi dell’età apostolica; di qui deriva
il fatto che i greci gli attribuiscono il titolo di apostolo e che la
liturgia romana lo pone nella categoria dei profeti, dei dottori
e dei maestri, di cui il Vangelo di questo giorno descrive molto bene il
destino. Gerusalemme, la benamata del Signore, lapida eos
qui ... missi sunt,
in altri termini i suoi apostoli; ma la misura dell’ingratitudine è oramai
colma. Il Signore si ritira da essa e l’abbandona per un tempo al suo destino.
Diciamo per un tempo, poiché il Pastore d’Israele non può mai
dimenticare il suo popolo originario in maniera definitiva ed in effetti Egli è pronto a
tornare ai figli di Giacobbe in misericordiis, appena questi
consentiranno ad accettarlo come Redentore. L’acclamazione rifiutata al Cristo
dagli ebrei è posta come condizione di pacificazione: Benedetto Colui che
viene nel nome del Signore (Lc 13, 31-35), ed è il grido gioioso della
Chiesa all’arrivo dell’agnello divino sull’altare eucaristico.
Stefano, morendo, contemplava Gesù alla destra della maestà di Dio, e per questo gli raccomandava il suo spirito; e pregava di perdonare i suoi uccisori, accecati dall’ignoranza e dalla passione. L’orazione di Stefano fu esaudita, ed il suo più bel frutto fu Paolo. È questa vicinanza tra il Protomartire e l’Apostolo che volle significare precisamente l’antica pietà dei Pontefici, quando, accanto al sepolcro di san Paolo sulla via di Ostia, eressero fin dal VI sec. un insigne oratorio, in onore di santo Stefano, annettendovi un monastero.
Stefano, morendo, contemplava Gesù alla destra della maestà di Dio, e per questo gli raccomandava il suo spirito; e pregava di perdonare i suoi uccisori, accecati dall’ignoranza e dalla passione. L’orazione di Stefano fu esaudita, ed il suo più bel frutto fu Paolo. È questa vicinanza tra il Protomartire e l’Apostolo che volle significare precisamente l’antica pietà dei Pontefici, quando, accanto al sepolcro di san Paolo sulla via di Ostia, eressero fin dal VI sec. un insigne oratorio, in onore di santo Stefano, annettendovi un monastero.
Johann von Schraudolph, Martirio di S. Stefano, 1850, Cappella reale, Cattedrale, Spira |
Mathias Stom, Martirio di S. Stefano, Museo diocesano, Palermo |
Bernardo Cavallino, Martirio di S. Stefano, 1645 circa, Museo del Prado, Madrid |
Jacques Stella, Martirio di S. Stefano, 1623, Fitzwilliam Museum, Cambridge |
Antonio Carracci (attrib.), Lapidazione di S. Stefano, 1610 circa, National Gallery. Londra |
Jaocpo e Domenico Tintoretto, Lapidazione di S. Stefano, XVI sec., Chiesa di S. Giorgio Maggiore, Venezia |
Giorgio Vasari, Martirio di S. Stefano, 1571, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano, Roma |
Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, S. Stefano insegna nella sinagoga, 1562 circa, Museo del Prado, Madrid |
Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, S. Stefano accusato di blasfemia, 1562 circa, Museo del Prado, Madrid |
Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, S. Stefano condotto al martirio, 1562 circa, Museo del Prado, Madrid |
Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, Martirio di S. Stefano, 1562 circa, Museo del Prado, Madrid |
Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, Sepoltura di S. Stefano, 1564 circa, Museo del Prado, Madrid |
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