Un tempo, dalla data odierna, si celebrava, in color viola (paonazzo), la messa votiva Ad tollendum Schisma (dal 1960: Pro Ecclesiæ Unitate). Oggi, peraltro, per singolare coincidenza, è pure la II Domenica dopo l'Epifania, in cui si fa memoria del miracolo delle Nozze di Cana.
Carl Heinrich Bloch, Le nozze di Cana, 1890 |
In questo ricordo, dunque, mi pare quantomeno appropriato rilanciare quest'articolo del giornalista cattolico Vittorio Messori, rilanciato - in lingua inglese - dal blog Rorate Caeli.
Messori,
qualche giorno dopo dalle tragiche vicende francesi con la polemica sulle vignette asseritamente satiriche, ha voluto ricordarci come
sia artificioso distinguere tra un Islam c.d. integralista ed un Islam moderato
e tollerante. Questa distinzione è chiaramente erronea: al più potrebbe
parlarsi sic et simpliciter di Islam e di islamici secolarizzati (un po’
come esistono i cristiani o gli ebrei secolarizzati), vale a dire
impregnati dei valori (o sarebbe più esatto dire disvalori) occidentali, che sarebbe erroneo
chiamare islamici (così come è improprio appellare “cristiani” o “ebrei”
rispettivamente i “cristiani secolarizzati” o gli “ebrei secolarizzati”).
Di
questa problematica avevamo fatto cenno, sia pur in maniera abbastanza velata,
allorché avevamo obiettato alla battuta sul “Corano – libro profetico di pace”.
Il
problema, tuttavia, non è tanto l’Islam in se stesso, ma il modo erroneo di
affrontarlo da parte dell’Occidente, ritenendo che la miglior cura, la miglior
reazione a quei fatti sia rifugiarsi ancor più nel laicismo e nei valori – ammesso che
si possa definirli tali – “laici”.
Ed i frutti di questo convincimento sono sotto gli occhi di tutti, giacché - a causa di questa cecità - chi ne continua a fare le spese sono proprio i cristiani nelle terre islamiche.
Ed i frutti di questo convincimento sono sotto gli occhi di tutti, giacché - a causa di questa cecità - chi ne continua a fare le spese sono proprio i cristiani nelle terre islamiche.
Se
si leggessero le pagine del beato Charles de Foucauld, molti si potrebbero fare
un’idea diversa. Il Beato, che sarebbe
dovuto salire agli onori degli altari il 15 maggio 2005 (e lo fu solo il 13
novembre successivo), autore della famosa preghiera “Padre mio, mi abbandono a
te, fa’ di me ciò che ti piace”,
era un ufficiale, nobile di nascita (era visconte), ricco e di vita
dissoluta. Si convertì alla fede – per alcuni anche … troppo – e divenne dapprima
trappista e poi eremita nel deserto del Nord Africa. Qui si fece amare e benvolere
dalle popolazioni locali, i tuareg, ma anche odiare, tanto che fu
ucciso, nel 1916, da dei predoni musulmani, più come predoni che come islamici
(ed in effetti non gli è stato riconosciuto il titolo di “martire”).
Il
Beato Charles de Foucauld, in un tempo nel quale esistevano le colonie,
rivolgendosi ai suoi concittadini in patria (la Francia), li spronava ad uno
spirito d’evangelizzazione per non essere scacciati dalle terre colonizzate. In
una lettera scritta a René Bazin (1853-1932), membro dell’Académie française
e Presidente della Corporation des publicistes chrétiens, divenuto in
seguito suo primo biografo, il Beato ammoniva:
«… L’Impero francese del Nord-Ovest africano, che comprende l’Algeria, il Marocco, la Tunisia, l’Africa occidentale francese, ha trenta milioni di abitanti; grazie alla pace, fra cinquant’anni ne avrà il doppio. Si troverà allora in pieno progresso materiale, ricco, solcato da ferrovie, popolato da abitanti usi a maneggiare le nostre armi, con un’élite che ha ricevuto l’istruzione nelle nostre scuole. Se non avremo saputo fare di questi popoli dei francesi, ci cacceranno. Il solo modo in cui possono diventare francesi è che diventino cristiani. Non si tratta di convertirli in un solo giorno con la forza bensì teneramente, discretamente con la persuasione, il buon esempio, la buona educazione, l’istruzione, tramite un contatto stretto ed affettuoso. È un’opera riservata soprattutto ai laici francesi che possono essere molto più numerosi dei preti ed avere un contatto più intimo» (C. De Foucauld, Lettera a R. Bazin, in Bullettin du Bureau catholique de presse, ottobre 1917, fasc. n. 5, ora in R. Bazin, Charles de Foucauld explorateur du Maroc, ermite au Sahara, Parigi, 1921, trad. it. (a cura) di B. Gabutti, Esploratore del Marocco, eremita nel Sahara, Milano, 2005, pp. 471-472).
Ancora,
in una serie di conversazioni, nel 1903, a Beni-Abbés, in pieno deserto
algerino, dove aveva stabilito la sua dimora, tra il Beato e padre Guérin,
prefetto apostolico del Sahara, ed un altro sacerdote, Charles de Foucauld ebbe
modo di osservare, inoltre, in tema di questione coloniale, che:
«A partire dal giorno in cui il musulmano sarà in grado di comprendere la bellezza del cattolicesimo, avrà compreso la Francia e, nella misura in cui ammirerà la carità cristiana, non potrà fare a meno di amarci» (R. Bazin, op. cit., pp. 276 ss., partic. p. 283).
Il
de Foucauld, dunque, desiderava profondamente la conversione degli arabi al Cattolicesimo,
riteneva che ciò fosse possibile e che grave era la responsabilità di quei governanti
che non incoraggiavano e non lavoravano per la conversione dei musulmani nelle
colonie francesi. Anzi, l’ateismo di Stato e l’indifferenza verso tutte le
religioni non avrebbero favorito neppure le ragioni della Francia, poiché i
musulmani disprezzano l’uomo non religioso e si credono a lui superiore. La
religiosità e la pratica cattolica, invece, attirano il rispetto e l’ammirazione
da parte di quei popoli. Purtroppo le previsioni del Beato si realizzarono. La
Francia, infatti, con la guerra d’Algeria, perse quella colonia del
Nord-Africa. I governi coloniali, che in madrepatria perseguitavano i sacerdoti,
tutto volevano fuorché rendere cristiane quelle popolazioni. I frutti di questa
de-cristianizzazione sono sotto gli occhi di tutti: furono scacciati di lì e
persero le colonie. Ben presto, chissà, saranno cacciati pure da casa loro,
perché non sono più cristiani … (cfr. Una profezia del beato Charles de Foucauld).
Ed
oggi, nonostante i fatti di Parigi, si persegue su quella strada erronea, che
già il nostro Beato stigmatizzava.
Del
resto, non solo lui aveva evidenziato ciò: qualcosa del genere scriveva nel
1912, il nipote di Ernest Renan, cioè del grande dissacratore di Cristo con la
sua celebre “Vita di Gesù”, Ernest Psichari, figlio del celebre filologo franco-greco
Yánnis Psycháris, convertitosi al cristianesimo, e poi divenuto terziario domenicano.
Ecco uno stralcio della lettera di quest’ultimo scriveva a Mons. Jalabert,
vescovo di Dakar, inviandogli offerte per la costruzione della Cattedrale:
«nel corso di sei anni che io ho conosciuto i musulmani d’Africa, sono venuto in contatto con dei folli moderni, che vogliono scindere la causa francese dalla religione che ne ha fatto la grandezza e che da questa grandezza proviene. Con la gente incline alla meditazione metafisica come i musulmani del Sahara, quest’errore può avere conseguenze mortali. Sono convinto che potremo apparire grandi (vale a dire autorevoli) ai loro occhi solo se riconosceremo la grandezza della nostra religione. Potremo prevalere su costoro solo se dimostreremo prevalente, ai loro occhi, il potere della nostra religione. … Io ho visto molti commilitoni, nelle loro conversazioni con i Mori, irridere delle cose divine e fare persino professione d’ateismo. Essi non hanno compreso che con quanto stavano compiendo indeboliscono la nostra causa; degradando la propria religione, degradano la loro stessa causa. Per i Mori, infatti, la Francia e la cristianità costituiscono un’unica stessa cosa. …» («Depuis six ans que j'ai fait connaissance avec les Musulmans d'Afrique, je me suis rendu compte de la folie de certains modernes qui veulent séparer la race française et la religion qui l'a faite ce qu'elle est et d'où vient toute sa grandeur. Auprès de gens aussi portes à la méditation métaphysique que les Musulmans du Sahara, cette erreur peut avoir de funestes conséquences. J'en ai acquis la conviction. Nous ne paraitrons grands auprès d'eux qu'autant qu'ils connaitront la grandeur de notre religion. Nous ne nous imposerons à eux qu'autant que la puissance de notre foi s'imposera à leur regard. Certes, nous n'avons plus des âmes de croises et ce n'est pas à la pensée d'aller combattre l'Infidele qu'un officier désigne pour le Tchad ou l'Adrar va se réjouir. Pourtant j'ai vu des camarades qui, dans leurs conversations avec les Maures, souriaient des choses divines et faisaient profession d'athéisme. Ils ne se rendaient pas compte de combien ils faisaient reculer notre cause et combien, en abaissant leur religion, ils abaissaient leur race même. Car, pour le Maure, France et Chrétienté ne font qu'un») (A. M. Goichon, Ernest Psichari, d’après desdocuments inédits, con prefazione di J. Maritain, 1921, ripubbl. Parigi, 1933, pp. 476-477) [nostra traduzione, ndr.].
Sul tema, cfr. Frédérique Neau-Dufour, Ernest Psichari:l’ordre et l’errance, Editions du CERF, Paris 2001, pp. 229-230.
In
anni più a noi vicini, ecco le parole del Card. Giacomo Biffi, arcivescovo
emerito di Bologna, con le quali denunciava la cecità di molti laici (che si
oppongono alla Chiesa) e persino d’alcuni ambienti cattolici (che non capiscono
del pericolo islamico):
«Gli immigrati che risiedono stabilmente nel paese devono conoscere le sue tradizioni e la sua identità. [...] L’Italia infatti non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, e senza tradizioni, senza fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto. Essa è nazione cristiana. Salvare l’identità cristiana della nazione è dunque il compito principale che spetta , secondo il cardinale, non solo ai cristiani ma anche allo stato laico. [...] l’insediamento dell’Islam e la demografia non lasciano dubbi sul futuro dell’Europa: o riscopre la sua vera identità e ridiventerà cristiana, o diventerà musulmana. Senza avvenire è invece la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, atteggiamento dominante oggi nei popoli europei “ricchi di mezzi e poveri di verità”. Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell’”avvenimento cristiano” come unica salvezza per l’uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.
Purtroppo né i “laici” né i “cattolici” pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I “laici”, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I “cattolici”, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione.
La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell’antica fede» (Intervento al seminario della fondazione Migrantes, ripreso poi anche nella Nota Pastorale, La città di S. Petronio nel terzo millennio).
Perseguendo la politica erronea ora
segnalata e più volte denunciata, puntando sul laicismo anziché sul supporto alla cultura ed alla fede
cristiana, si realizzerà quanto vaticinato dall’allora compianto Arcivescovo di
Izmir (Smirne), Mons. Giuseppe G. Bernardini, in occasione della Seconda
Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi nel 1999?
Nel suo intervento il Prelato, che da 42
anni viveva in Turchia, ricordava:
«durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse a un certo punto con calma e sicurezza: “Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo”. C’è da crederci perché il “dominio” è già cominciato con i petrodollari, usati non per creare lavoro nei Paesi poveri del Nord Africa o del Medio oriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei Paesi cristiani dell’immigrazione islamica, compresa Roma, centro della cristianità. Come non vedere in tutto questo un chiaro programma di espansione e di riconquista? … Termino con un’esortazione che mi è suggerita dall’esperienza: non si conceda mai ai musulmani una chiesa cattolica per il loro culto, perché questo ai loro occhi è la prova più certa della nostra apostasia» (S.E.R. Mons. G. G. Bernardini, o.f.m. Cap., Arcivescovo di Izmir, Turchia, Intervento in scriptis, Seconda Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, in L’Osservatore Romano, 15 ottobre 1999).
Sul punto, cfr. M. Zottarelli, “Dissero, Vi invaderemo e domineremo”, intervista a Mons. G.G.
Bernardini, in Libero, 16 settembre
2001, p. 8; L. Sani, «La Chiesa si è mossa tardi», in Il giorno, 8 ottobre 2000, p. 7.
La
vera radice dell’estremismo
di
Vittorio Messori
Di
rabbi Giuseppe Laras – eminente nell’ebraismo italiano non solo per cultura ma
anche per sensibilità religiosa – ho sempre apprezzato la schiettezza nell’esporre
le sue convinzioni. Così, nell’articolo di ieri su questo giornale, non esita a
iniziare affermando che «siamo in guerra, siamo solo agli inizi eppure non
vogliamo prenderne coscienza».
Da
realista, sarei propenso a dargli ragione: terminata, per collasso e abbandono
del campo da parte del nemico, la terza guerra mondiale (detta “fredda”, ma pur
sempre guerra), ecco la nuova Pearl Harbour, in un mattino di un 11 settembre a
New York. Ecco, diciamolo con la chiarezza di Laras, la quarta guerra mondiale.
L’ipocrisia dell’ideologia oggi egemon , la political corectness, ha tentato e
tenta esorcismi, costruendo, per tranquillizzarsi, un ideale di “islamismo
moderato”, da incoraggiare e accrescere ripetendo il mantra del “dialogo”. Ma,
chi conosce davvero il Corano, chi conosce la storia e la società cui ha dato
forma in un millennio e mezzo, sa che non hanno torto quei musulmani che chiamiamo
“estremisti “ (usando le nostre categorie occidentali) a gridare, kalashnikov
alla mano, che un maomettano “moderato” è un cattivo maomettano. O, almeno, è
un vile che Allah punirà. Quanti, tra coloro che si scandalizzano per questo,
quanti hanno letto per intero, senza censure mentali, il Corano e magari anche
le monumentali raccolte di hadith, i detti attribuiti al Profeta?
Un
amico francese, religioso cattolico a Gerusalemme e noto biblista, mi
raccontava di recente che , nel loro convento, serviva da sempre, come
factotum, un ormai anziano musulmano. Onesto, gran lavoratore, di tutta
fiducia, faceva ormai parte della famiglia e tutti quei religiosi gli volevano
bene, sinceramente ricambiati. Un venerdì, l’uomo tornò dalla moschea con un’aria
accasciata. Il superiore della casa, insistendo, riuscì a farlo parlare. Disse:
«Oggi l’imàm che dirige la preghiera ci ha detto, nella predica, che nel giorno
del trionfo di Allah e del suo Profeta, nel giorno che presto verrà e in cui
libereremo questa Santa Città da ebrei e cristiani, tutti gli infedeli che non
faranno subito professione di fede dovranno essere uccisi. Così vuole il Corano
cui noi tutti dobbiamo obbedire». Una pausa, e poi: «Ma non tema, padre , sa che
io vi voglio bene , so come fare, se dovrò sopprimervi troverò il modo di non
farvi soffrire».
L’aneddoto,
purtroppo, è autentico. Come autentiche sono le domande poste, con cortesia e
insieme con crudezza, da Giuseppe Laras e che possono, credo, riassumersi così
: è possibile, per il mondo islamico, accettare quella tolleranza, quella
distinzione tra politica e religione, quella eguaglianza tra persone di diverse
religioni , quel rifiuto – senza eccezioni – della violenza, quelle realtà
insomma su cui basare un mondo , se possibile meno disumano? Come si sa, nel
1948, gli allora non molti Stati islamici già indipendenti che sedevano alle
neonate Nazioni Unite rifiutarono di firmare la “Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo”, affermando che non corrispondeva alla loro prospettiva di
persona e di società. Una società, tra l’altro, dove la schiavitù non era ufficialmente
abrogata, dove vigeva, e vige, una poligamia nella quale la donna è relegata in
un ruolo di sottomissione, dove il non musulmano è cittadino inferiore,
sottoposto a una pesante tassa e a una serie codificata di pubbliche umiliazioni.
Sarà mai possibile giungere almeno a un modus vivendi o lo scontro dovrà
continuare e magari aggravarsi, perché tanto diversi resteranno i valori fondamentali?
Tutto
è possibile, s’intende, a Dio, a Jahvé, ad Allah, a seconda delle fedi, ma, a
viste solo umane, l’obiettivo non sembra raggiungibile. In effetti, l’Islam non
solo è diviso a tal punto che sono quotidiani i massacri tra sciiti e sunniti o
tra altre comunità in lotta cruenta tra loro. Ma, soprattutto, non esiste una
autorità superiore, in grado di prendere decisioni vincolanti per i fedeli,
come il papa per il cattolicesimo. Anzi, non esiste nemmeno un clero né
esistono gerarchie religiose all’interno delle comunità. Tutto è lasciato a
uomini soli con in mano solo un libro immutabile di millequattrocento anni fa.
Il califfato ottomano, abolito nel 1924 da Kemal, era una finzione a servizio
del sultanato e, in ogni caso, la sua evanescente autorità non era riconosciuta
al di là dei confini dell’impero turco. Ma anche se tornasse , che potrebbe
fare un “papa della Mecca” che non avrebbe la grande, liberante risorsa di
quello di Roma: la risorsa, cioè, di una Scrittura approfondibile secondo i tempi
e le situazioni pur senza rinnegarla, flessibile pur senza tradirla, divina ma
affidata alla ragione di credenti che con essa devono affrontare i secoli? Il
cristianesimo, prima e ben più che un libro, è un incontro tra vivi, tra gli
uomini e il Cristo vivo, con la ricchezza e la duttilità che nasce dalla vita.
Ma così non è il Corano, anzi ne è il contrario, con il testo originale
custodito in Cielo accanto ad Allah, eterno, immodificabile, dettato parola per
parola a Muhammad, con le sue sentenze da osservare sempre e comunque in modo
letterale, con la sua rigidità che deve sfidare ogni cultura, costi quel che
costi. Possibile trarre, da qui, un “moderatismo” maomettano?
Se
questa è la situazione , il rabbino Laras non nasconde una preoccupazione: «C’è
una tentazione che può profilarsi sia nel cristianesimo sia nella politica
europea: quella di lasciar soli gli ebrei e lo Stato di Israele per facilitare
una pace politica, culturale e religiosa con il mondo musulmano» . Per lui,
questa sarebbe «una strategia fallimentare» i cui effetti disastrosi per i
cristiani si sarebbero già visti. Dice, infatti: «Dopo che quasi tutti i Paesi
islamici si sono liberati dei “loro” ebrei, si sono concentrati con violenze e
massacri sulle ben nutrite minoranze cristiane». Su questa convinzione del
rabbino dovrebbe aprirsi, però, una discussione: la persecuzione in atto dei
battezzati ha cause, crediamo, più complesse dello sfogo su di essi di una
religione violenta alla ricerca di vittime. Una discussione di grande
importanza, e proprio per questo non affrontabile in spazi così ridotti. Per
ora , basti prendere sul serio l’avvertimento di Laras: c’è una guerra e non è
opportuno mascherarla dietro gentilezze occidentali verso gli antagonisti e con
severi rimbrotti alle “cassandre” che si limitano a constatare una realtà drammatica.
Nessun commento:
Posta un commento